Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.30020 del 19/11/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. DI STEFANO Pierluigi – Consigliere –

Dott. CATALLOZZI Paolo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 30028/2018 R.G. proposto da:

T.S., rappresentato e difeso dall’avv. Ibrahim Khalil Diarra, con domicilio eletto presso il suo studio, sito in Vinovo (TO), via Calvo, 2;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore;

– intimato –

avverso la sentenza della Corte di appello di Venezia, n. 2395/2018, depositata il 30 agosto 2018;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 24 settembre 2019 dal Consigliere Dott. Paolo Catallozzi.

RILEVATO

CHE:

– T.S. propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello di Venezia, depositata il 30 agosto 2018, di reiezione dell’appello dal medesimo proposto avverso l’ordinanza del giudice di primo grado che aveva respinto il suo ricorso avverso la decisione della Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Verona;

– dall’esame della sentenza impugnata emerge che il ricorrente aveva chiesto il riconoscimento sia dello status di rifugiato, sia della protezione sussidiaria, sia della protezione umanitaria, allegando di aver lasciato il suo paese di origine (Mali) a causa del contrasto tra etnie e, in particolare, dopo essere stato arrestato dalla polizia a causa di un incidente di cui era responsabile l’autista dell’autobus con cui lavorava ed essere scampato al linciaggio da parte degli abitanti del villaggio, sequestrato e imprigionato per due mesi dai ribelli;

– il giudice di appello ha disatteso il gravame interposto evidenziando che non sussistevano le condizioni per il riconoscimento dei diritti vantati;

– il ricorso è affidato a tre motivi;

– in relazione ad esso non spiega alcuna attività difensiva il Ministero dell’Interno.

CONSIDERATO

CHE:

– con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, artt. 2, 3, 5,6,7,8 e 14, D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 27, comma 1 bis, e artt. 115 e 116 c.p.c., per aver ritenuto non credibile il suo racconto;

– con il secondo motivo deduce la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 e D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5 nonchè il vizio di motivazione, per avere la Corte di appello escluso l’esistenza di una situazione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale, nonostante la documentazione prodotta provasse il contrario;

– i due motivi possono essere esaminati congiuntamente;

– quanto ai prospettati vizi per violazione di legge, questi sono inammissibili, in quanto si risolvono in censure della valutazione degli elementi probatori operata dal giudice di appello, in ordine alla credibilità delle dichiarazioni rese dal richiedente e alla accertata assenza di una situazione di violenza generalizzata di conflitto armato senza alcun controllo da parte delle autorità;

– siffatte censure non possono trovare ingresso in questa sede in quanto la Corte di cassazione non è mai giudice del fatto in senso sostanziale e non può riesaminare e valutare autonomamente il merito della causa (cfr. Cass. 28 novembre 2014, n. 25332; Cass., ord., 22 settembre 2014, n. 19959);

– quanto al vizio motivazionale fatto valere con il secondo motivo, lo stesso è inammissibile per omessa indicazione puntuale del fatto controverso che il giudice di appello avrebbe omesso di esaminare;

– con l’ultimo motivo di ricorso la parte si duole della violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5 e artt. 112,115 e 116 c.p.c., nonchè del vizio di motivazione, per aver la sentenza impugnata escluso la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria e di quella umanitaria;

– evidenzia, in proposito, che in caso di rimpatrio forzato si ritroverebbe senza mezzi a dover fronteggiare una situazione di insicurezza generalizzata, aggravata da conflitti etnici e dal fatto che l’attenzione delle forze di sicurezza è rivolta più a fronteggiare gli attacchi ripetuti di gruppi ***** che a reprimere la criminalità;

– il motivo è inammissibile;

– in relazione alla domanda di protezione sussidiaria, la Corte di appello ha escluso l’esistenza di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale, evidenziando che la zona di origine del richiedente (sud del Mali) non era interessata da situazioni di conflitto armato, violenza indiscriminata e attacchi ai civili, che coinvolgevano, invece, il nord del Paese;

– ha, poi, aggiunto, quanto alla domanda di protezione umanitaria, che difettava l’allegazione di un qualsiasi elemento, anche di natura indiziaria, idoneo a definire “la presumibile durata di una esposizione aduno specifico rischio”;

– il motivo prospettato al riguardo si fonda, dunque, su un assunto quello dell’esistenza di una situazione di insicurezza generalizzata e assenza di un’attività statuale repressiva della criminalità – che è smentito dalla sentenza impugnata o che, comunque, non trova riscontro nella stessa, in cui, invece, si dà atto che il richiedente, nelle audizioni dinanzi alla Commissione territoriale e al giudice di primo grado, non aveva “mai fatto alcun cenno alla situazione generale del suo paese quale fonte di effettivo pericolo per la sua incolumità in caso di rimpatrio”;

– come noto, il vizio di violazione o falsa applicazione di legge non può che essere formulato se non assumendo l’accertamento di fatto, così come operato dal giudice del merito, in guisa di termine obbligato, indefettibile e non modificabile del sillogismo tipico del paradigma dell’operazione giuridica di sussunzione, là dove, diversamente (ossia ponendo in discussione detto accertamento), si verrebbe a trasmodare nella revisione della quaestio facti e, dunque, ad esercitarsi poteri di cognizione esclusivamente riservati al giudice del merito (cfr. Cass., ord., 13 marzo 2018, n. 6035; Cass., 23 settembre 2016, n. 18715);

– in relazione alla domanda di riconoscimento della protezione umanitaria, può aggiungersi che il presupposto della “vulnerabilità” del richiedente deve essere verificata caso per caso, all’esito di una valutazione individuale della sua vita privata in Italia, comparata con la situazione personale vissuta prima della partenza ed alla quale si troverebbe esposto in caso di rimpatrio;

– la proposizione del ricorso al tribunale nella materia della protezione internazionale dello straniero non si sottrae all’applicazione del principio dispositivo, sicchè il ricorrente ha l’onere di indicare i fatti costitutivi del diritto azionato, pena l’impossibilità per il giudice di introdurli d’ufficio nel giudizio (cfr. Cass., ord., 12 giugno 2019, n. 15794; Cass., ord., 29 ottobre 2018, n. 27336);

– infatti, l’attenuazione del principio dispositivo derivante dalla “cooperazione istruttoria”, cui il giudice del merito è tenuto, non riguarda il versante dell’allegazione, che anzi deve essere adeguatamente circostanziata, ma la prova, con la conseguenza che l’osservanza degli oneri di allegazione si ripercuote sulla verifica della fondatezza della domanda (così, Cass., ord., 31 giugno 2019, n. 3016);

– non emerge nè dalla sentenza, nè dal contenuto del ricorso che il richiedente abbia assolto ad un siffatto onere, indicando elementi utili ad apprezzare l’esistenza del menzionato presupposto della “vulnerabilità”;

– il ricorso, pertanto, non può essere accolto;

– nulla va disposto in ordine al governo delle spese del giudizio, in assenza di attività difensiva della parte vittoriosa;

– sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-bis.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto che sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis stante l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 24 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 19 novembre 2019

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