Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.29609 del 14/11/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna – rel. Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18000/2018 proposto da:

B.I., elettivamente domiciliata in Roma Via Dante Alighieri n. 60, presso dall’avvocato Giovanni Maria Facilla, che la rappresenta e difende giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui Uffici domicilia in Roma;

– intimato –

avverso il decreto n. 2009/2018 del Tribunale di Brescia, depositato il 25/5/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 16/10/2019 dal cons. Dott. SAMBITO MARIA GIOVANNA.

FATTI DI CAUSA

Con decreto del 25.5.2018, il Tribunale di Brescia ha rigettato le istanze volte in via gradata al riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e della protezione umanitaria, avanzate da B.I., cittadina nigeriana (*****). La richiedente ha proposto ricorso per cassazione, sulla scorta di tre motivi. L’Amministrazione ha depositato atto di costituzione.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Col primo motivo, la ricorrente deduce l’erroneità della decisione laddove ha escluso la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria, che deve esser riconosciuta, anche quando la violenza o il danno grave non provengono dallo Stato. A tale tutela,, prosegue la ricorrente, aveva diritto, essendo partita perchè non voleva sposare un uomo anziano e ricco propostole dai suoi familiari, i quali, in seguito, avevano iniziato a maltrattarla ed a dirle che, se non avesse accettato, avrebbe dovuto andare via; e la costrizione ad un matrimonio forzato costituisce una grave violazione della dignità della donna e configura un trattamento inumano e degradante.

2. Il motivo è infondato.

3. Occorre premettere che secondo condivisa giurisprudenza di questa Corte (n. 28152 del 2017), costituiscono atti di persecuzione basati sul genere, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 7 rientranti nel concetto di violenza domestica di cui all’art. 3 della Convenzione di Istanbul dell’11.5.2011, le limitazioni al godimento dei diritti umani fondamentali attuate ai danni di una donna che non voglia sottostare ad un matrimonio forzato, anche se posti in essere da autorità non statali, se le autorità statali non le contrastano o non forniscono protezione.

4. Ma tale principio non giova alla ricorrente. Il Tribunale ha rilevato che il racconto da lei esposto era scarsamente circostanziato con riguardo ai maltrattamenti subiti, che la versione resa davanti alla Commissione territoriale era differente rispetto a quella esposta in giudizio (rispetto al prestito contratto con l’amica che avrebbe finanziato il viaggio), che non era emersa alcuna minaccia concreta alla sua persona, che ancora non erano state esposte le ragioni per le quali la richiedente non poteva o non voleva chiedere protezione alle autorità del proprio Paese. Il Tribunale ha dato, piuttosto, atto che per provenienza, età ed aiuti ricevuti, la straniera poteva esser stata oggetto di tratta, ma che la stessa, pure espressamente informata della possibilità di avvalersi del sostegno delle associazioni anti tratta, ha negato di esserne vittima.

5. Pur non formulandolo espressamente, il Tribunale ha espresso un giudizio di non credibilità della storia (matrimonio imposto) narrata dalla ricorrente, e, questa Corte ha affermato la valutazione di credibilità soggettiva costituisce una premessa indispensabile perchè il giudice debba dispiegare il suo intervento: le dichiarazioni che siano intrinsecamente inattendibili, alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva non richiedono, infatti, alcun approfondimento istruttorio officioso (Cass. n. 5224 del 2013; n. 16925 del 2018 e successive conformi). Sotto altro profilo, va rilevato che se è vero che, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 5, lett. c, responsabili della persecuzione possono anche essere “soggetti non statuali” (in tesi, i familiari) è altrettanto vero che tanto rileva ove le autorità statali o le organizzazioni che controllano lo Stato o una parte consistente del suo territorio “non possono o non vogliono fornire protezione” adeguata ai sensi dell’art. 6, comma 2. Ed al riguardo in sede di merito, la ricorrente nulla ha dedotto, limitandosi, in seno al ricorso ad evidenziare che non potrebbe chiedere aiuto a causa della gravissima situazione della Nigeria, interamente afflitta dai continui scontri degli adepti del gruppo terroristico di *****, laddove il decreto ha affermato che nello ***** non è segnalata la presenza di tale gruppo terroristico.

6. Col secondo motivo, la ricorrente lamenta la violazione del D.Lgs. n. 296 del 1998, art. 5, comma 6 in riferimento alla protezione umanitaria. Il motivo è inammissibile. Premesso infatti che la valutazione di credibilità è rilevante anche in riferimento a tale titolo di soggiorno, va rilevato che la censura non deduce alcuna situazione di vulnerabilità, non rilevata dal Tribunale, e tale situazione deve riguardare la vicenda personale del singolo richiedente, diversamente, infatti, verrebbe in rilievo non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo Paese d’origine in termini del tutto generali ed astratti.

7. L’istanza di sospensione del provvedimento impugnato, formulata dal ricorrente, è inammissibile. Ed infatti il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 13 rimette al giudice che ha pronunciato il decreto impugnato di disporla, su istanza di parte ed all’esito dello specifico procedimento ivi previstoi in consonanza con la funzione della Corte di Cassazione, che è giudice di legittimità e non del fatto.

8. Non va provveduto sulle spese, dato il mancato svolgimento di attività difensiva della parte intimata. Essendo stata ammessa al patrocinio a spese dello Stato non è dovuto il raddoppio del contributo unificato.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 16 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 14 novembre 2019

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