Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.29277 del 12/11/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – rel. Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16337/2018 proposto da:

I.F.A., elettivamente domiciliato in Roma Via Eritrea, 96, presso lo studio dell’avvocato De Palma Claudia e rappresentato e difeso all’avvocato Martini Federica giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di MILANO, depositato il 26/03/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 25/09/2019 dal Cons. Dott. PARISE CLOTILDE.

FATTI DI CAUSA

1. Con Decreto n. 994/2018 depositato il 26-3-2018 e comunicato a mezzo pec il 20-4-2018 il Tribunale di Milano ha respinto il ricorso di I.F.A., cittadino della *****, avente ad oggetto in via gradata il riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e di quella umanitaria. Il Tribunale ha ritenuto che fosse non credibile, motivandone in dettaglio le ragioni, la vicenda personale narrata dal richiedente, il quale riferiva di essere fuggito per il timore di essere arrestato per la morte della sua fidanzata, musulmana e deceduta durante la pratica dell’aborto, e di essere ucciso ad opera del padre della ragazza. Il Tribunale ha ritenuto che non ricorressero i presupposti per il riconoscimento di alcuna forma di protezione, avuto anche riguardo alla situazione generale della Nigeria e del Lagos, descritta nel decreto impugnato, con indicazione delle fonti di conoscenza.

2. Avverso il suddetto provvedimento, il ricorrente propone ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, nei confronti del Ministero dell’Interno, che è rimasto intimato.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2 e art. 3, comma 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Deduce che le sue dichiarazioni non erano contraddittorie e il Giudice ha l’obbligo di cooperazione istruttoria per integrare il quadro probatorio, acquisendo altri dati informativi, mentre il Tribunale non aveva adottato il metodo istruttorio prescritto dal citato art. 3 e non aveva tenuto conto della cultura e dello stile di vita del Paese di origine.

2. Con il secondo motivo lamenta la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Ad avviso del ricorrente erroneamente il Tribunale non ha tenuto in considerazione, ai fini del riconoscimento dello stato di rifugiato, la vicenda personale narrata con riferimento al periodo di oltre sei mesi trascorso in Libia, durante il quale il richiedente era stato coinvolto in un giro di prostituzione e di spaccio di droga ed era stato imprigionato. Richiamando giurisprudenza di merito, assume di essere giunto in Italia con l’auspicio di trovare condizioni di vita migliori.

3. Con il terzo motivo denuncia, in subordine, la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Ad avviso del ricorrente il Tribunale di Milano, ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, ha omesso di valutare il contesto socio-politico della Nigeria e le fonti ministeriali allegate al ricorso introduttivo, da cui emergeva una situazione di grave instabilità ed insicurezza per il pericolo di attacchi terroristici del gruppo ***** e per i numerosi problemi tra civili e governo locale.

4. Con il quarto motivo il ricorrente, in ulteriore subordine, lamenta la violazione dell’art. 5, comma 6, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Ad avviso del ricorrente il Tribunale, nel negare la protezione umanitaria, non ha adeguatamente considerato la condizione personale di vulnerabilità del ricorrente, erroneamente giudicando implausibile il suo racconto ed omettendo di valutare il suo inserimento nel contesto italiano, desumibile dalla frequenza di corsi di italiano e dall’attività lavorativa svolta e documentata. La vulnerabilità inoltre deriva dallo stato di instabilità socio-politica ed insicurezza dello Stato di provenienza.

5. I motivi primo e terzo possono esaminarsi congiuntamente per la loro connessione, involgendo le doglianze, sotto distinti ma collegati profili, il giudizio di credibilità della vicenda personale narrata dal ricorrente e la valutazione della situazione, sia generale, sia riferita a fattori culturali e stili di vita, del Paese di provenienza.

5.1. Occorre precisare, quanto al giudizio di credibilità, che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, il giudice del merito, nel valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, secondo i parametri dettati dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, lett. c), deve attenersi anche a comuni canoni di ragionevolezza e a criteri generali di ordine presuntivo, non essendo di per sè solo sufficiente a fondare il giudizio di credibilità il fatto che la vicenda narrata sia circostanziata. L’art. 3 citato, infatti, obbliga il giudice a sottoporre le dichiarazioni del richiedente non soltanto ad un controllo di coerenza interna ed esterna, ma anche ad una verifica di credibilità razionale della concreta vicenda narrata a fondamento della domanda (da ultimo Cass. n. 21142/2019; Cass. n. 20580/2019). La suddetta verifica è sottratta al controllo di legittimità al di fuori dei limiti di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in quanto costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito.

5.2. Nel caso di specie il Tribunale ha vagliato la credibilità del racconto del ricorrente nel rispetto dei principi di diritto suesposti. In particolare ha ritenuto non credibili le cause di inclusione riferite dal richiedente, il quale affermava di essere di religione cristiana e di essere fuggito per timore di essere ucciso dal padre della sua fidanzata, musulmana, deceduta durante la pratica dell’aborto. Il Tribunale ha motivatamente escluso anche la credibilità della vicenda narrata, sottolineando le plurime lacune e incongruenze del racconto (pag. n. 7 e 8 del decreto impugnato) I Giudici di merito hanno evidenziato le principali contraddizioni ed illogicità del racconto del richiedente, di buon livello culturale perchè frequentava l’università, in particolare: a) sulle imprecisioni temporali insuperabili, quanto alla data di comunicazione, da parte della ragazza, del suo stato di gravidanza- gennaio 2013-rispetto alla morte della stessa, avvenuta il 15-10-2013 a seguito dell’aborto, asseritamente praticato al sesto mese di gravidanza; b) sulle modalità di reazione del padre della ragazza deceduta, rivolte non verso il ricorrente, ma verso suo padre e sua sorella, e anche intempestive e non conciliabili con le riferite divergenze religiose tra le due famiglie dei fidanzati; c) sulla mancata reiterazione di comportamenti minacciosi da parte dei familiari della ragazza dopo il 2013, nonostante la permanenza del ricorrente per due anni nel vicino Ogun State, ritenuta dal Tribunale circostanza tale da rendere non più attuale il rischio paventato.

