Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.29736 del 15/11/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. CIGNA Mario – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – rel. Consigliere –

Dott. D’ARRIGO Cosimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26459-2017 proposto da:

P.B., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEL VIMINALE 38, presso lo studio dell’avvocato MACEDONIO VINCENZO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

UNIPOLSAI ASSICURAZIONI SPA, in persona del procuratore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DI SANTA COSTANZA 27, presso lo studio dell’avvocato MARINI LUCIA, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2284/2017 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 06/04/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 14/03/2019 dal Consigliere Relatore Dott. POSITANO GABRIELE.

RILEVATO

Che:

P.B. evocava in giudizio, davanti al Tribunale di Roma, la Società Aurora Assicurazioni S.p.A., successivamente Unipol Assicurazioni S.p.A., per sentirla condannare a pagamento dell’indennizzo o del risarcimento per i danni subiti a seguito del furto avvenuto presso la sua abitazione in data 10 novembre 2003 e quantificato nei limiti del massimale assicurato;

si costituiva la società convenuta contestando la pretesa; la causa era istruita con la prova testimoniale;

il Tribunale di Roma con sentenza n. 10072 del 2011 rigettava la domanda condannando l’attore al pagamento delle spese di lite;

avverso tale decisione P.B. proponeva appello con atto di citazione del 27 dicembre 2011 e si costituiva la controparte contestando l’impugnazione;

con sentenza del 6 aprile 2017 la Corte d’Appello di Roma rigettava l’impugnazione condannando l’appellante al pagamento delle spese di lite;

avverso tale decisione propone ricorso per cassazione P.B. affidandosi a quattro motivi, che illustra con memoria. Resiste con controricorso Unipol Sai assicurazioni S.p.A..

CONSIDERATO

Che:

con il primo motivo si deduce la nullità della sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4 per esservi, in essa, contraddizione e difformità tra l’epigrafe, indicante la parte ricorrente e il dispositivo, facente riferimento ad altra sentenza e, quindi, ad altro giudizio;

l’appello rigettato, secondo parte ricorrente, deve intendersi riferito alla sentenza del Tribunale di Viterbo. Tale confusione di elementi farebbe presumere che la Corte territoriale abbia esaminato la vicenda processuale in maniera inadeguata;

con il secondo motivo, dedotto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, si censura l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, rappresentato dalla deposizione del teste N., oltre che dalla denunzia di furto dell’11 novembre 2003 costituente atto di “fondamentale importanza”;

con il terzo motivo si lamenta la violazione di norme di diritto, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, riguardo alla mancata remissione sul ruolo della causa al fine di ricercare i documenti scomparsi o di cui, comunque, doveva avviarsi la ricerca;

con il quarto motivo si deduce la violazione dell’art. 92 c.p.c.. La Corte territoriale di Roma avrebbe erroneamente disposto la compensazione delle spese in presenza di una soccombenza parziale;

il ricorso è dedotto in violazione dell’art. 366 n. 3 quanto all’esposizione del fatto, che è assolutamente insufficiente. Il ricorso non rispetta il requisito dell’esposizione sommaria dei fatti, prescritto a pena di inammissibilità del ricorso per cassazione dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, che, essendo considerato dalla norma come uno specifico requisito di contenuto-forma del ricorso, deve consistere in una esposizione che deve garantire alla Corte di cassazione di avere una chiara e completa cognizione del fatto sostanziale che ha originato la controversia e del fatto processuale, senza dover ricorrere ad altre fonti o atti in suo possesso, compresa la stessa sentenza impugnata (Cass. sez. un. 11653 del 2006). La prescrizione del requisito risponde non ad un’esigenza di mero formalismo, ma a quella di consentire una conoscenza chiara e completa dei fatti di causa, sostanziali e o processuali, che permetta di bene intendere il significato e la portata delle censure rivolte al provvedimento impugnato (Cass. sez. un. 2602 del 2003). Stante tale funzione, per soddisfare il requisito imposto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, è necessario che il ricorso per cassazione contenga, sia pure in modo non analitico o particolareggiato, l’indicazione sommaria delle reciproche pretese delle parti, con i presupposti di fatto e le ragioni di diritto che le hanno giustificate, delle eccezioni, delle difese e delle deduzioni di ciascuna parte in relazione alla posizione avversaria, dello svolgersi della vicenda processuale nelle sue articolazioni e, dunque, delle argomentazioni essenziali, in fatto e in diritto, su cui si è fondata la sentenza di primo grado, delle difese svolte dalle parti in appello, ed in fine del tenore della sentenza impugnata. Poichè il ricorso, nell’esposizione del fatto, non rispetta tali contenuti è inammissibile;

in secondo luogo i singoli motivi sono dedotti in maniera del tutto generica ed assertiva (Cass., Sez. Un. N. 7074 del 2017);

infine, la dedotta difformità nel dispositivo della indicazione della sentenza impugnata costituisce errore materiale riconoscibile;

il secondo e terzo motivo sono, altresì, dedotti in violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6, sia riguardo alla trascrizione dell’atto, che consentirebbe di dimostrare di avere depositato il fascicolo di parte in appello, sia riguardo al contenuto della denuncia e della prova testimoniale. Sono, poi, infondati riguardo al presunto mancato esame della prova testimoniale che è presente nel fascicolo di ufficio di primo grado (“presente in atti”, per quello che si legge nella sentenza di appello) e non in quello di parte appellante;

il terzo motivo è altresì privo della indicazione delle norme che sarebbero state violate;

il quarto motivo è inammissibile non potendosi sindacare in sede di legittimità la valutazione discrezione sull’omessa compensazione delle spese di lite (Sez. U, Sentenza n. 14989 del 15/07/2005, Rv. 582306 – 01);

le considerazioni oggetto della memoria non consentono di superare i rilievi che precedono;

ne consegue che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile; le spese del presente giudizio di cassazione – liquidate nella misura indicata in dispositivo – seguono la soccombenza. Infine, va dato atto – mancando ogni discrezionalità al riguardo (tra le prime: Cass. 14/03/2014, n. 5955; tra molte altre: Cass. Sez. U. 27/11/2015, n. 24245) – della sussistenza dei presupposti per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, in tema di contributo unificato per i gradi o i giudizi di impugnazione e per il caso di reiezione integrale, in rito o nel merito.

PQM

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese in favore della controricorrente, liquidandole in Euro 3.800,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002. art. 13, comma 1-quater, da atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sesta Sezione Civile-3, il 14 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 15 novembre 2019

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