LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –
Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –
Dott. DI FLORIO Antonella – rel. Consigliere –
Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –
Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA INTERLOCUTORIA
sul ricorso 31503/2018 proposto da:
J.A., nato a *****, domiciliato in Roma piazza Cavour presso la cancelleria civile della Corte di Cassazione rappresentato e difeso dall’avv.to Caterina Bozzoli con studio in Padova, via Trieste 49, giusta procura speciale allegata al ricorso.
– ricorrente –
contro
Ministero Dell’interno, in persona del Ministero pro tempore;
– intimato –
avverso il decreto del TRIBUNALE di VENEZIA n. 4925/2018 depositato il 17/09/2018;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 08/10/2019 dal Consigliere Dott. ANTONELLA DI FLORIO.
RITENUTO
che:
1. J.A., nativo della *****, ricorre, affidandosi ad un unico motivo, per la cassazione del decreto del Tribunale di Venezia che aveva respinto il ricorso avverso il diniego di riconoscimento di qualsiasi forma di protezione internazionale, deliberato dalla competente Commissione territoriale.
2. Il Ministero dell’Interno intimato non si è difeso.
CONSIDERATO
che 1. Con unico articolato motivo, il ricorrente deduce, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione dell’art. 1, lett. a), punto 2 della Convenzione di Ginevra, D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 8,D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 e del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3.
1.1 Deduce, altresì, la mancanza o apparenza di motivazione e la nullità della sentenza per violazione degli artt. 112,132,156 c.p.c. e del D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8 e 27.
1.2 Lamenta che il Tribunale, rispetto alla domanda di protezione internazionale, declinata in tutte le sue forme e fondata sul persistente stato di guerra e sull’epidemia di ebola esistenti nel paese di provenienza, aveva reso una motivazione apodittica e superficiale, omettendo sia di tenere conto di tutti i rapporti internazionali che descrivevano una situazione generalizzata di guerra, omicidi ed abusi dei diritti umani, sia di dare conto dell’integrazione raggiunta in Italia e dimostrata dalla documentazione prodotta.
2. Il Collegio osserva che:
a. la censura, per la parte riferita al diniego del permesso di soggiorno per motivi umanitari, lamenta, nella sostanza, una motivazione contraddittoria ed illogica riguardo alla condizione di vulnerabilità e del tutto assente in relazione al grado di integrazione che il ricorrente avrebbe raggiunto dimostrata, in tesi, sulla base della documentazione prodotta attestante lo svolgimento di una stabile attività lavorativa sin dal 19.2.2018 (richiama, al riguardo, l’all. mod. unilav, effettivamente presente in atti ed ignorato nella motivazione);
b. rispetto a tali doglianze, rilevano le recenti ordinanze di rimessione alle sezioni unite (Cass. nn. 11749, 11750, 11751 del 2019) sulle seguenti questioni:
1. se la disciplina contenuta nel D.L. n. 113 del 2018, nella parte in cui abolisce le norme che consentivano il rilascio di un permesso per motivi umanitari (D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, vecchio testo, e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3) e le sostituisce con ipotesi tipizzate di permessi di soggiorno in “casi speciali”, sia applicabile anche ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del D.L., relativi a fattispecie in cui, alla stessa data, la commissione territoriale non avesse ravvisato le ragioni umanitarie e avverso tale decisione fosse stata proposta azione davanti all’autorità giudiziaria”;
2. se, risolta la prima questione nel senso di ritenere tuttora applicabili ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del D.L. n. 113 del 2018, i previgenti parametri normativi, debba essere confermato il principio affermato da Cass. 23 febbraio 2018, n. 4455, secondo cui il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, può essere riconosciuto anche al cittadino straniero che abbia realizzato un grado adeguato di integrazione sociale in Italia, sulla base di una valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza”.
3. Poichè la decisione delle sezioni unite ridonda necessariamente sulla soluzione della presente controversia, la causa deve essere rinviata a nuovo ruolo.
P.Q.M.
La Corte:
rinvia a nuovo ruolo.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 8 ottobre 2019.
Depositato in Cancelleria il 18 novembre 2019
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