LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DIDONE Antonio – Presidente –
Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –
Dott. PAZZI Alberto – rel. Consigliere –
Dott. VELLA Paola – Consigliere –
Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 32400/2018 proposto da:
M.M.A. Alias M.M.A., elettivamente domiciliato in Roma, piazza Cavour, presso la Cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall’Avvocato Erika Della Pietà
giusta procura speciale in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
Ministero dell’Interno, *****, in persona del Ministro pro tempore;
– intimato –
avverso la sentenza n. 4003/2018 della CORTE D’APPELLO di MILANO depositata il 3/9/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 29/10/2019 dal cons. Dott. Alberto Pazzi.
RILEVATO
che:
1. con ordinanza ex art. 702-ter c.p.c. il Tribunale di Milano respingeva il ricorso presentato da M.M.A., cittadino del Bangladesh, avverso il provvedimento di diniego di protezione internazionale emesso dalla competente Commissione territoriale al fine di domandare il riconoscimento dello status di rifugiato politico, del diritto alla protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14 e ss. o alla protezione umanitaria previsto dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6;
2. la Corte d’appello di Milano, dopo aver confermato il giudizio di inattendibilità rispetto alle dichiarazioni rese dal migrante, osservava che la situazione politica del paese di provenienza non assumeva rilevanza al fine di superare la non verosimiglianza del racconto, dato che non si riscontrava in Bangladesh una situazione di pericolo diffuso e violenza generalizzata tali da far presumere che il richiedente asilo, in caso di rimpatrio, sarebbe stato esposto a una minaccia grave alla sua vita e alla sua persona; doveva perciò essere escluso il riconoscimento della protezione sussidiaria ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c);
la corte distrettuale rilevava da ultimo come il richiedente asilo, oltre ad aver reso una narrazione inattendibile, avesse omesso di allegare documentazione attestante il suo inserimento nel contesto sociale e lavorativo italiano ed escludeva, di conseguenza, il ricorrere degli estremi per la concessione di un permesso di soggiorno per motivi umanitari;
3. ricorre per cassazione avverso questa pronuncia M.M.A. al fine di far valere un unico, articolato, motivo di impugnazione; l’intimato Ministero dell’Interno non ha svolto alcuna difesa.
CONSIDERATO
che:
4. il motivo di ricorso denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, costituito dalla situazione di grave pericolo per l’incolumità del richiedente asilo attualmente esistente in Bangladesh, dove il diritto alla libertà di riunione risulta fortemente limitato, la tortura e altri maltrattamenti in regime di custodia carceraria sono situazioni molto diffuse e la polizia, fortemente politicizzata, è solita procedere ad arresti arbitrari e riservare trattamenti violenti e degradanti nei confronti degli avversari politici del partito di governo; sussisterebbe dunque il concreto pericolo che il migrante, in caso di rientro in patria, subisca un grave danno rilevante ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. b), tenuto conto della sua appartenenza politica al partito di opposizione, delle denunce rivolte nei suoi confronti da parte dei membri dell’Awami League e dei procedimenti penali in corso a suo carico;
allo stesso modo la corte territoriale, pur essendo chiamata a valutare se in caso di rimpatrio coattivo il migrante avrebbe potuto esercitare il nucleo essenziale dei suoi diritti inalienabili ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria, avrebbe trascurato di considerare le criticità economico-sociali in cui vive il Bangladesh e l’insufficiente rispetto dei diritti umani;
4.2 il motivo è nel suo complesso inammissibile;
4.2.1 la doglianza infatti si limita a individuare i fatti storici che la corte territoriale avrebbe omesso di esaminare, ma non indica il dato, testuale o extratestuale, da cui essi risultavano esistenti nonchè il come e il quando tali fatti siano stati oggetto di discussione processuale tra le parti (Cass., Sez. U., 8053/2014);
il motivo, così formulato, risulta perciò inammissibile per difetto di autosufficienza, non soddisfacendo l’obbligo previsto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, di indicare specificamente gli atti processuali e i documenti su cui lo stesso è fondato;
4.2.2 d’altra parte i fatti storici asseritamente trascurati non risultano di nessuna decisività;
gli stessi infatti non assumono alcun rilievo ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. b), posto che, qualora le dichiarazioni del migrante siano giudicate inattendibili alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 non occorre procedere a un approfondimento istruttorio officioso circa la prospettata situazione persecutoria nel paese di origine, salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori (Cass. 16925/2018);
gli assunti difensivi assumono analoga irrilevanza ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria;
ciò sia in ragione della mancata dimostrazione di una integrazione nel paese di accoglienza da tenere in considerazione, a fini comparativi, in uno con le condizioni di rimpatrio, sia perchè non è sufficiente a questo scopo la mera allegazione delle condizioni generali del paese di origine a cui non si accompagni l’indicazione di come siffatta situazione influisca sulle condizioni personali del richiedente asilo provocando una particolare condizione di vulnerabilità;
5. in forza dei motivi sopra illustrati il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile;
la mancata costituzione in questa sede dell’amministrazione intimata esime il collegio dal provvedere alla regolazione delle spese di lite.
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis ove dovuto.
Così deciso in Roma, il 29 ottobre 2019.
Depositato in Cancelleria il 19 novembre 2019