Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.29611 del 14/11/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna – rel. Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19694/2018 proposto da:

I.I., elettivamente domiciliato in Roma Via Pirandello n. 67/A presso lo studio dell’Avvocato Sabrina Belmonte, rappresentato e difeso dall’avvocato Bruno Fedeli, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno;

– intimato –

avverso il decreto n. 2058/2018 del Tribunale di Brescia, depositato il 28/5/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 16/10/2019 dal cons. Dott. SAMBITO MARIA GIOVANNA.

FATTI DI CAUSA

Con decreto del 28.5.2018, il Tribunale di Brescia ha rigettato la domanda di protezione internazionale proposta da I.I., cittadino nigeriano, il quale dapprima aveva narrato di esser partito perchè voleva imparare la tecnica Europea di costruzione contraendo un debito con una maga ricca e potente suggellato da riti magici, ed aveva poi aggiunto che era fuggito a causa della scoperta della sua omosessualità da parte del figlio della maga, il quale, per tenere il segreto, lo aveva ricattato.

Il Tribunale ha ritenuto il racconto del richiedente inattendibile, ha quindi ritenuto insussistenti i presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato, del pari insussistente la situazione di violenza generalizzata nell'***** ed indimostrate specifiche situazioni soggettive, tali da giustificare il rilascio del permesso di soggiorno umanitario.

Avverso questa pronuncia ha proposto ricorso per cassazione il cittadino straniero sulla base di due motivi. Non ha svolto difese l’Amministrazione intimata.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Col primo motivo, si deduce la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, comma 1, lett. g), artt. 5 e 14 anche in relazione agli artt. 4 p. 3d della Direttiva 2004/83/CE e 13 p.3 lett. a) della Direttiva 2005/85/CE.

Il ricorrente lamenta, in particolare, che il Tribunale abbia errato nella valutazione delle dichiarazioni rese in sede di audizione in data 21.3.2018, avendo ritenuto aprioristicamente non credibili le riferite motivazioni dell’espatrio e così esponendolo al rischio di subire atti di persecuzione, o addirittura all’arresto per il suo orientamento sessuale. Ribadisce, inoltre, che è stato costretto a fuggire per timore di subire atti di ritorsione da parte della maga, tale M.M., e di esser stato nell’impossibilità assoluta di domandare protezione al proprio Paese, che qualifica come reati gli atti omossessuali, tenuto conto peraltro che la modifica della versione delle ragioni dell’espatrio era dovuta all’imbarazzo ed alla vergogna provati in un primo tempo e che la protezione deve essere riconosciuta quando, a prescindere dalla rispondenza al vero, venga ascritta al richiedente asilo l’appartenenza ad una categoria (nella specie, gli omosessuali) oggetto di persecuzione.

2. Il motivo è infondato.

3. Secondo la condivisa giurisprudenza di questa Corte: a) la circostanza che l’omosessualità sia considerata come reato dall’ordinamento giuridico del Paese di provenienza del richiedente asilo costituisce, di per sè sola, una grave ingerenza nella vita privata dei cittadini omosessuali, che compromette grandemente la loro libertà personale e li pone in una situazione oggettiva di pericolo, tale da giustificare la concessione della protezione internazionale (Cass. n. 4522/2015); b) tale violazione di un diritto fondamentale, sancito dalla nostra Costituzione, dalla C.E.D.U. e dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, vincolante in questa materia, si riflette, automaticamente, sulla condizione individuale delle persone omosessuali ponendole in una situazione oggettiva di persecuzione, rilevante, appunto, ai fini della protezione richiesta (Cass. n. 15981 del 2012).

