Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.29282 del 12/11/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – rel. Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21588/2018 proposto da:

J.B., rappresentato e difeso dall’avvocato Corace Giacinto del foro di Milano giusta procura speciale allegata al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma Via Dei Portoghesi n. 12 presso l’Avvocatura Generale Dello Stato, che lo rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di MILANO, depositato il 21/06/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 25/09/2019 dal Cons. Dott. PARISE CLOTILDE.

FATTI DI CAUSA

1. Con decreto n. 2754/2018 depositato il 21-6-2018 il Tribunale di Milano ha respinto il ricorso di J.B., cittadino del *****, avente ad oggetto in via gradata il riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e di quella umanitaria. Il Tribunale ha ritenuto che fosse non credibile la vicenda personale narrata dal richiedente, il quale riferiva di essere fuggito per il timore di essere ucciso dai talebani, che lo avevano rapito mentre portava al pascolo le pecore sulle montagne, lo avevano picchiato ed infine accusato di collaborare con i militari. Il Tribunale ha ritenuto che non ricorressero i presupposti per il riconoscimento di alcuna forma di protezione, avuto anche riguardo alla situazione generale del Pakistan, descritta nel decreto impugnato, con indicazione delle fonti di conoscenza.

2. Avverso il suddetto provvedimento, il ricorrente propone ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, nei confronti del Ministero dell’Interno, che resiste con controricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta “Violazione dei parametri normativi relativi alla credibilità delle dichiarazioni dei richiedenti fissati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, lett. c). Il Tribunale non ha compiuto alcun esame comparativo tra le informazioni provenienti dal richiedente stesso e la situazione degli appartenenti alle minoranze etniche in Pakistan sottoposte a violenze e soprusi da parte dei Talebani, da esso indicate, da eseguirsi mediante la puntuale osservanza degli obblighi di cooperazione istruttoria incombenti sull’autorità giurisdizionale”. Deduce il ricorrente che le sue dichiarazioni non erano contraddittorie e il Giudice ha l’obbligo di cooperazione istruttoria per integrare il quadro probatorio, acquisendo altri dati informativi, mentre il Tribunale non aveva adottato il metodo istruttorio prescritto dal citato art. 3. Adduce, peraltro, che è risaputo ciò che avviene in Pakistan da parte dei Talebani, i quali attuano una vera e propria riduzione in schiavitù dei perseguitati.

2. Con il secondo motivo lamenta “Violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 17 e art. 14, lett. c), in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Il Tribunale di Milano, pur prendendo in considerazione il fatto che in Pakistan vi siano trattamenti inumani e degradanti, ha considerato che non vi sia rischio di persecuzione per il ricorrente”. Ad avviso del ricorrente il Tribunale ha omesso di vagliare la situazione di persecuzione personale subita da tutta la sua famiglia da generazioni (pag. n. 13 ricorso) e la situazione di violenza indiscriminata nella sua Regione di provenienza, non avendo il ricorrente fatto riferimento a quest’ultima.

3. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia “Violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19, comma 2 e art. 10, comma 3, motivazione apparente in relazione alla domanda di protezione umanitaria e alla valutazione di assenza di specifica vulnerabilità; omesso esame di fatti decisivi circa la sussistenza dei requisiti di quest’ultima”. Ad avviso del ricorrente il Tribunale, nel negare la protezione umanitaria, non ha considerato la condizione personale di vulnerabilità del ricorrente, in ragione delle persecuzioni e violenze dallo stesso subite, come comprovato dalle cicatrici sulle gambe, e su tale aspetto di carattere decisivo non ha svolto accertamenti. La vulnerabilità inoltre deriva dallo stato di instabilità ed insicurezza dello Stato di provenienza e dalla complessiva situazione di detto Stato, con riguardo alle considerevoli criticità, anche per la generalizzata violazione dei diritti umani, che emergono dai rapporti informativi, le cui informazioni il ricorrente trascrive nel ricorso, deducendone l’omesso esame da parte del Tribunale.

4. I primi due motivi possono esaminarsi congiuntamente per la loro connessione, involgendo le doglianze, sotto distinti ma collegati profili, il giudizio di credibilità della vicenda personale narrata dal ricorrente e la valutazione della situazione del Paese di provenienza.

4.1. Occorre precisare, quanto al giudizio di credibilità, che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, il giudice del merito, nel valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, secondo i parametri dettati dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, lett. c), deve attenersi anche a comuni canoni di ragionevolezza e a criteri generali di ordine presuntivo, non essendo di per sè solo sufficiente a fondare il giudizio di credibilità il fatto che la vicenda narrata sia circostanziata. L’art. 3 citato, infatti, obbliga il giudice a sottoporre le dichiarazioni del richiedente non soltanto ad un controllo di coerenza interna ed esterna, ma anche ad una verifica di credibilità razionale della concreta vicenda narrata a fondamento della domanda (da ultimo Cass. n. 21142 del 2019; Cass. n. 20580 del 2019). La suddetta verifica è sottratta al controllo di legittimità al di fuori dei limiti di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in quanto costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito.

