Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.30116 del 20/11/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – rel. Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 6758-2018 proposto da:

I.R., elettivamente domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR presso la CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato ANTONIO BARBATO;

– ricorrente –

contro

CURATELA DEL FALLIMENTO ***** SRL, in persona del Curatore C.F.;

– intimata –

avverso il decreto n. R.G. 8689/2017 del TRIBUNALE di NAPOLI, depositato il 03/01/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 13/09/2019 dal Consigliere Relatore Dott. MARIA ACIERNO.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Il Tribunale di Napoli ha rigettato l’opposizione allo stato passivo del fallimento della s.r.l. ***** s.r.l. proposta da I.R., in relazione alla domanda di ammissione relativa a crediti retributivi derivanti dall’attività di lavoratore subordinato dell’opponente (tredicesima, quattordicesima, ferie non godute etc.) pari ad Euro 23.804,59.

A sostegno della decisione ha rilevato l’insufficienza probatoria della domanda, precisando che l’opponente si sarebbe limitato ad indicare di essere stato inquadrato nel IV livello in qualità di banconista senza indicare il CCLN di riferimento, la retribuzione precisa ed omettendo d’indicare la data di cessazione del rapporto. L’opponente, ha precisato il Tribunale, ha indicato una data, senza precisare se tale data corrisponda a quella di cessazione del rapporto e senza indicare la causale dell’eventuale cessazione. Oltre al difetto allegativo il Tribunale ha rilevato anche un difetto di prova in quanto tali indicazioni non si rinvengono dai documenti allegati. Le buste paga prodotte sono prive di timbro sigla o firma del datore di lavoro così come privo di data certa è il contratto di assunzione.

Ha proposto ricorso per cassazione I.R. affidato a due motivi, accompagnati da memoria.

Nel primo motivo è stata dedotta la violazione dell’art. 115 c.p.c. per non essere stato applicato, nella specie come regola di giudizio il principio di non contestazione.

Nel secondo motivo viene dedotta la violazione della L. n. 4 del 1953 per non essere stati ritenuti idonei riscontri probatori le buste paga provenienti dal datore di lavoro dalle quali emergono tutti i dati ritenuti necessari dal Tribunale (inquadramento, cessazione del rapporto e importo maturato a titolo di trattamento di fine rapporti. In memoria viene precisato che il curatore si era regolarmente costituito nel giudizio di merito e che lo stesso non aveva contestato il contenuto delle buste paga, provenienti dal datore di lavoro ove erano elementi di prova sufficienti.

Il primo motivo è manifestamente infondato, alla luce del seguente consolidato principio:

“In tema di verificazione del passivo, il principio di non contestazione, che pure ha rilievo rispetto alla disciplina previgente quale tecnica di semplificazione della prova dei fatti dedotti, non comporta affatto l’automatica ammissione del credito allo stato passivo solo perchè non sia stato contestato dal curatore (o dai creditori eventualmente presenti in sede di verifica), competendo al giudice delegato (e al tribunale fallimentare) il potere di sollevare, in via ufficiosa, ogni sorta di eccezioni in tema di verificazione dei fatti e delle prove”. (Cass. 19734 del 2017; 12793 del 2018).

Ne consegue che la condotta processuale del curatore costituito in sede di opposizione allo stato passivo a fronte di un credito che il giudice delegato sulla base delle sue verifiche officiose ha escluso, non può determinare, ove inerte sulla esistenza ed entità del credito, l’operatività del principio di non contestazione, dovendo il Tribunale fallimentare procedere all’esame degli elementi di prova in concreto posti a sostegno del credito azionato, secondo il regime probatorio applicabile alla peculiarità della posizione del curatore, quale terzo, nel processo.

Il secondo motivo è inammissibile perchè tende a sostituire all’accertamento probatorio svolto dal Tribunale una propria alternativa valutazione dell’efficacia probatoria delle buste paga prodotte, ancorchè prive del timbro e firma del datore di lavoro sulle stesse mentre, come si è rilevato nell’esaminare la censura precedente, la mancanza dei predetti supporti probatori, non è superabile attraverso l’applicazione del principio di non contestazione. Al riguardo non sono persuasive le osservazioni contenute nella memoria in relazione alla certa provenienza dal datore di lavoro delle buste paga, dal momento che, anche alla luce del più recente orientamento di questa Corte (Cass. n. 13006 del 2019, in precedenza n. 17413 del 2015; 10123 del 2017, tra le altre) è necessario che le buste paga siano corredate almeno di uno dei requisiti sopra indicati (timbro o firma del datore di lavoro L. n. 4 del 1953, ex art. 1, comma 2). Infine sulla mancanza dei predetti elementi comprovanti la certa provenienza delle buste paga stesse, vi è stato un accertamento di fatto non sindacabile in sede di giudizio di legittimità, peraltro in mancanza della puntuale produzione della medesima documentazione o della indicazione delle modalità di reperimento della stessa nel fascicolo di parte. La seconda censura è, pertanto, inammissibile.

Al rigetto del ricorso non consegue alcuna statuizione sulle spese processuali in mancanza di difese della parte intimate.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Sussistono i presupposti processuali per il versamento, se dovuto, dell’importo di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 13 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 20 novembre 2019

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