LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PETITTI Stefano – Presidente –
Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – rel. Consigliere –
Dott. ABETE Luigi – Consigliere –
Dott. GIANNACARI Rossana – Consigliere –
Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 6419/2018 proposto da:
T.P., F.D., T.M., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA POMPEO MAGNO, 2/B, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE PICONE, rappresentati e difesi dall’avvocato ORLANDO MARIO CANDIANO;
– ricorrenti –
contro
G.D., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA POMPEO MAGNO 2/B, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE PICONE, rappresentata e difesa dall’avvocato MARIO ORLANDO CANDIANO;
– ricorrente successivo –
e contro
MINISTERO ECONOMIA FINANZE;
– intimato –
avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di BARI, depositato il 19/12/2017;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 08/03/2019 dal Consigliere Dott. LUIGI GIOVANNI LOMBARDO.
RILEVATO
che:
– con ricorso al presidente della Corte di Appello di Bari, gli odierni ricorrenti, premettendo di avere già ottenuto dalla Corte di Appello di Lecce un parziale ristoro per la irragionevole durata di un giudizio pensionistico da essi instaurato dinanzi alla Corte dei conti, chiesero, ai sensi della L. n. 89 del 2001, la condanna del Ministero dell’Economia e delle Finanze al pagamento dell’indennizzo per l’ulteriore periodo di irragionevole durata del giudizio dal 29/11/2011 al 13/1/2016, data in cui fu emanata la sentenza definitiva di appello;
– il consigliere designato emise decreto col quale rigettò la domanda ai sensi della L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 2-quinquies, lett. a), per essere stata la domanda del giudizio presupposto proposta nella piena consapevolezza della sua inammissibilità, essendo il ricorso introduttivo di quel giudizio privo dei necessari dati anagrafici e della chiara esposizione della causa petendi posta a fondamento della domanda;
– avverso tale decreto, il ricorrente propose opposizione, ai sensi della L. n. 89 del 2001, art. 5-ter;
– con decreto del 19/12/2017, la detta Corte di Appello, in composizione collegiale, rigettò l’opposizione e condannò ciascuno dei ricorrenti alla sanzione pecuniaria del pagamento di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende;
– per la cassazione di questo decreto hanno proposto due distinti ricorsi, da un lato, F.D. ed altri e, dall’altro, e G.D., sulla base di sei eguali motivi del tutto sovrapponibili (che, per tale ragione, vanno esaminati unitariamente);
– il Ministero dell’Economia e delle Finanze, ritualmente intimato, non ha svolto attività difensiva.
CONSIDERATO
che:
– con i primi quattro motivi (proposti ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3), i ricorrenti deducono: 1) che la Corte territoriale avrebbe errato nel ritenere applicabile alla fattispecie per cui è causa la L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 2-quinquies, lett. a), come modificato dalla L. 28 dicembre 2015, n. 208 (a tenore del quale “Non è riconosciuto alcun indennizzo in favore della parte che ha agito o resistito in giudizio consapevole della infondatezza delle proprie domande o difese”), trattandosi di norma applicabile solo a decorrere dall’1 gennaio 2016, con esclusione, quindi, dei rapporti già esauriti prima della sua entrata in vigore; 2) che la Corte territoriale avrebbe dovuto applicare la precedente disciplina, che escludeva l’indennizzo nel solo caso di condanna ai sensi dell’art. 96 c.p.c., condanna nella specie non pronunciata; 3) che l’amministrazione convenuta non aveva comunque provato la temerarietà della lite e che la stessa non poteva essere rilevata d’ufficio; 4) che la Corte territoriale avrebbe violato il giudicato formatosi con la sentenza che aveva definito il giudizio presupposto, la quale aveva escluso la temerarietà della lite;
