LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –
Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –
Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –
Dott. TERRUSI Francesco – rel. Consigliere –
Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 25636-2018 proposto da:
R.M.A., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato MASSIMO GILARDONI;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO ***** COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI MILANO, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
– controricorrente –
contro
PROCURA GENERALE DELLA REPUBBLICA PRESSO LA CORTE DI CASSAZIONE;
– intimata –
avverso il decreto del TRIBUNALE di MILANO, depositato il 17/07/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 10/09/2019 dal Consigliere Relatore Dott. FRANCESCO TERRUSI.
RILEVATO
che:
R.M.A. ha proposto ricorso per cassazione contro il decreto del tribunale di Milano che ha respinto la sua domanda di protezione internazionale e umanitaria;
il ministero dell’Interno ha replicato con controricorso.
CONSIDERATO
che:
il ricorrente chiede alla Corte in via preliminare di sollevare alcune questioni di legittimità costituzionale del D.L. n. 13 del 2017 come convertito in L. n. 46 del 2017;
la prima questione, che attiene al citato D.L., art. 21, e che è argomentata dalla mancanza dei presupposti di necessità e urgenza in ordine al differimento dell’efficacia temporale del nuovo rito in materia di protezione internazionale, è manifestamente infondata per la ragione che questa Corte ha già avuto modo di precisate con sentenza n. 17177 del 2018;
la seconda, che attiene al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, comma 13 (nel testo modificato dal suddetto D.L.), nella parte relativa al termine per proporre il ricorso per cassazione a decorrere dalla comunicazione del provvedimento a cura della cancelleria del giudice a quo, è irrilevante avendo il ricorrente rispettato il menzionato termine;
la terza, che attiene alla medesima norma nella parte, questa volta, in cui rende non reclamabile il provvedimento di merito, è manifestamente infondata in considerazione di quanto già da questa Corte osservato con la succitata sentenza n. 17177-18; con l’unico motivo il ricorrente denunzia la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 2, nella parte in cui il tribunale ha disconosciuto i presupposti della protezione umanitaria;
il motivo è inammissibile;
il tribunale, in rapporto al testo della norma in versione anteriore al D.L. n. 113 del 2018, ha conformato la decisione all’orientamento di questa Corte (v. Cass. n. 4455-18), stabilendo che la situazione del richiedente non era nel concreto tale da consentire di affermare sussistente l’integrazione sociale in Italia, tale da garantirgli un’esistenza libera e dignitosa; a tal riguardo ha considerato ininfluente la prova del rapporto di lavoro, essendo questo del tutto precario anche sul piano retributivo;
il tribunale ha anche considerato le allegate condizioni di salute del richiedente, considerandole non tali da richiedere cure salvavita;
in conclusione il tribunale ha escluso in concreto la condizione di soggettiva vulnerabilità personale;
in proposito la motivazione si basa su una valutazione in fatto, non sindacata sul versante della motivazione nei limiti in cui un tale vizio è ancora deducibile in cassazione;
il ricorso, nell’affermare che non sarebbe stata considerata la situazione di vulnerabilità all’esito di un giudizio di bilanciamento tra il grado di inserimento sociale raggiunto in Italia e la condizione di provenienza, implica, sotto spoglie di censura in iure, una critica al risultato della valutazione, notoriamente insuscettibile di trovare ingresso in questa sede; le spese seguono la soccombenza;
ad avviso del collegio, non deve farsi applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, stante l’ammissione del ricorrente al patrocinio a spese dello Stato.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente alle spese processuali, che liquida in Euro 2.100,00 oltre le spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 10 settembre 2019.
Depositato in Cancelleria il 14 novembre 2019