LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –
Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –
Dott. GHINOY Paola – rel. Consigliere –
Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –
Dott. SCALIA Laura – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 19985/2018 proposto da:
S.S., elettivamente domiciliato in Roma, presso la Cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso, per procura in calce al ricorso, dall’avv. Maria Monica Bassan che chiede di ricevere le comunicazioni relative al processo alla p.e.c.
maria.bassan.ordineavvocatipadova.it e al fax n. 049/8646524;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
– controricorrente –
e contro
PROCURATORE GENERALE DELLA REPUBBLICA presso la Corte di Cassazione, COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI VERONA – Sezione Padova;
– intimati –
avverso la sentenza n. 942/2018 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 19/04/2018;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 29/05/2019 dal Consigliere Dott. Paola GHINOY.
FATTI DI CAUSA
1. La Corte d’Appello di Venezia, in riforma dell’ordinanza del Tribunale, rigettava la domanda proposta da S.S., originario di *****, al fine di ottenere il riconoscimento della protezione internazionale.
2. La Corte territoriale riferiva che il richiedente aveva dichiarato di avere lasciato il suo paese per il timore di essere arrestato dalla polizia e della possibile reazione violenta di uno zio paterno, che si era fraudolentemente impossessato delle sue terre.
3. La Corte riteneva che il racconto non fosse credibile nè verosimile ove attribuiva al contrasto per la proprietà delle terre il timore di essere incarcerato, torturato o sottoposto ad un trattamento inumano o degradante, considerato che poteva al più evincersi che egli avesse avuto contatti con la Polizia per una questione di attribuzione delle sue terre, tutelabile anche nel paese di provenienza, mentre la dedotta corruzione dei pubblici ufficiali non era avallata da alcun fatto specifico.
4. Richiamava le fonti internazionali accreditate per affermare che in Senegal, in particolare nella regione di Casamance da cui proviene il ricorrente, pur sussistendo in generale problemi di legati alla sicurezza, si registra tuttavia una tregua tra le forze governative e quelle indipendentiste, tanto che in un recente report del Comitato internazionale della Croce Rossa (CICR) è spiegato che la situazione in Casamance sta favorendo il rientro di persone che avevano cercato rifugio nel Gambia.
5. Nè sussisteva una grave ed obiettiva situazione di vulnerabilità del richiedente, neppure sotto il profilo sanitario, tale da determinare il riconoscimento della protezione umanitaria.
6. Per la cassazione della sentenza S.S. ha proposto ricorso, affidato a due motivi; il Ministero dell’Interno ha resistito con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
7. Il richiedente ha dedotto come primo motivo la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3 e del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 e art. 5, per la mancata valutazione della situazione del paese di origine del richiedente (Senegal) ai fini del riconoscimento della sussistenza dei presupposti per il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari. Sostiene che il giudice di merito avrebbe dovuto valorizzare la situazione critica e intollerabile delle carceri senegalesi quale emergente anche dal rapporto USDOS- US Department of State – Country Report on Human Rights Practices 2017. Lamenta altresì che il giudice territoriale non abbia valutato la situazione generale del paese, con il rischio di attentati o azioni ostili a danno di cittadini ed interessi occidentali riferito anche dal sito del Ministero degli Affari Esteri.
8. Come secondo motivo ha dedotto la violazione e falsa applicazione di legge in punto di inclusione sociale e l’errata valutazione della documentazione prodotta. Lamenta che la Corte territoriale non abbia valutato la situazione di integrazione raggiunta in Italia (sottoscrizione di un contratto a tempo determinato con scadenza e 34/2017 con la cooperativa sociale Edeco, trasformato in contratto a tempo indeterminato a far data dal 1.5.2017) ponendola a confronto con la situazione di estrema vulnerabilità che l’ha obbligato a lasciare il paese di origine.
9. Il ricorso non è fondato.
Entrambi i motivi attengono al mancato riconoscimento della protezione umanitaria di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 (nella disciplina previgente al D.L. n. 113 del 2018, conv., con modif., in L. n. 132 del 2018).
Essa costituisce una misura atipica e residuale, nel senso che copre situazioni, da individuare caso per caso, in cui, pur non sussistendo i presupposti per il riconoscimento della tutela tipica (status di rifugiato o protezione sussidiaria), tuttavia non possa disporsi l’espulsione e debba provvedersi all’accoglienza del richiedente che si trovi in situazione di vulnerabilità (Cass. n. 23604 del 09/10/2017); inoltre, il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per ragioni umanitarie deve essere frutto di valutazione autonoma, non potendo conseguire automaticamente dal rigetto delle altre domande di protezione internazionale, ma è necessario che l’accertamento sia fondato su uno scrutinio avente ad oggetto l’esistenza delle condizioni di vulnerabilità che ne integrano i requisiti. (Sez. 1, n. 28990 del 12/11/2018).
