Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.29293 del 12/11/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – rel. Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22323/2015 proposto da:

LAMBERTI S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA D’ARA COELI 1, presso lo studio dell’avvocato FEDERICO MARIA FERRARA, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato DIEGO RIGATTI;

– ricorrente –

contro

O.G.D.F.D.S.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 150/2014 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 12/09/2014, R.G.N. 1228/2011.

RILEVATO

che:

1. La Corte di appello di Milano, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Busto Arsizio, ha condannato la s.p.a. Lamberti al pagamento, in favore di O.G.D.F.D.S., della somma di Euro 66.625,05, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria dal 7 dicembre 2007 al saldo, a titolo di indennità di scioglimento del rapporto di agenzia di cui all’art. 1751 c.c..

2. La domanda proposta dall’ O., diretta all’accertamento dell’inadempimento della società prepotente per violazione del patto di non concorrenza di cui all’art. 10 del contratto di agenzia, era stata rigettata dal giudice di primo grado, che aveva parimenti respinto la domanda riconvenzionale della società. Il Giudice di primo grado aveva ritenuto che dalla corrispondenza intercorsa tra le parti poteva desumersi che vi erano state lunghe trattative (di circa sei mesi) per la risoluzione consensuale e per la stipulazione di un nuovo accordo negoziale, poi non perfezionatosi. Aveva escluso che la preponente avesse violato il patto di non concorrenza, come pure era da escludersi che tale violazione vi fosse stata da parte dell’agente.

3. Decidendo sulle opposte impugnazioni, principale dell’ O. e incidentale della società Lamberti, la Corte territoriale ha ritenuto fondata la censura svolta dall’agente, in quanto dallo scambio di corrispondenza avvenuto tra maggio e settembre 2007 poteva desumersi l’esistenza di una manifestazione di volontà dell’agente di recedere dal contratto, avendo appreso che la società Lamberti aveva effettuato la vendita diretta ad un cliente portoghese del prodotto da lui promosso. Ha dunque affermato che tale situazione integrava una seria lesione del rapporto di fiducia tra le parti, idonea ad integrare una giusta causa di risoluzione del contratto; che non vi erano contestazioni sul quantum del dovuto a titolo di indennità ex art. 1751 c.c.; che su tale somma spettavano “interessi dalla data di ricevimento della comunicazione di risoluzione – 7 dicembre 2007 – al saldo”. La Corte di appello ha rigettato l’appello incidentale della società Lamberti, avente ad oggetto il mancato riconoscimento della violazione del patto di non concorrenza da parte dell’ O. e il mancato riconoscimento dell’indennità sostitutiva del preavviso.

4. Per la cassazione di tale sentenza la s.p.a. Lamberti ha proposto ricorso affidato a tre motivi. O.G.D.F.D.S. è rimasto intimato.

CONSIDERATO

che:

1. Il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 345 c.p.c., artt. 1751 e 2119 c.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere i giudici di appello ritenuto ammissibile la domanda proposta dall’agente in sede di appello.

Si deduce che correttamente il primo giudice si era limitato ad accertare, come da domanda proposta dal ricorrente, se alla data del 31 agosto 2007 si fosse o meno verificata la giusta causa, ossia una colpa grave imputabile alla società; diversamente, la Corte di appello, esaminando la documentazione del periodo maggio-settembre 2007 per la ricerca di una nuova giusta causa di recesso, ne aveva riconosciuto la sussistenza alla data del 7 dicembre 2007, incorrendo nella violazione del divieto di ius novorum in appello.

2. Il secondo motivo denuncia nullità della sentenza del procedimento ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

Si deduce che nel ricorso introduttivo l’ O. aveva chiesto che gli accessori decorressero dal 1 settembre 2007 ovvero dal giorno successivo al 31 agosto 2007, mentre la sentenza ha condannato la società a pagare gli accessori dal 7 dicembre 2007.

3. Con il terzo motivo ci si duole dell’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ex art. 360 c.p.c., n. 5, in relazione alla ritenuta sussistenza della giusta causa di recesso ex art. 2119 c.c..

Si sostiene che “ad un più attento esame di decisive circostanze fattuali, sarebbe stato infatti agevole per il giudice di secondo grado rendersi conto di come in nessun modo la condotta della proponente sia stata in grado di causare quella rottura dell’elemento fiduciario che, secondo la Corte, avrebbe reso legittimo il recesso esercitato dall’agente”.

