Corte di Cassazione, sez. V Civile, Sentenza n.30137 del 20/11/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRUCITTI Roberta – Presidente –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – Consigliere –

Dott. SAIEVA Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 18291/2013 R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio legale in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

– ricorrente –

contro

M.V., rappresentato e difeso dall’avv. Carlo Zanghì del Foro di Catania, ed elettivamente domiciliato in Roma, Via Orvieto n. 1 presso lo studio dell’avv. Raffaele Caudullo;

– controricorrente –

Avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Sicilia Sezione distaccata di Catania n. 85/18/13 pronunciata il 28/2/2013 e depositata il 28/3/2013.

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 29.4.2019 dal Consigliere Dott. Giuseppe Saieva;

Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, Dott. Umberto De Augustinis, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

Sentito l’avvocato dello Stato Alfonso Peluso e l’avv. Carlo Zanghì

i quali hanno insistito nelle rispettive richieste.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. La Commissione Tributaria Provinciale di Catania, con sentenza 727/02/2007 accoglieva il ricorso proposto dal Dott. M.V. avverso il silenzio-rifiuto opposto dall’Amministrazione Finanziaria alla richiesta di rimborso delle somme indebitamente versate a titolo di IRAP con riferimento al periodo d’imposta 1998, 1999, 2000 e 2001 in relazione all’attività di medico convenzionato con il S.S.N. svolta.

2. Avverso tale pronuncia l’Ufficio finanziario proponeva appello che la Commissione Tributaria Regionale della Sicilia, Sezione staccata di Catania, dichiarava inammissibile con sentenza n. 85/18/13 del 28/2/2012 depositata il 28/3/2013.

3. Tale decisione sfavorevole è stata impugnata dall’Agenzia delle Entrate che ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi.

4. Il contribuente resiste con controricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo deduce l’Agenzia ricorrente “violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, comma 1, in rapporto all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4”, lamentando nella specie non v’era stata alcuna omissione degli elementi richiesti con particolare riferimento ai “motivi specifici dell’impugnazione”.

1.1. Tale motivo si appalesa inammissibile.

1.2. In base al principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, sancito dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, qualora il ricorrente censuri la sentenza di una commissione tributaria regionale, non può esimersi dal riportare testualmente nel ricorso i passi delle doglianze e gli elementi specifici che si assumono erroneamente interpretati o pretermessi, al fine di consentire la verifica della censura esclusivamente mediante l’esame del ricorso (Sez. 5, Ordinanza n. 16147 del 28/06/2017).

1.3. Nel caso di specie l’Agenzia ricorrente, si è limitata a riprodurre la motivazione della sentenza impugnata, ma ha omesso di trascrivere, nei suoi passaggi maggiormente significativi, il ricorso in appello e non ha fornito puntuali indicazioni necessarie al fine di renderne possibile l’esame a questa Corte, ponendola nelle condizioni di verificarne il relativo fondamento sulla base delle sole deduzioni contenute nel ricorso alle cui lacune non è possibile sopperire con indagini integrative, non avendo la Corte di legittimità accesso agli atti del giudizio di merito (cfr. Cass., 13.3.2018, n. 6014; v. altresì Cass., 28/11/2014, n. 25299).

1.4. La C.T.R., comunque, reputando generiche le argomentazioni poste a sostegno dell’appello al punto da non dar modo al giudice adito “di entrare nel merito della sussistenza del presupposto impositivo”, ha fornito una motivazione congrua dal punto di vista logico non superabile dal contrario avviso espresso in questa sede dall’Agenzia ricorrente.

2. Con il secondo motivo deduce l’Agenzia “nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, in rapporto all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4”.

2.1. Anche tale motivo deve ritenersi inammissibile a causa dell’inammissibilità del motivo che precede per carenza di interesse della ricorrente nei cui confronti è venuta meno la ratio decidendi sul punto.

3. Il ricorso va pertanto rigettato. Le spese seguono soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna l’Agenzia delle Entrate al pagamento delle spese di giudizio in favore del controricorrente che liquida in 2.800,00 Euro, oltre 200 Euro per esborsi, e al rimborso forfettario nella misura del 15% e accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 29 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 20 novembre 2019

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