Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.30012 del 19/11/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ACIERNO Maria – Presidente –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

Dott. SCORDAMAGLIA Irene – rel. Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20673/2018 proposto da:

S.M.L., elettivamente domiciliato in Roma Via P.

Falconieri 55 presso lo studio dell’avvocato Cucina Augusta Massima che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

Ministero Dell’interno, *****, Procura Generale;

– intimato –

e contro

Ministero Dell’interno *****, elettivamente domiciliato in Roma Via Dei Portoghesi 12 Avvocatura Generale Dello Stato. che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 666/2018 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 09/03/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 14/06/2019 dal Consigliere Dottoressa IRENE SCORDAMAGLIA.

FATTI DI CAUSA

1. La Corte di appello di Bologna, con sentenza pubblicata il 9 marzo 2018, ha rigettato l’appello proposto avverso l’ordinanza del Tribunale della stessa città del 23 maggio 2016, che aveva respinto il ricorso presentato da S.M.L., cittadino gambiano, contro il provvedimento della Commissione territoriale di diniego della richiesta di protezione internazionale, sub specie di riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria e, in subordine, della protezione umanitaria.

A fondamento della decisione la Corte territoriale ha addotto che il timore, allegato dall’appellante, di essere imprigionato nel suo paese di origine, a cagione della falsa denuncia di furto di denaro presentata nei suoi confronti dal datore di lavoro, era stato affidato a dichiarazioni del tutto inattendibili – giudicate tali sia dalla Commissione territoriale che dal Tribunale – delle quali, con i motivi di gravame, non erano stati chiariti i profili di vaghezza, contraddittorietà e inverosimiglianza, ricadenti su aspetti fondamentali della vicenda narrata. Ha, in aggiunta, osservato, con specifico riferimento al diniego della protezione sussidiaria, come non sussistesse il pericolo di alcun danno grave, cui in ipotesi il richiedente sarebbe rimasto esposto ritornando in Gambia, posto che colà egli era stato immediatamente scarcerato dopo essere stato arrestato, a riprova di un sistema minimo di garanzie giudiziarie, e – quanto al rischio di subire gli effetti di una violenza generalizzata – che egli non aveva allegato alcun fatto specifico dal quale desumere un suo disaccordo rispetto alla politica dello Stato. Ha, infine, escluso che l’appellante potesse vantare un diritto a ricevere la protezione umanitaria, nulla avendo allegato in ordine a specifiche condizioni di fragilità suscettibili di comprometterne la condizione.

2. Il ricorso per cassazione è articolato su tre motivi, che denunciano:

I. Il vizio di violazione di legge, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 e 5 per non avere la Corte territoriale esercitato i propri poteri di integrazione probatoria officiosa rispetto ai fatti allegati dal richiedente relativi al rischio di venire imprigionato nelle carceri gambiane ed ivi sottoposto a trattamenti inumani suscettibili di rilevare ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b);

II. il vizio di violazione di legge, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) per avere la Corte territoriale omesso di compulsare, in forza del dovere di collaborazione istruttoria officiosa di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, fonti di informazione qualificate, onde accertare la situazione di violenza indiscriminata esistente in Gambia, così venendo meno all’obbligo di considerare la condizione del richiedente alla luce della situazione generale accertata;

III. il vizio di violazione di legge, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b) in ragione della omessa considerazione dell’instabilità politica e sociale dello Stato del Gambia.

3. L’intimato Ministero dell’Interno si è costituito in giudizio.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Il ricorso è inammissibile.

