Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.30048 del 19/11/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. GRASSO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 30146-2018 proposto da:

B.A.M., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato CAROLLO FULVIO;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA *****, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso il decreto n. R.G. 766/2017 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositato il 06/04/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 18/09/2019 dal Consigliere Relatore Dott. GRASSO GIUSEPPE.

RITENUTO

che la Corte d’appello di Venezia, con il decreto di cui in epigrafe rigettò la domanda di condanna avanzata da B.A.M. nei confronti del Ministero della Giustizia a titolo di equo compenso per la non ragionevole durata di un giudizio civile;

che avverso la statuizione di cui detto la B. propone ricorso sulla base di due motivi, ulteriormente illustrate da memoria, e che il Ministero resiste con controricorso;

che con il primo motivo la ricorrente prospetta violazione dell’art. 437 c.p.c., nonchè violazione e/o falsa applicazione dell’art. 111 Cost., art. 132 c.p.c., art. 118 disp. att. c.p.c., artt. 2935 e 2947, c.c., assumendo che la Corte d’appello di Venezia era incorsa in errore, in quanto:

– aveva confermato il fallace convincimento del giudice del giudizio presupposto, il quale aveva giudicato prescritta la domanda diretta al riconoscimento del carattere professionale della malattia, che aveva colpito la istante, confondendo la percezione dei sintomi e la conoscenza dei trattamenti sanitari (anche chirurgici), ai quali si era dovuta sottoporre, con la conoscibilità delle ragioni tecnopatiche della patologia;

di conseguenza aveva erroneamente reputato si dovesse applicare la L. n. 89 del 200, art. 2, comma 2-quinquies, (“non è riconosciuto alcun indennizzo … in favore della parte che ha agito o resistito in giudizio consapevole della infondatezza originaria o sopravvenuta delle proprie domande o difese, anche fuori dei casi di cui all’art. 96 c.p.c.”), affermando che sulla base dello stesso narrato attoreo, la ricorrente aveva percepito il carattere professionale della malattia in epoca antecedente al maturarsi della prescrizione;

che, al fine, il ricorso enuncia le ragioni in base alle quali la conclusione alla quale era giunto il giudizio presupposto non potevano condividersi (in ispecie, spiega che la conoscibilità oggettiva si era avuta solo nel 2005, con l’intervento del medico legale e che negli anni ‘90 del secolo scorso la eziologia professionale della malattia non era ancora nota); ritenuto che con il secondo motivo la B. denunzia violazione e/o falsa applicazione degli artt. 112,414 e 432, c.p.c., chiarendosi che:

– alla malattia, latente per quindici anni, solo nel 2005 era stata riconosciuta natura professionale;

– il provvedimento di diniego dell’indennizzo non aveva tenuto conto delle allegazioni della ricorrente;

– aveva trasceso “i limiti oggettivi della controversia, quali risultano dalle contrapposte domande ed eccezioni delle parti.

CONSIDERATO

che le due doglianze, unitariamente scrutinate, in ragione dell’intima compenetrazione che le caratterizza, non superano il vaglio d’ammissibilità: con esse, infatti, la B. mira, peraltro piuttosto platealmente, al riesame di merito del concluso giudizio presupposto e, a un tempo, al riesame di merito del giudizio di consapevolezza dell’infondatezza delle proprie ragioni, espresso dal Giudice dell’equo indennizzo, del pari non censurabile in questa sede (cfr., ex multis, da ultimo, Sez. 6, n. 1528, 21/1/2019); nel mentre, è appena il caso di evidenziare, che del tutto destituita di fondamento è la denunzia di ultrapetizione, essendo dovere del giudice verificare la sussistenza dei presupposti per aver diritto all’equa riparazione; restando, infine, inesplicata l’evocazione dell’art. 111 Cost. (come noto, peraltro, la violazione del precetto costituzionale può essere sottoposto al giudice solo attraverso l’deperimento dell’eccezione incidentale d’incostituzionalità – cfr., ex multis, di recente, Sez. 5, n. 15879, 15/6/2018, Rv. 649017; conf. n. 3709/2014 -);

considerato che le spese legali debbono seguire la soccombenza e possono liquidarsi siccome in dispositivo, tenuto conto del valore e della qualità della causa, nonchè delle attività espletate.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore del Ministero controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 750,00 per compensi, oltre al rimborso delle spese anticipate a debito.

Così deciso in Roma, il 18 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 19 novembre 2019

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