Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.29276 del 12/11/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – rel. Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13832/2018 proposto da:

A.S., rappresentato e difeso dall’avvocato Rodontini Antonio del Foro di Milano giusta procura allegata al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma Via Dei Portoghesi n. 12 presso l’Avvocatura Generale Dello Stato, che lo rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di MILANO, depositato il 26/03/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 25/09/2019 dal Cons. Dott. PARISE CLOTILDE.

FATTI DI CAUSA

1. Con decreto n. 996/2018 depositato il 26-3-2018 il Tribunale di Milano ha respinto il ricorso di A.S., cittadino della *****, avente ad oggetto in via gradata il riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e di quella umanitaria. Il Tribunale ha ritenuto che fosse non credibile la vicenda personale narrata dal richiedente, il quale riferiva di essere fuggito perchè minacciato di estorsione e di morte da una setta cult del Paese. Il Tribunale ha ritenuto che non ricorressero i presupposti per il riconoscimento di alcuna forma di protezione, avuto anche riguardo alla situazione generale e politico-economica della Nigeria e dell’Edo State, descritta nel decreto impugnato, con indicazione delle fonti di conoscenza.

2. Avverso il suddetto provvedimento, il ricorrente propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi, nei confronti del Ministero dell’Interno, che resiste con controricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.Con il primo motivo il ricorrente lamenta “Violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3, 5 e 14 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 27, comma 1 bis, in relazione alla sussistenza del requisito del danno grave”. Erroneamente, ad avviso del ricorrente, il Tribunale ha ritenuto che la situazione in cui si era trovato il richiedente, vittima di estorsione e di minacce di morte da parte di una setta cult, non integrasse il danno grave, ai fini della concessione della protezione sussidiaria. Il Giudice ha l’obbligo di cooperazione istruttoria per integrare il quadro probatorio, acquisendo altri dati informativi, mentre il Tribunale non aveva adottato il metodo istruttorio prescritto dal citato art. 3 e non aveva accertato se le autorità nigeriane fossero in grado di fornire adeguata tutela al ricorrente.

2. Con il secondo motivo lamenta “Violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 27, comma 1 bis, in relazione alla valutazione della situazione di pericolo nel Paese di origine del ricorrente”. Ad avviso del ricorrente il Tribunale di Milano non aveva tenuto conto delle informazioni reperibili da fonti ufficiali (rapporto Amnesty International 2016, Coi 2016) secondo cui anche nell’Edo State sussiste una situazione di violenza indiscriminata e di gravi violazioni di diritti umani ed abusi. Richiama provvedimenti emessi da giudici di merito nei confronti di richiedenti provenienti dall’Edo State, da cui risulta evidente la suddetta situazione.

3. Il primo motivo è infondato.

3.1. Questa Corte ha chiarito che “il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità” (Cass. ord. n. 3340/2019). Inoltre il giudice del merito, nel valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, in base ai parametri dettati dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, lett. c), deve attenersi anche a comuni canoni di ragionevolezza e a criteri generali di ordine presuntivo, non essendo di per sè solo sufficiente a fondare il giudizio di credibilità il fatto che la vicenda narrata sia circostanziata. L’art. 3 citato, infatti, obbliga il giudice a sottoporre le dichiarazioni del richiedente, ove non suffragate da prove, non soltanto ad un controllo di coerenza interna ed esterna, ma anche ad una verifica di credibilità razionale della concreta vicenda narrata a fondamento della domanda (da ultimo Cass. n. 21142/2019; Cass. n. 20580/2019). La suddetta verifica è sottratta al controllo di legittimità al di fuori dei limiti di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in quanto costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito.

3.2. Nel caso di specie, il Tribunale ha espresso, con adeguata motivazione e facendo applicazione dei principi di diritto appena richiamati, la valutazione di non credibilità, indicando le parti del racconto ritenute generiche, contraddittorie ed implausibili (cfr. pag. n. 6 del decreto impugnato, in cui sono evidenziate le principali incongruenze – sulla difformità tra la versione dei fatti fornita nel modello C3 e quella di cui alla successiva audizione; sulla mancata precisazione del nome della setta; sul decorso di un lungo lasso temporale – tre anni – tra il riferito primo contatto con gli uomini della setta che lo avevano minacciato e la sua fuga dal Paese).

3.3. Una volta esclusa dal Giudice di merito, con apprezzamento di fatto incensurabile e con motivazione adeguata (Cass. sez. unite, n. 8053/2014), la credibilità delle vicende personali narrate dal richiedente, non ricorrono i presupposti per il riconoscimento del rifugio politico e della protezione sussidiaria di cui all’art. 14, lett. a) e lett. b), D.Lgs. cit., in cui rileva, se pure in diverso grado, la personalizzazione del rischio oggetto di accertamento (Cass. n. 6503/2014; Cass. n. 16275/2018; Cass. n. 16925/2018; Cass. n. 14283/2019). Non vi è infatti ragione di attivare i poteri di istruzione officiosa, se questi sono finalizzati alla verifica di fatti o situazioni di carattere generale che, in ragione della non credibilità della narrazione del richiedente, non è possibile poi rapportare alla vicenda personale di questo. In casi siffatti, una indagine nel senso indicato si manifesta inutile proprio in quanto il rischio prospettato dall’istante, siccome riferito a fatti non dimostrati, difetterebbe comunque di concretezza e non potrebbe mai presentare il richiesto grado di personalizzazione. In tal senso, va ribadito che “la riferibilità soggettiva e individuale del rischio di subire persecuzioni o danni gravi rappresenta un elemento costitutivo del rifugio politico e della protezione sussidiaria dell’art. 14, ex lett. a) e b), escluso il quale dal punto di vista dell’attendibilità soggettiva, non può riconoscersi il relativo status” (così Cass. n. 14283/2019; Cass. n. 16275/2018 e Cass. n. 16925/2018 già citate).

Ne consegue che nel caso di specie non assume rilevanza alcuna la lamentata assenza di protezione del ricorrente da parte delle Autorità del suo Paese, non potendo egli considerarsi soggetto da tutelare in ragione della non credibilità della vicenda personale dallo stesso narrata, sicchè sono inconferenti le deduzioni svolte in ricorso circa la corruzione della Polizia in Nigeria.

4. Anche il secondo motivo è infondato.

4.1. Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte l’accertamento della situazione di “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), che sia causa per il richiedente di una sua personale e diretta esposizione al rischio di un danno grave, quale individuato dalla medesima disposizione, implica un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito. Il risultato di tale indagine può essere censurato, con motivo di ricorso per cassazione, nei limiti consentiti dal novellato art. 360 c.p.c., n. 5 (Cass. n. 30105/2018).

4.2. Nella specie la situazione generale della Nigeria e dell’Edo State è descritta nel decreto impugnato con indicazione delle fonti di conoscenza (pag. 8 – UNHCR e sito del Ministero degli Esteri) ed il Tribunale ha escluso, con idonea motivazione, la sussistenza nell’Edo State, da cui proviene il ricorrente, di conflitti armati in corso o di situazioni di generale insicurezza, così compiutamente esercitando il dovere di cooperazione istruttoria.

5. Alla stregua delle considerazioni espresse nei paragrafi che precedono il ricorso deve essere rigettato e le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

6. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio, liquidate in Euro 2.100, oltre eventuali spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, il 25 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 12 novembre 2019

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