Una volta esclusa dal Tribunale, con apprezzamento di fatto incensurabile e con motivazione adeguata, la credibilità delle vicende personali narrate, non ricorrono i presupposti per il riconoscimento del rifugio politico e della protezione sussidiaria di cui all’art. 14, lett. a) e lett. b), D.Lgs. cit., in cui rileva, se pure in diverso grado, la personalizzazione del rischio oggetto di accertamento (Cass. n. 6503/2014; Cass. n. 16275/2018). Non vi è infatti ragione di attivare i poteri di istruzione officiosa se questi sono finalizzati alla verifica di fatti o situazioni di carattere generale che, in ragione della non credibilità della narrazione del richiedente, non è possibile poi rapportare alla vicenda personale di questo. In casi siffatti, una indagine nel senso indicato si manifesta inutile proprio in quanto il rischio prospettato dall’istante, siccome riferito a fatti non dimostrati, difetterebbe comunque di concretezza e non potrebbe mai presentare il richiesto grado di personalizzazione (così Cass. n. 14283/2019). 5.3. Quanto alla domanda di protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) e alle doglianze espresse con il terzo motivo, l’accertamento della situazione di “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, che sia causa per il richiedente di una sua personale e diretta esposizione al rischio di un danno grave, quale individuato dalla medesima disposizione, implica un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, non censurabile in sede di legittimità al di fuori dei limiti di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (Cass. n. 32064/2018 e Cass. n. 30105/2018).

5.4. Nel caso di specie il Tribunale, con motivazione adeguata ed indicando le fonti di conoscenza (pag. n. 9 e n. 10 del decreto impugnato), ha escluso che la situazione generale della Nigeria e del Lagos State realizzi la fattispecie di cui trattasi. La situazione politica del paese è stata analizzata dal giudice territoriale, che ha escluso l’esistenza di una situazione di conflitto armato o di violenza generalizzata nella zona di origine del ricorrente.

Non ricorrono, pertanto, i vizi di violazione di legge denunciati con i motivi primo e terzo, che non meritano accoglimento.

6. Il secondo motivo è inammissibile.

6.1. Quanto alla doglianza relativa all’omessa considerazione, da parte del Tribunale, degli eventi occorsi al ricorrente in Libia, secondo la giurisprudenza di questa Corte l’allegazione da parte del richiedente che in un Paese di transito si consumi un’ampia violazione dei diritti umani, senza evidenziare quale connessione vi sia tra il transito attraverso quel Paese ed il contenuto della domanda, costituisce circostanza irrilevante ai fini della decisione, perchè l’indagine del rischio persecutorio o del danno grave in caso di rimpatrio va effettuata con riferimento al Paese di origine o alla dimora abituale ove si tratti di un apolide (Cass. n. 31676/2018).

6.2. Nel caso di specie non solo il ricorrente non ha evidenziato quale sia la connessione di cui si è appena detto, ma, in base a quanto esposto nel decreto impugnato (pag. n. 6), non aveva posto a fondamento del ricorso di primo grado gli eventi occorsigli nel periodo di sei mesi che aveva trascorso in Libia.

Il ricorrente non indica, inammissibilmente, quando, come e dove sia stata svolta l’allegazione di cui trattasi nel giudizio di merito (Cass. n. 27568/2017).

7. Anche il quarto motivo è inammissibile.

7.1. In ordine alla protezione umanitaria, secondo la giurisprudenza di questa Corte la valutazione deve essere autonoma, nel senso che il diniego di riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per ragioni umanitarie non può conseguire automaticamente dal rigetto delle altre domande di protezione internazionale, essendo necessario che l’accertamento da svolgersi sia fondato su uno scrutinio avente ad oggetto l’esistenza delle condizioni di vulnerabilità che ne integrano i requisiti (tra le tante Cass. n. 28990/2018). Ciò nondimeno il ricorrente ha l’onere di indicare i fatti costitutivi del diritto azionato ed il potere istruttorio ufficioso può esercitarsi solo in presenza di allegazioni specifiche sui profili concreti di vulnerabilità (Cass. n. 27336/2018).

7.2.Nella specie il diniego è dipeso dall’accertamento dei fatti da parte dei giudici di merito, che hanno escluso l’esistenza di fattori particolari di vulnerabilità con idonea motivazione, valutando le allegazioni del ricorrente e le informazioni sul Paese di origine. Le doglianze sono formulate genericamente, senza indicare alcun profilo di vulnerabilità specifico, nè sono state specificatamente censurate le argomentazioni di cui al decreto impugnato, secondo cui la vulnerabilità è stata, motivatamente, esclusa sotto ogni profilo.

In base alla giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 4455/2018), l’accertata assenza di vulnerabilità rende recessivo il fattore costituito dal percorso di integrazione. Le doglianze si risolvono, inammissibilmente, in una ricostruzione dei fatti difforme da quella accertata dal giudice di merito.

8. Conclusivamente, il ricorso deve essere rigettato, nulla dovendosi disporre sulle spese del presente giudizio, atteso che il Ministero è rimasto intimato.

9.1 Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, il 25 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 12 novembre 2019

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