10. Questa Corte ha chiarito che i seri motivi di carattere umanitario o risultanti da obblighi internazionali o costituzionali cui il D.Lgs. n. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6, subordina il riconoscimento allo straniero del diritto al rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, pur non essendo definiti dal legislatore, prima dell’intervento attuato con il D.L. n. 113 del 2018, erano accomunati dal fine di tutelare situazioni di vulnerabilità personale dello straniero derivanti dal rischio di essere immesso nuovamente, in conseguenza del rimpatrio, in un contesto sociale, politico o ambientale idoneo a costituire una significativa ed effettiva compromissione dei suoi diritti fondamentali inviolabili (Cass. n. 5358 del 22/02/2019, Cass. n. 4455/2018).
11. Al fine di individuare tale situazione di vulnerabilità, è comunque necessario che essa risulti, direttamente o indirettamente, dalle allegazioni del richiedente, dovendo riguardare la sua personale vicenda piuttosto che quella del suo Paese d’origine in termini del tutto generali ed astratti (Cass. n. 9304 del 03/04/2019).
12. Anche a tale riguardo dunque il richiedente ha l’onere di indicare i fatti costitutivi del diritto azionato, pena l’impossibilità per il giudice di introdurli d’ufficio nel giudizio (Cass. n. 19197 del 28/09/2015, n. 27336 del 29/10/2018). Il ricorso al Tribunale costituisce atto introduttivo di un giudizio civile, retto dal principio dispositivo: principio che, se nella materia della protezione internazionale viene derogato dalle speciali regole di cui al cit. D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 e al D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 8, che prevedono particolari poteri-doveri istruttori (anche) del giudice, non trova però alcuna deroga quanto alla necessità che la domanda su cui il giudice deve pronunciarsi corrisponda a quella individuabile in base alle allegazioni dell’attore.
13. Nel caso in esame, la Corte territoriale ha ritenuto che il riferito contrasto per la proprietà dei terreni del richiedente non determinasse l’applicazione del principio di non-refoulement, sulla base di una valutazione coerente con gli oneri motivazionali e con i parametri legali di giudizio (D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 2510, ex art. 3, comma 5), non ritenendo credibile che per una vicenda attinente la proprietà di alcuni terreni egli corresse il rischio di essere arrestato o maltrattato dalla polizia e non risultando che non potesse ottenere tutela giudiziaria.
14. La Corte di merito ha inoltre esaminato la situazione del paese di provenienza, giungendo ad escludere la ricorrenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c), all’esito di un’articolata valutazione desunta da vari siti internazionali accreditati ed aggiornati (*****), da note riviste italiane di geopolitica (*****) e dal sito del Ministero degli Esteri viaggiaresicuri. L’occasionale conflitto tra forze dell’ordine e forze indipendentiste e il rischio di attentati come quello del 2017 e di azioni ostili ai danni di cittadini e interessi occidentali, valorizzati nel ricorso, sono stati già valutati dal giudice di merito come non tali da integrare una situazione di violenza generalizzata.
15. L’esito di tali valutazioni consente dunque di ritenere che la Corte territoriale abbia valutato le risultanze di causa anche per giungere ad escludere che in alcun modo sia risultata in causa una situazione di vulnerabilità nel senso sopra indicato, sicchè in tal senso il motivo si sostanzia in una censura di merito all’accertamento di fatto compiuto dalla Corte d’appello ed in tal senso risulta inammissibile, considerato che il vizio di motivazione rappresentato (travisamento di fatti decisivi) non è riconducibile al nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Nè vengono indicati fatti decisivi che non sarebbero stati valutati dal giudice di merito.
16. Anche in relazione al secondo motivo la valutazione della Corte di merito va confermata, avendo questa Corte chiarito (v. Cass. 23/02/2018, n. 4455 e successive conformi) che non può essere riconosciuto il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari considerando, isolatamente ed astrattamente, il suo livello di integrazione in Italia, nè il diritto può essere affermato in considerazione del contesto di generale e non specifica compromissione dei diritti umani accertato in relazione al Paese di provenienza, atteso che il rispetto del diritto alla vita privata di cui all’art. 8 CEDU, può soffrire ingerenze legittime da parte di pubblici poteri finalizzate al raggiungimento d’interessi pubblici contrapposti quali quelli relativi al rispetto delle leggi sull’immigrazione, particolarmente nel caso in cui lo straniero non possieda uno stabile titolo di soggiorno nello Stato di accoglienza, ma vi risieda in attesa che sia definita la sua domanda di riconoscimento della protezione internazionale (Cass. 28/06/2018, n. 17072).
17. Segue coerente il rigetto del ricorso.
18. La condanna alle spese processuali segue la soccombenza.
19. Non ricorrono i presupposti per l’applicazione del doppio contributo di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, risultando il richiedente ammesso al patrocinio a spese dello Stato.
PQM
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente alle spese del giudizio, liquidate in complessivi Euro 2.100,00 per compensi, oltre alle spese generali nella misura del 15% e alle spese prenotate a debito. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto dell’insussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 29 maggio 2019.
Depositato in Cancelleria il 12 novembre 2019