4.2. Nel caso di specie il Tribunale ha vagliato la credibilità del racconto del ricorrente nel rispetto dei principi di diritto suesposti. In particolare ha ritenuto non credibili le cause di inclusione riferite dal richiedente, il quale affermava di essere fuggito per il timore di essere ucciso dai talebani, che lo avevano rapito mentre portava al pascolo le pecore sulle montagne, lo avevano picchiato ed infine accusato di collaborare con i militari. Il Tribunale ha motivatamente escluso la credibilità della vicenda narrata, sottolineando le plurime lacune e incongruenze del racconto (pag. n. 8 del decreto impugnato). I Giudici di merito hanno evidenziato in dettaglio le principali contraddizioni ed illogicità della narrazione del richiedente, in particolare: a) sulle false dichiarazioni circa il suo nome e la sua data di nascita rese al momento dell’ingresso in Italia, senza offrire alcuna valida e convincente spiegazione di detto comportamento, protrattosi anche quando il richiedente si trovava in territorio sicuro; b) sulla ragione giustificativa della sua presenza sulle montagne ove si nascondevano i talebani, nonostante il ricorrente avesse un lavoro in fabbrica e sapesse che in quei luoghi si trovavano i talebani; c) sulle modalità del suo rilascio da parte dei talebani, asseritamente avvenuto solo quando il richiedente aveva loro esibito la sua carta d’identità; d) sulle modalità della sua fuga dal Pakistan, avvenuta dopo più di due mesi, nonostante la riferita gravità delle minacce subite dai talebani e la nota pericolosità degli stessi.

4.3. Una volta esclusa dal Tribunale, con apprezzamento di fatto incensurabile e con motivazione idonea ai sensi del novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (Cass., sez. unite, n. 8053 del 2014), la credibilità delle vicende personali narrate, non ricorrono i presupposti per il riconoscimento del rifugio politico e della protezione sussidiaria di cui all’art. 14, lett. a) e lett. b), D.Lgs. cit., in cui rileva, se pure in diverso grado, la personalizzazione del rischio oggetto di accertamento (cfr. Cass. n. 6503 del 2014; Cass. n. 16275 del 2018). Non vi è infatti ragione di attivare i poteri di istruzione officiosa se questi sono finalizzati alla verifica di fatti o situazioni di carattere generale che, in ragione della non credibilità della narrazione del richiedente, non è possibile poi rapportare alla vicenda personale di questo. In casi siffatti, una indagine nel senso indicato si manifesta inutile proprio in quanto il rischio prospettato dall’istante, siccome riferito a fatti non dimostrati, difetterebbe comunque di concretezza e non potrebbe mai presentare il richiesto grado di personalizzazione (così Cass. n. 14283 del 2019).

4.4. Quanto alla domanda di protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), l’accertamento della situazione di “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, che sia causa per il richiedente di una sua personale e diretta esposizione al rischio di un danno grave, quale individuato dalla medesima disposizione, implica un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, non censurabile in sede di legittimità al di fuori dei limiti di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (Cass. n. 32064 del 2018 e Cass. n. 30105 del 2018).

4.5. Nel caso di specie il Tribunale, con motivazione adeguata ed indicando le fonti di conoscenza (pag.n. 10 del decreto impugnato), ha escluso che la situazione generale del Pakistan e della zona di provenienza del ricorrente (*****) realizzi la fattispecie di cui trattasi, così compiutamente esercitando il dovere di cooperazione istruttoria. La situazione politica del paese è stata, quindi, analizzata dal giudice territoriale, che ha escluso l’esistenza di una situazione di conflitto armato o di violenza generalizzata nella zona di origine del ricorrente. La censura si risolve in una generica critica del ragionamento logico posto dal giudice di merito a base dell’interpretazione degli elementi probatori del processo e, in sostanza, nella richiesta di una diversa valutazione degli stessi, ipotesi integrante un vizio motivazionale non più proponibile, in seguito alla modifica dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, apportata dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, convertito in L. n. 134 del 2012 (Cass., sez. un., n. 8053 del 2014 citata).

Non ricorrono, pertanto, i vizi di violazione di legge e motivazionali denunciati con i motivi primo e secondo, che non meritano accoglimento.

5. Il terzo motivo è inammissibile.

5.1. In ordine alla protezione umanitaria, secondo la giurisprudenza di questa Corte la valutazione deve essere autonoma, nel senso che il diniego di riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per ragioni umanitarie non può conseguire automaticamente dal rigetto delle altre domande di protezione internazionale, essendo necessario che l’accertamento da svolgersi sia fondato su uno scrutinio avente ad oggetto l’esistenza delle condizioni di vulnerabilità che ne integrano i requisiti (Cass. n. 28990 del 2018). Ciò nondimeno il ricorrente ha l’onere di indicare i fatti costitutivi del diritto azionato ed il potere istruttorio ufficioso può esercitarsi solo in presenza di allegazioni specifiche sui profili concreti di vulnerabilità (Cass. n. 27336 del 2018).

5.2. Nella specie il diniego è dipeso dall’accertamento dei fatti da parte dei giudici di merito, che hanno escluso l’esistenza di fattori particolari di vulnerabilità con idonea motivazione, valutando le allegazioni del ricorrente e le informazioni sul Paese di origine. Le doglianze sono formulate genericamente, facendo il ricorrente diffuso riferimento alla situazione di instabilità ed insicurezza del Pakistan, all’estrema difficoltà sociale ed alle perpetrate violazioni di diritti umani, senza indicare alcun profilo di vulnerabilità specifico.

Considerato, infine, che, in base alla giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 4455 del 2018), l’accertata assenza di vulnerabilità rende recessivo il fattore costituito dal percorso di integrazione, la censura di cui trattasi si risolve, inammissibilmente, in una ricostruzione dei fatti difforme da quella accertata dal giudice di merito.

6. Conclusivamente, il ricorso deve essere rigettato e le spese del presente giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

7. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto (Cass. n. 23535 del 2019).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in Euro 2.100, oltre eventuali spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, il 25 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 12 novembre 2019

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