Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.30025 del 19/11/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. DI STEFANO Pierluigi – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 29864/2018 R.G. proposto da:

H.M.R., rappresentato e difeso giusta delega in atti dall’avv. Enrico Villanova del Foro di Treviso (indirizzo PE Cenricovillanova.pec.ordineavvocatitreviso.it);

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato con domicilio eletto in Roma, via Dei Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato (PEC ags.rm.mailcert.avvocaturastato.it);

– intimato –

avverso la sentenza della Corte d’ Appello di Venezia n. 559/2018 depositata il 08/03/2018, non notificata;

Udita la relazione della causa svolta nell’adunanza camerale del 24/09/2019 dal Consigliere Dott. Roberto Succio.

RILEVATO

che:

– con la sentenza di cui sopra la Corte d’appello ha respinto l’appello del ricorrente, confermando la pronuncia di prime cure;

– avverso la sentenza di seconde cure propone ricorso per Cassazione il ricorrente con atto affidato sostanzialmente a tre motivi; il Ministero dell’Interno è rimasto intimato.

CONSIDERATO

che:

– il primo motivo di impugnazione si incentra sulla violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, per non avere la Corte territoriale riconosciuto i presupposti per la concessione dei seri motivi di carattere umanitario di cui alla disposizione appena richiamata;

– il motivo non è fondato;

– la Corte veneta, infatti, ha correttamente ritenuto insussistenti i presupposti per la concessione della richiesta protezione, in quanto dalla narrazione del richiedente, ritenuto sul punto credibile, è emersa una tipica situazione di lite tra privati;

– in effetti, il ricorrente descrive, quale causa della sua fuga dal Bangladesh, una vicenda personale che non può certo essere ricondotta ad una ipotesi di persecuzione per ragioni di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o politico;

– il secondo motivo formula analoga censura per violazione di legge, anche quanto all’applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, per non avere la Corte veneta affrontato la questione relativa al riconoscimento della protezione c.d. “umanitaria” con riguardo alle circostanze che hanno portato il ricorrente a giungere in Italia dalla Libia;

– il motivo è parimenti infondato;

– in relazione all’ulteriore profilo di censura riguardante la mancata valutazione delle condizioni socio-politiche del paese di transito del richiedente, la giurisprudenza di questa Corte ha precisato che, nella domanda di protezione internazionale, l’allegazione da parte del richiedente che in un Paese di transito (nella specie la Libia) si consumi un’ampia violazione dei diritti umani, senza evidenziare quale connessione vi sia tra il transito attraverso quel Paese ed il contenuto della domanda, costituisce circostanza irrilevante ai fini della decisione, perchè l’indagine del rischio persecutorio o del danno grave in caso di rimpatrio va effettuata con riferimento al Paese di origine o alla dimora abituale ove si tratti di un apolide. Il paese di transito potrà tuttavia rilevare (dir. UE n. 115 del 2008, art. 3) nel caso di accordi comunitari o bilaterali di riammissione, o altra intesa, che prevedano il ritorno del richiedente in tale paese (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 31676 del 06/12/2018; Sez. 6, Ordinanza n. 298 75 del 20/11/2018; Sez. 6, Ordinanza n. 2861 del 06/02/2018). Tale ultima allegazione è però in concreto rimasta totalmente disattesa da parte del ricorrente;

– infine, il ricorrente censura la sentenza impugnata per avere il secondo giudice escluso la rilevanza, ai fini del riconoscimento della protezione internazionale, dell’inserimento lavorativo” del ricorrente;

– il motivo è infondato;

– se, infatti, da un lato la Corte lagunare, ha ritenuto che tale elemento costituisca “circostanza del tutto estranea alla protezione internazionale”, mentre diversamente questa Corte ha stabilito (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 13079 del 15/05/2019) che, in tema di concessione del permesso di soggiorno per ragioni umanitarie, la condizione di “vulnerabilità” del richiedente deve essere verificata caso per caso, all’esito di una valutazione individuale della sua vita privata in Italia, comparata con la situazione personale vissuta prima della partenza ed alla quale si troverebbe esposto in caso di rimpatrio, non potendosi tipizzare le categorie soggettive meritevoli di tale tutela che è invece atipica e residuale, nel senso che copre tutte quelle situazioni in cui, pur non sussistendo i presupposti per il riconoscimento dello “status” di rifugiato o della protezione sussidiaria, tuttavia tal considerazione non legittima l’accoglimento del mezzo;

– difatti, alla luce delle considerazioni esposte con riguardo ai precedenti motivi, lo stesso risulta privo di decisività;

– pertanto, il ricorso va rigettato.

P.Q.M.

rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 24 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 19 novembre 2019

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