Corte di Cassazione, sez. III Civile, Sentenza n.29509 del 14/11/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRAZIOSI Chiara – Presidente –

Dott. SCRIMA Antonietta – rel. Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. GORGONI Marilena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 2397/2016 proposto da:

S.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA BARBERINI 36, presso lo studio dell’avvocato CHIARA TUCCIMEI, rappresentata e difesa dall’avvocato ADRIANO DI FALCO;

– ricorrente –

contro

O.M.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 983/2015 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositata il 27/05/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 02/10/2019 dal Consigliere Dott. ANTONIETTA SCRIMA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FRESA Mario, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

FATTI DI CAUSA

S.M. propose gravame, innanzi alla Corte di appello di Firenze, nei confronti di O.M. e avverso la sentenza n. 1274/14 emessa dal Tribunale di Prato in data 6 dicembre 2014 che, in accoglimento della domanda avanzata dalla O., locatrice, ritenuta la nullità, per difetto della forma scritta, del contratto di locazione intervenuto con la S. (conduttrice) in relazione all’alloggio ammobiliato sito in *****, aveva condannato quest’ultima al rilascio immediato del detto bene e al pagamento dell’indennizzo per l’uso dell’abitazione come indicato nel dispositivo della sentenza impugnato, oltre interessi legali, con condanna altresì alle spese legali.

Il Tribunale aveva ritenuto che la deduzione della conduttrice, secondo cui era stata la proprietaria ad opporsi alla stesura in forma scritta del contratto di locazione in questione, stipulato verbalmente dal gennaio 2003, era contraddetta dalla documentazione rilasciata da O. (e prodotta in giudizio da S.) attestante il pagamento dei canoni mensili con la specifica (e diffusa) indicazione sulle ricevute delle ragioni del pagamento (tanto che, secondo il primo giudice, ogni singola ricevuta poteva ritenersi un contratto) che mal si conciliava, unitamente alla copiosità di documenti e attenzione redattivi, con la possibile prospettazione di vantaggi fiscali e che la disposta c.t.u. aveva consentito di stabilire l’entità dell’indennizzo che veniva fissato nell’ammontare del canone stabilito dalle parti e da versarsi a far data dall’agosto 2010, quando si era verificata la morosità della conduttrice.

L’appellante, con i motivi di gravame, sostenne che il giudice di primo grado aveva erroneamente ritenuto dovuta l’indennità di occupazione senza titolo, atteso che l’immobile era stato consegnato spontaneamente dalla locatrice O., la quale aveva sempre disatteso la richiesta di regolarizzare il rapporto di locazione, e che i canoni versati, in difetto di configurabilità dell’ipotesi di cui della L. n. 431 del 1998, art. 13, comma 5, dovevano essere restituiti.

La Corte di appello di Firenze, con sentenza pubblicata il 27 maggio 2015, rigettò l’appello e condannò l’appellante alle spese di quel grado.

Avverso la sentenza della Corte territoriale S.M. ha proposto ricorso per cassazione basato su un unico motivo e illustrato da memoria.

L’intimata non ha svolto attività difensiva in questa sede.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorso è improcedibile.

Ed invero la parte ricorrente per cassazione ha l’onere di depositare il ricorso entro venti giorni dall’ultima notifica (art. 369 c.p.c., comma 1).

Tale onere è prescritto a pena di improcedibilità e ha lo scopo di consentire alla Corte il controllo officioso del rispetto dei termini per proporre l’impugnazione, nonchè dei termini per l’utile introduzione della procedura.

1.2. Nel caso di specie, il ricorso è stato notificato a mezzo PEC (posta elettronica certificata).

Quando il ricorso venga notificato avvalendosi di tale mezzo, la parte ricorrente deve assolvere l’onere di deposito, di cui all’art. 369 c.p.c., depositando copia cartacea: 1) del ricorso; 2) del messaggio di posta elettronica cui era allegato; 3) della relazione di notificazione; 4) della ricevuta di avvenuta consegna del messaggio di posta elettronica cui era allegato il ricorso.

Tale deposito, tuttavia, da solo non è sufficiente, in quanto le regole sul processo civile telematico non sono ancora applicabili al giudizio di legittimità e, di conseguenza, dinanzi a questa Corte è ancora necessario il deposito di copie cartacee (c.d. “analogiche”) di tutti gli atti processuali.

