LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –
Dott. BELLINI Ubaldo – rel. Consigliere –
Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –
Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –
Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 12507/2015 proposto da:
C.G., C.F. e C.R., rappresentati e difesi dall’Avvocato FRANCESCO CRISANTI, ed elettivamente domiciliati presso il suo studio in ROMA, VIA CRESCENZIO 58;
– ricorrenti –
contro
B.G., e BR.MA., rappresentati e difesi dagli Avvocati ROBERTO RECHICHI e NICOLA DI PIERRO, ed elettivamente domiciliati presso lo studio del secondo in ROMA, VIA TAGLIAMENTO 55;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 110/2015 della CORTE d’APPELLO di VENEZIA, depositata il 20/01/2015;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 02/07/2019 dal Consigliere Dott. UBALDO BELLINI.
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione notificato in data 26.1.2001, C.G., C.F. e C.R. convenivano in giudizio B.G., BR.WA. e MA., deducendo: a) di essere proprietari e possessori di una porzione di terreno in ***** (censita al Catasto Terreni al Foglio *****, mappale *****, in seguito contraddistinto dal n. 191/b e infine 482), loro pervenuta in eredità da S.L., deceduta in data *****, rispettivamente moglie e madre degli attori; b) che a favore del loro fondo e a carico del mappale 194, di proprietà dei convenuti, era stata costituita una servitù di passaggio dal venditore Ca.Br., all’epoca proprietario di entrambi i terreni, servitù che sboccava sulla stradina in terra battuta, senza denominazione, che adduceva alla ***** e di qui al centro cittadino e alla spiaggia; c) che i convenuti avevano posto una rete metallica sostenuta da paletti di cemento lungo tutto il confine fra le due proprietà e, quindi, anche nel tratto gravato da servitù, impedendo l’esercizio del loro diritto di transito; d) che a nulla era valso l’invito ai medesimi a ripristinare il passaggio, inviato a mezzo racc. a.r. del 5.3.1999. Chiedevano, pertanto, dichiararsi il loro diritto a transitare sulla striscia di terreno mappale *****, e condannarsi i convenuti a rimettere le cose in pristino ed a risarcire il danno.
Si costituivano in giudizio B.G. e Br.Ma., dando atto dell’intervenuto decesso di Br.Wa. e chiedendo il rigetto delle domande avanzate dagli attori. In via riconvenzionale, spiegavano che, ove l’azione proposta, nonostante il petitum, costituisse una domanda di accertamento dell’esistenza di una servitù di passaggio a favore del loro fondo e a carico del fondo dei convenuti, la stessa era infondata in quanto non contemplata nel contratto di compravendita e, comunque, perchè ormai da considerarsi estinta, stante la sua natura coattiva, determinata dall’allora interclusione del fondo dominante e, in ogni caso, perchè era cessata per non uso.
Espletata una CTU e svolte le prove testimoniali, la causa era trattenuta in decisione.
Con sentenza n. 495/2009, depositata in data 14.12.2009, il Tribunale di Venezia – Sezione distaccata di San Donà di Piave dichiarava il diritto degli attori a transitare sulla striscia di terreno contraddistinta in Catasto con il mappale ***** del Foglio ***** e, per l’effetto, condannava i convenuti a rimettere le cose in pristino mediante l’eliminazione della recinzione apposta sul detto mappale, ordinando agli stessi di astenersi da qualsiasi turbativa nei confronti dei titolari della servitù; rigettava la domanda di risarcimento dei danni proposta dagli attori; condannava i convenuti alle spese di lite e di CTU.
Avverso detta sentenza proponevano appello B.G. e Br.Ma., chiedendo il rigetto delle domande attoree.
Si costituivano gli appellati chiedendo il rigetto dell’appello con la conferma della sentenza impugnata.
Con sentenza n. 110/2015, depositata in data 20.1.2015, la Corte d’Appello di Venezia, in accoglimento dell’appello, accertata la cessata interclusione del fondo degli attori, dichiarava l’estinzione della servitù di passaggio, costituita il 6.9.1968 con compravendita del notaio R. rep. n. *****, a carico del mapp. ***** del Foglio ***** e a favore del fondo distinto al Foglio ***** mapp. *****; condannava gli appellanti alle spese di entrambi i gradi di giudizio.