1.1. La censura di cui al primo motivo non supera il vaglio di ammissibilità.

1.1. Vero è che, in tema di protezione internazionale sussidiaria, quale è quella sulla quale si appunta la doglianza, vige la regula iuris secondo cui il grave danno alla persona, ai sensi del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. b), può essere determinato dalla sottoposizione a trattamenti inumani e degradanti con riferimento alle condizioni carcerarie, di modo che il giudice è tenuto a fare uso del potere-dovere d’indagine previsto dal D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 8, comma 3, che impone di procedere officiosamente all’integrazione istruttoria necessaria al fine di ottenere informazioni precise sulla condizione generale attuale del Paese (Sez. 6, Sentenza n. 14998 del 16/07/2015, Rv. 636559; Sez. 6, Ordinanza n. 24064 del 24/10/2013, Rv. 628478), tuttavia, nel caso censito, l’indicazione direttiva evocata è priva di rilievo, risultando decisivi i passaggi motivazionali della sentenza impugnata nei quali la Corte territoriale ha dato conto, con plausibile argomentare, dell’inverosimiglianza e della contraddittorietà delle dichiarazioni del richiedente rispetto agli stessi fatti da lui allegati, atteso che il nutrito timore di essere privo di ogni garanzia difensiva in un sistema giudiziario non improntato alla tutela dei diritti degli imputati e di essere sottoposto nelle truci prigioni gambiane ad un trattamento inumano era smentito dalla riportata circostanza che egli, a soli tre giorni dall’arresto per la falsa denuncia di furto, era stato liberato per assenza di indizi a suo carico. La valutazione negativa svolta dal giudice del merito in ordine alla credibilità del richiedente, che, in quanto apprezzamento di fatto, si sarebbe dovuta specificamente censurare ai sensi dell’art. 360 c.p.p., comma 1, n. 5 (Sez. 1, Ordinanza n. 3340 del 05/02/2019, Rv. 652549), esclude, infatti, la necessità dell’approfondimento istruttorio richiesto.

2. Il secondo motivo è caratterizzato da aspecificità, essendo dedotto in assenza di confronto critico con la specifica ratio decidendi che sorregge il diniego della protezione sussidiaria richiesta ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2008, art. 14, lett. c).

Costituiscono affermazioni consolidate di questa Corte quelle secondo le quali: ” In tema di protezione sussidiaria dello straniero, ai fini dell’accertamento della fondatezza di una domanda proposta sulla base del pericolo di danno di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), (violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato determinativa di minaccia grave alla vita o alla persona), una volta che il richiedente abbia allegato i fatti costitutivi del diritto, il giudice del merito è tenuto, ai sensi del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, a cooperare nell’accertare la situazione reale del paese di provenienza mediante l’esercizio di poteri-doveri officiosi d’indagine e di acquisizione documentale in modo che ciascuna domanda venga esaminata alla luce di informazioni aggiornate sul Paese di origine del richiedente” (Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 11312 del 26/04/2019, Rv. 653608); “Onere di allegazione che, nella fattispecie di cui si discute, si riferisce al solo fatto dell’esistenza di un conflitto armato o di violenza indiscriminata così come descritti dalla norma (Sez. 1, Sentenza n. 3016 del 31/01/2019, Rv. 652422 – 01; Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 17069 del 28/06/2018, Rv. 649647 – 01; Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 19197 del 28/09/2015, Rv. 637125 – 01) e non si estende a circostanze denotanti un diretto coinvolgimento individuale del richiedente protezione nella situazione di pericolo” (Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 16275 del 20/06/2018, Rv. 649788 – 01; Sez. 6 – 1, Sentenza n. 6503 del 20/03/2014, Rv. 630179 – 01).

Tanto evidenziato in ordine alla corretta interpretazione della norma di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) va rilevato il difetto di pertinenza della censura spiegata sul punto, posto che essa, per essere esaminata in questa sede, avrebbe dovuto specificamente attaccare il registrato difetto di allegazione di elementi suscettibili di lumeggiare la situazione di personale esposizione a rischio del richiedente, in quanto illegittimamente pretesa dalla Corte territoriale.

3. Inammissibile è del pari il motivo che denuncia la erronea applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b) sul rilievo dell’omessa considerazione dell’instabilità politico sociale del Gambia, essendo lo stesso affidato a deduzione palesemente generiche e del tutto scollegate dal tenore della disposizione evocata.

4. Per tutto quanto sopra esposto, il ricorso va dichiarato inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente al rimborso, in favore del controricorrente, delle spese sostenute per questo giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 2.100,00 per compenso, oltre le spese prenotate a debito. Ricorrono i presupposti per l’applicazione del doppio contributo di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, non essendo stato il ricorrente ammesso al patrocinio a spese dello Stato.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso, in favore del controricorrente, delle spese sostenute per questo giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 2.100,00 per compenso, oltre le spese prenotate a debito. Sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, a norma del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

Così deciso in Roma, il 14 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 19 novembre 2019

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