Pertanto, quando gli atti processuali sono stati formati e trasmessi con modalità informatiche, la produzione in giudizio deve avvenire: 1) stampando e depositando il documento elettronico; 2) attestando, da parte del difensore, che la copia depositata è conforme all’originale.

La mancanza di attestazione di conformità all’originale della stampa dei suddetti documenti rende improcedibile il ricorso, a meno che l’altra parte, costituendosi, nulla osservi circa la conformità all’originale delle copie prodotte dal ricorrente.

1.3. I principi sopra riportati in sintesi sono stati affermati dalle Sezioni Unite di questa Corte, secondo cui “il deposito in cancelleria, nel termine di venti giorni dall’ultima notifica, di copia analogica del ricorso per cassazione predisposto in originale telematico e notificato a mezzo PEC, senza attestazione di conformità del difensore della L. n. 53 del 1994, ex art. 9, commi 1 bis e 1 ter, o con attestazione priva di sottoscrizione autografa, non ne comporta l’improcedibilità ove il controricorrente (anche tardivamente costituitosi) depositi copia analogica del ricorso ritualmente autenticata ovvero non abbia disconosciuto la conformità della copia informale all’originale notificatogli del D.Lgs. n. 82 del 2003, ex art. 23, comma 2. Viceversa, ove il destinatario della notificazione a mezzo PEC del ricorso nativo digitale rimanga solo intimato (così come nel caso in cui non tutti i destinatari della notifica depositino controricorso) ovvero disconosca la conformità all’originale della copia analogica non autenticata del ricorso tempestivamente depositata, per evitare di incorrere nella dichiarazione di improcedibilità sarà onere del ricorrente depositare l’asseverazione di conformità all’originale della copia analogica sino all’udienza di discussione o all’adunanza in Camera di consiglio” (Cass., sez. un, 24/09/2018, n. 22438; Cass., ord., 30/10/2018, n. 27480).

1.4. Nel caso di specie, lo stesso ricorso è privo di sottoscrizione; inoltre, le copie delle ricevute di accettazione e di avvenuta consegna e della relata di notifica depositate dalla ricorrente sono prive dell’attestazione di conformità all’originale, richiesta dal combinato disposto della L. 21 gennaio 1994, n. 53, art. 9, commi 1-bis ed 1-ter, a norma dei quali in tutti i casi in cui l’avvocato debba fornire prova della notificazione e non sia possibile fornirla con modalità telematiche, procede ai sensi L. n. 53 del 1994, art. 9, comma 1-bis e quando non si possa depositare telematicamente un atto telematicamente notificato, “l’avvocato estrae copia su supporto analogico del messaggio di posta elettronica certificata, dei suoi allegati e della ricevuta di accettazione e di avvenuta consegna e ne attesta la conformità ai documenti informatici da cui sono tratte” (Cass., sez. un. 27/04/2018, n. 10266, Cass. 26/06/2018, n. 16822). Nè tale asseverazione – munita di sottoscrizione autografa del difensore – di conformità agli originali dei predetti atti risulta essere stata depositata, fino alla pubblica udienza.

Il ricorso quindi va considerato privo della dimostrazione della regolarità della notifica e, quindi, della tempestività del deposito dello stesso (Cass., ord. 17/07/2019, n. 19119; Cass. 2/08/2019, n. 20869; Cass. 2/09/2019, n. 21960; Cass., ord., 25/09/2019, n. 23901) il che, peraltro, non consente neppure di verificare la tempestività della proposizione della detta impugnazione, con le conseguenti ricadute anche in tema di inammissibilità del ricorso in parola, e va, pertanto, dichiarato improcedibile (rilievo che precede quello dell’inammissibilità, v. sul punto Cass., sez. un., ord., 16/04/2009, n. 9004 e già Cass. 20/01/2006, n. 1104).

2. Non vi è luogo a provvedere per le spese del presente giudizio di legittimità nei confronti dell’intimata, non avendo la stessa svolto attività difensiva in questa sede.

3. Pur essendo stato il ricorso per cassazione proposto dopo l’entrata in vigore del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, la ricorrente, essendo stata ammessa al gratuito patrocinio, risulta esente dall’obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

P.Q.M.

La Corte dichiara improcedibile il ricorso; ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 2 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 14 novembre 2019

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