Segue da pagina 16 a pagina 33 la disamina delle circostanze che, ad avviso di parte ricorrente, dovrebbero giustificare una diversa soluzione della controversia. Si riportano i passi del contratto di agenzia che avrebbero autorizzato la società ad effettuare vendite dirette nell’area riservata all’agente e per i prodotti di quel contratto purchè senza pregiudizio per il diritto dell’agente alle provvigioni per effetto di tale vendite. Si deduce che tali commissioni furono pagate, come comprovato da documenti in atti. Si assume che la Corte aveva altresì omesso di considerare un’altra circostanza di carattere decisivo, ossia che la società venne a conoscenza delle vendite effettuate alla ditta portoghese contestualmente a quando ne venne a conoscenza l’ O., per cui nessuna omissione di comunicazione poteva esserle imputata (circostanze sulle quali inoltre vennero ammessi capitoli di prova formulati in primo grado dall’ O.). Infine, anche con riguardo alla documentazione intercorsa tra le parti tra maggio e settembre 2007, la ricorrente deduce l’erroneità di ritenere che la stessa avesse riconosciuto come dovuta l’indennità ex art. 1751 c.c., essendosi limitata a procedere al suo calcolo al fine di determinare le somme eventualmente in gioco nell’ambito della trattativa negoziale tesa alla risoluzione consensuale del rapporto di agenzia.

4. Il ricorso è infondato.

4.1. Va premesso che nel contratto di agenzia, pur nella sostanziale diversità delle rispettive prestazioni e della relativa configurazione giuridica, per stabilire se lo scioglimento del contratto stesso sia avvenuto o meno per un fatto imputabile al preponente o all’agente, tale da impedire la possibilità di prosecuzione anche temporanea del rapporto, può essere utilizzato per analogia il concetto di giusta causa di cui all’art. 2119 c.c., previsto per il lavoro subordinato; il giudizio sulla sussistenza di una giusta causa di recesso costituisce valutazione rimessa al giudice di merito e incensurabile in sede di legittimità ove sorretto da un accertamento sufficientemente specifico degli elementi di fatto e da corretti criteri di carattere generale ispiratori del giudizio di tipo valutativo (Cass. n. 422 del 2006; Cass. n. 3595 e 3869 del 2011).

5. Quanto al primo motivo, deve osservarsi che la Corte di appello, nel compiere l’accertamento che le era stato demandato, ha utilizzato tutta la documentazione acquisita agli atti, indipendentemente dalla parte che l’aveva prodotta e ne ha tratto la conclusione della sussistenza della giusta causa imputabile alla società procedendo all’esame del complesso della corrispondenza intercorsa tra le parti.

5.1. Il principio di acquisizione probatoria comporta l’impossibilità per le parti di disporre degli effetti delle prove ormai assunte, le quali possono giovare o nuocere all’una o all’altra parte indipendentemente da chi le abbia dedotte (Cass. n. 15480 del 2012, n. 21909 del 2013).

5.2. Nè può ritenersi sussistente un mutamento della domanda per il fatto che la sentenza abbia collocato il perfezionamento della giusta causa, addebitabile alla società per violazione dei patti negoziali, alla data del 5 dicembre 2007, ossia in un momento posteriore a quello indicato dall’appellante principale, ma pur sempre rientrante nel periodo compreso nell’ambito della cognizione e del devoluto in appello per effetto delle opposte impugnazioni.

6. Il secondo motivo è palesemente inammissibile, non essendo ravvisabile in capo alla società Lamberti alcun interesse a richiedere una decorrenza degli accessori retrodatata al 1 settembre 2007, all’evidenza più onerosa per la società. Vi è dunque un difetto di interesse (art. 100 c.p.c.) a ricorrere in ordine a tale motivo.

7. Il terzo motivo è inammissibile, poichè tende ad una rivisitazione del merito circa l’interpretazione delle clausole del contratto, il contenuto delle comunicazioni intercorse tra le parti per la cessazione del rapporto di agenzia e il comportamento tenuto dalla preponente circa la violazione dell’esclusiva.

7.1. Secondo costante giurisprudenza di legittimità, il ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, ma solo la facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (v. tra le tante, Cass. n. 27197 del 2011 e n. 24679 del 2013). 7.2. Nel caso in esame, la sentenza impugnata ha dato conto, puntualmente, delle ragioni poste a base del decisum; la motivazione non è assente o meramente apparente, nè gli argomenti addotti a giustificazione dell’apprezzamento fattuale appaiono manifestamente illogici o contraddittori. Nel contestare la soluzione cui è pervenuto il giudice di appello, parte ricorrente denuncia un’errata valutazione del materiale probatorio acquisito, ai fini di una alternativa ricostruzione dei fatti, con l’inammissibile intento di sollecitare una valutazione delle risultanze processuali diversa da quella accolta dal giudice del merito.

7.3. Per completezza, va comunque osservato che la denuncia di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio non corrisponde ai requisiti di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, che è invocabile nella sola ipotesi in cui sia stato omesso l’esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo, vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (cfr. Cass. S.U. n. 8053/2014).

8. In conclusione, il ricorso va rigettato. Nulla va disposto quanto alle spese del giudizio di legittimità, essendo l’ O. rimasto intimato.

9. Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali (nella specie, rigetto del ricorso) per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis (v. Cass. S.U. n. 23535/2019).

PQM

La Corte rigetta il ricorso; nulla per le spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 24 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 12 novembre 2019

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