– i motivi in esame non possono trovare accoglimento perchè, se è vero che alla fattispecie per cui è causa non può essere applicato il nuovo testo della L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 2-quinquies, lett. a), introdotto dalla L. 28 dicembre 2015, n. 208, in quanto il giudizio presupposto è stato definito con sentenza emessa prima della data di entrata in vigore di tale ultima legge (1 gennaio 2016) e che va pertanto applicato il precedente testo della disposizione (a tenore della quale “Non è riconosciuto alcun indennizzo in favore della parte soccombente condannata a norma dell’art. 96 c.p.c.”), legittimamente tuttavia la Corte territoriale ha apprezzato autonomamente il carattere temerario della domanda promossa dai ricorrenti nel giudizio presupposto, in conformità alla giurisprudenza di questa Corte, dalla quale non v’è ragione di discostarsi, secondo cui “Stante il carattere non tassativo dell’elenco di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 2 quinquies, l’indennizzo per irragionevole durata del processo può essere negato a chi abbia agito o resistito temerariamente nel giudizio presupposto, anche in assenza di un condanna, all’esito dello stesso, per responsabilità aggravata, potendo il giudice del procedimento di equa riparazione, già prima della novella apportata dalla L. n. 208 del 2015, autonomamente valutare tale temerarietà, come evincibile dalla lett. f) dello stesso art. 2, comma 2 quinquies cit., che attribuisce carattere ostativo ad ogni altra ipotesi di abuso dei poteri processuali. Tale valutazione non è soggetta al sindacato di legittimità motivazionale, per effetto dei limiti introdotti dal nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5, nè, ove svolta d’ufficio, è censurabile in cassazione per pretesa violazione dell’art. 112 c.p.c., essendo, al contrario, doverosa, in quanto relativa ad un requisito negativo dell’esistenza del diritto” (Cass., Sez. 2, n. 24190 del 13/10/2017; Cass., Sez. 6-2, n. 9100 del 05/05/2016);
– non è ravvisabile poi, con riferimento al quarto motivo, il dedotto vincolo di giudicato, non risultando (nulla dicono in proposito gli stessi ricorrenti) che il giudice del giudizio presupposto abbia esplicitamente escluso, con apposita statuizione, il carattere temerario della lite;
– il quinto motivo – col quale i ricorrenti lamentano che la Corte territoriale abbia omesso di motivare in ordine alla misura (Euro 3000 per ciascun ricorrente) della irrogata sanzione pecuniaria di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 5 quater – è fondato, risultando che la misura della sanzione irrogata è priva di motivazione, che invece è sempre necessaria, essendo la mancanza assoluta o l’apparenza della motivazione – pur dopo la riforma dell’art. 360 c.p.c., operata dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134 – sempre sindacabile in sede di legittimità (cfr. Cass., Sez. Un., n. 8053 del 07/04/2014);
– il sesto motivo – col quale si solleva questione di legittimità costituzionale della L. n. 89 del 2001, art. 5-quater, per contrasto con l’art. 24 Cost., assumendosi che tale disposizione pone in pericolo la effettività della tutela giurisdizionale – è privo di ogni fondamento, avendo questa Suprema Corte ha già statuito che “In tema di equa riparazione per irragionevole durata del processo, è manifestamente infondata, in relazione agli artt. 3,24 e 111 Cost., l’eccezione d’illegittimità costituzionale della L. n. 89 del 2001, art. 5-quater, in quanto, senza alcun automatismo, rientra nel potere discrezionale del giudice valutare se sussistono i presupposti per disporre una sanzione pecuniaria a carico della parte nelle ipotesi di declaratoria di inammissibilità o rigetto della domanda per manifesta infondatezza e la previsione di detta sanzione, pur costituendo un deterrente rispetto alla proposizione dell’azione, è compatibile con i parametri costituzionali ed in particolare con il principio di effettività della tutela giurisdizionale, che, per realizzarsi concretamente, presuppone misure volte a ridurre i rischi di abuso del processo” (Cass., Sez. 6-2, n. 5433 del 18/03/2016);
– in definitiva, va accolto il quinto motivo di ricorso, vanno rigettati gli altri, il decreto impugnato va cassato in relazione al motivo accolto, con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello di Bari, che provederà anche in ordine alla spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
accoglie il quinto motivo di ricorso, rigetta gli altri, cassa il decreto impugnato in relazione alla censura accolta e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, ad altra sezione della Corte di Appello di Bari.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 24 ottobre 2019.
Depositato in Cancelleria il 14 novembre 2019