LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –
Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –
Dott. CIGNA Mario – rel. Consigliere –
Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –
Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 12306/2018 proposto da:
G.D., elettivamente domiciliato in ROMA, V. CIPRO 77, presso lo studio dell’avvocato MARIA TERESA SURACE, rappresentato e difeso dall’avvocato GIOACCHINO CARONE;
– ricorrente –
contro
WIND TRE SPA, in persona del procuratore Avv. D.L.A., elettivamente domiciliata in ROMA, CORSO DEL RINASCIMENTO 49, presso lo studio dell’avvocato DANIELE CUTOLO, che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 19941/2017 del TRIBUNALE di ROMA, depositata il 19/10/2017;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 08/10/2019 dal Consigliere Dott. MARIO CIGNA.
FATTI DI CAUSA
G.D. convenne in giudizio dinanzi al Giudice di Pace di Roma la Wind Infostrada SpA per ottenere il risarcimento dei danni conseguenti al mancato inserimento (negli anni dal *****) delle proprie generalità e del proprio numero telefonico negli elenchi telefonici degli abbonati predisposti dalla detta società.
Con sentenza 32254 del 2016 l’adito Giudice di Pace rigettò la domanda per mancata prova del danno subito.
Con sentenza 19941/2017 il Tribunale di Roma ha rigettato l’appello proposto da G.D.; in particolare il Tribunale ha, in primo luogo, evidenziato che l’appellante non aveva neppure dedotto (e tanto meno provato) il pregiudizio alla vita di relazione, o alla sua attività professionale di ingegnere, subito per effetto della mancata pubblicazione negli elenchi del numero del suo studio professionale; ha, poi, ritenuto inammissibile la richiesta di indennizzo, in quanto formulata solo in appello; a tale riguardo ha comunque precisato che non era stata fornita in giudizio prova dell’esistenza di un obbligo di corrispondere il detto indennizzo, atteso che l’attore non aveva prodotto la fonte di tale indennizzo, e cioè la Delib. n. 124 del 2010 e Delib. n. 73 del 2011, dell’Autorità delle Comunicazioni; atti quest’ultimi di natura amministrativa, come tali non soggetti al principio “iura novit curia”.
Avverso detta sentenza G.D. propone ricorso per Cassazione, affidato ad un unico articolato motivo ed illustrato anche da successiva memoria.
La Wind Tre SpA resiste con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con l’unico articolato motivo il ricorrente, denunciando violazione dell’art. 112 c.p.c., art. 2059 c.c. e delle norme regolamentari dell’Agcom (Delib. n. 73/11/CONS e Delib. n. 124/10/CONS) in materia di indennizzo, rileva innanzitutto che la richiesta di indennizzo non poteva essere ritenuta domanda nuova, in quanto la stessa era stata già richiesta nel giudizio di primo grado; sostiene, inoltre, che doveva essere riconosciuto (sia pure in via equitativa) un danno all’immagine, in quanto lo studio professionale, non avendo un numero telefonico in elenco, offriva di sè un’immagine poco efficiente e poco affidabile; sostiene, infine, che il Tribunale fosse tenuto a conoscere e ad applicare le menzionate Delib. Agcom in tema di indennizzo.
Il motivo è inammissibile.
Con riferimento alla doglianza concernente il danno all’immagine, correttamente, invero, la Corte territoriale ha richiesto l’allegazione e la prova dello stesso; al riguardo va infatti ribadito, in linea generale, che il danno risarcibile si identifica non con la lesione dell’interesse tutelato dall’ordinamento ma con le conseguenze di tale lesione, sicchè, con riferimento al caso di specie, anche il danno all’immagine, in quanto costituente “danno conseguenza”, non può ritenersi sussistente “in re ipsa”, dovendo invece essere allegato e provato da chi ne domanda il risarcimento (conf., da ultimo, Cass. 7594/2018 e Cass. 11754/2018).
Con riferimento poi alla doglianza concernente la richiesta di indennizzo, va innanzitutto precisato che, in ragione della diversità del “petitum” e della “causa petendi”, richiesta di risarcimento danni e richiesta di indennizzo sono tra loro domande diverse, sicchè, ove formulata in primo grado la sola richiesta di risarcimento, non può poi, atteso il disposto dell’art. 345 c.p.c., essere formulata in appello la domanda di indennizzo; nella specie, come correttamente affermato dalla Corte territoriale (e riscontrato anche da questa S.C.. in ragione dell’esame diretto degli atti consentito dalla natura processuale del vizio denunciato), nel giudizio di primo grado non è stata formulata in primo grado alcuna richiesta di indennizzo, sicchè quest’ultima (come correttamente affermato dalla Corte territoriale) non poteva poi essere proposta per la prima volta in appello; in proposito va solo evidenziato che il rinvio alle Delib. Agcom, contenuto nell’atto di citazione in primo grado (ove mai si parla di indennizzo), è riferito esclusivamente alla quantificazione del danno, mentre nessuna rilevanza v riconosciuta alla comparsa conclusionale, finalizzata solo a più completamente illustrare le richieste già avanzate ma giammai a formularne delle nuove.
L’inammissibilità della domanda di indennizzo assorbe ogni rilievo della questione concernente la conoscibilità o meno, da parte della Corte di merito, delle delibere dell’Agcom, fonte del richiesto indennizzo; al riguardo va, in ogni modo, rilevato che le delibere Agcom in questione sono state prodotte solo in grado d’appello e che, avendo le stesse natura di atti amministrativi, il Giudice non è tenuto a conoscerle, non valendo per detti atti il principio “iura novit curia” (Cass. S.U. 9941/2009; 15065/2014, 15100/2018).
Alla luce di tali considerazioni, pertanto, il ricorso va dichiarato inammissibile.
Le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, poichè il ricorso è stato presentato successivamente al 30-1-2013 ed è stato dichiarato inammissibile, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1 bis.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento, delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano in Euro 3.200,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge; dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.
Così deciso in Roma, il 8 ottobre 2019.
Depositato in Cancelleria il 15 novembre 2019