4. Ma tanto non giova al richiedente, in quanto lo stesso non è stato ritenuto credibile in relazione alla sua dichiarata omosessualità, e tale valutazione, contrariamente a quanto si opina in seno al ricorso, risulta effettuata in conformità dei parametri indicati dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 che opera la trasposizione nel diritto nazionale della Direttiva 2004/83/CE. Infatti, il Tribunale non ha valorizzato il solo fatto che il richiedente non aveva dichiarato alla prima occasione di temere di esser perseguitato in ragione del suo asserito orientamento sessuale, ma dopo aver proceduto al suo esame, disposto onde consentirgli di esprimersi liberamente, ha ritenuto il racconto vago e generico, narrato in modo posticcio “come se si trattasse di vicende riguardanti un’altra persona”. Se dunque i principi stabiliti nella sentenza della Corte di Giustizia, 2 dicembre 2014 in C-148/13 a C-150/13 risultano rispettati, va rilevato che il giudizio di non credibilità del racconto è stato assunto, tra l’altro, tenuto conto: a) delle incongruenze relative alla figura di M.M., con la quale il ricorrente faceva accordi, suggellati dalla magia nera (i cui effetti sarebbero limitati alla Nigeria) nonostante la stessa odiasse gli omosessuali; b) della inverosimiglianza del fatto che il richiedente avrebbe avuto rapporti nel bagno di un locale pubblico, durante una festa, nonostante consapevole dei rischi che nel suo Paese corrono gli omosessuali; c) delle discrasie nella narrazione dei risvolti economici (il richiedente poteva pagare, almeno in parte, il ricattatore, ma si era, ugualmente, rivolto alla maga per reperire il denaro per espatriare, mentre il costo della traversata sarebbe stato pagato coi proventi del suo lavoro forzato in Libia). L’ipotesi secondo cui l’orientamento omosessuale gli sarebbe stato attribuito dall’agente persecutore, invocata dal ricorrente in riferimento alla sentenza della Corte di Giustizia 7.11.2013, presuppone la veridicità della persecuzione, che come si è detto, è stata esclusa dal Tribunale.

5. Il decreto resiste, dunque, alle critiche del ricorrente, dovendo, poi, rilevarsi che, secondo la giurisprudenza di questa Corte ed in riferimento ai casi disciplinati dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett a) e b) di “condanna a morte o all’esecuzione della pena di morte” o “tortura o altra forma di pena o trattamento inumano e degradante ai danni del richiedente”, la valutazione di credibilità soggettiva costituisce una valutazione rimessa al giudice del merito ed una premessa indispensabile perchè quel giudice debba dispiegare il suo intervento: le dichiarazioni che siano intrinsecamente inattendibili, alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 non richiedono, infatti, alcun approfondimento istruttorio officioso (Cass. n. 5224 del 2013; n. 16925 del 2018). Resta da aggiungere che, contrariamente a quanto deduce il ricorrente, il Tribunale ha comunque escluso, sulla scorta dei menzionati COI la ricorrenza del caso della “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c).

6. Col secondo motivo, si deduce “l’erronea interpretazione dei fatti e delle circostanze posti a fondamento della domanda” violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3 e del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 in riferimento al mancato riconoscimento della protezione umanitaria.

7. Il motivo è inammissibile. A parte che la credibilità soggettiva costituisce un presupposto per il riconoscimento, anche di tale titolo di soggiorno, va rilevato che il Tribunale, contrariamente a quanto affermato dal ricorrente, ha escluso la ricorrenza di situazioni di vulnerabilità, apprezzamento che attiene al merito, ed il ricorrente, che si limita sostanzialmente a trascrivere le norme invocate non indica le ragioni per le quali la decisione sarebbe giuridicamente erronea, sicchè la censura tende ad una nuova valutazione dei fatti (in relazione al suo stato di salute, quale attestato dalle prodotte certificazioni).

7. Non si fa luogo a statuizioni sulle spese, stante il mancato svolgimento di attività difensiva da parte dell’Amministrazione.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della non sussistenza allo stato dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, semprecchè l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato non risulti revocata dal giudice competente.

Così deciso in Roma, il 16 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 14 novembre 2019

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