Avverso detta sentenza propongono ricorso per cassazione C.G., F. e R., sulla base di due motivi; resistono B.G. e Br.Ma. con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato rispettive memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. – Con il primo motivo, i ricorrenti lamentano l'”Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”, in quanto la Corte di merito ha affermato che il fondo dei C. era intercluso nel momento in cui veniva costituita la servitù di passaggio in questione, ma che detta interclusione era cessata e tale circostanza, per effetto di quanto disposto dall’art. 1055 c.c., implicava l’estinzione della servitù. Tuttavia, i ricorrenti osservano che nella motivazione manca qualsiasi riferimento all’esistenza da tempo immemorabile della strada “bianca” che impediva di configurare l’originaria interclusione del fondo inizialmente acquistato dalla S., dante causa degli odierni ricorrenti. In particolare, nella comparsa di costituzione e risposta, depositata in grado d’appello, si specificava che al momento del trasferimento Ca. – S., ma anche prima, sul lato nord del lotto, era presente una stradella “bianca” che, correndo lungo il canale *****, consentiva l’accesso con ogni mezzo ai lotti disposti lungo il corso d’acqua e che conduceva alla strada pubblica. L’esistenza da tempo immemorabile di tale stradella sarebbe stata ammessa dalla stessa controparte nella memoria difensiva depositata nell’ambito del procedimento cautelare e sarebbe stata confermata in primo grado dai testi escussi.
1.1. – Il motivo è inammissibile.
1.2. – E’ principio consolidato di questa Corte che il novellato paradigma di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (nella nuova formulazione adottata dal D.L. n. 83 del 2012, convertito dalla L. n. 134 del 2012, applicabile alle sentenze impugnate dinanzi alla Corte di cassazione ove le stesse siano state pubblicate in epoca successiva al 12 settembre 2012, e quindi ratione temporis anche a quella oggetto del ricorso in esame, pubblicata il 20 gennaio 2015) consente (v. Cass. sez. un. 8053 del 2014) di denunciare in cassazione – oltre all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante (e cioè, in definitiva, quando tale anomalia si esaurisca nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione) – solo il vizio dell’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo, vale a dire che, ove esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia (Cass. n. 14014 e n. 9253 del 2017).
Costituisce, pertanto, un “fatto”, agli effetti dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, non già una “questione” o un “punto”, ma un vero e proprio “fatto”, in senso storico e normativo, un preciso accadimento ovvero una precisa circostanza naturalistica, un dato materiale, un episodio fenomenico rilevante (Cass. n. 27415 del 2018; Cass. n. 29883 del 2017; Cass. n. 17761 del 2016; Cass. sez. un. 5745 del 2015; Cass. n. 21152 del 2014; Cass. n. 7983 del 2014; Cass. n. 5133 del 2014). Non costituiscono, viceversa, “fatti”, il cui omesso esame possa cagionare il vizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5: le argomentazioni o le deduzioni difensive (Cass. n. 14802 del 2017; Cass. n. 21152 del 2014); gli elementi istruttori; una moltitudine di fatti e circostanze, o il “vario insieme dei materiali di causa” (Cass. n. 21439 del 2015). E’ quindi inammissibile l’invocazione del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, per sostenere il mancato esame di deduzioni istruttorie, di documenti, di eccezioni di nullità della sentenza non definitiva e degli atti conseguenti, di critiche rivolte agli elaborati peritali (ovvero di semplici allegazioni difensive a contenuto tecnico), o per lamentarsi di una “motivazione non corretta” (Cass. n. 27415 del 2018, cit.); giacchè nel paradigma di cui al citato art. 360 c.p.c., n. 5, non è inquadrabile la censura concernente la omessa valutazione di deduzioni difensive (Cass. n. 26305 del 2018).
Nel rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, i ricorrenti avrebbero, dunque, dovuto specificamente e contestualmente indicare oltre al “fatto storico” il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività” (Cass. n. 14014 e n. 9253 del 2017). Viceversa, nei motivi in esame, della enucleazione e della configurazione della sussistenza (e compresenza) di siffatti presupposti (sostanziali e non meramente formali), onde potersi ritualmente riferire al parametro di cui al n. 5 dell’art. 360 c.p.c., non v’è idonea e specifica indicazione.
1.3. – Va, al contrario, rilevato che la Corte di merito (analiticamente richiamando il contenuto dei diversi atti di compravendita succedutisi nel tempo, ed in particolare le compravendite dell’8.5.1062, del 6.9.1968, del 15.1.1971) ha specificamente affermato che “l’originaria interclusione del fondo dei convenuti/odierni appellanti risultava, in modo inequivocabile, dagli atti notarili acquisiti al giudizio, confermata nei documenti allegati alla CTP di quest’ultima parte, mentre la cessata interclusione, oltre ad essere emersa dalle deposizioni rese dai testi (…) risulta dalla CTU, anche se quest’ultima riportava l’errata conclusione che il fondo degli attori, pur confinando per un intero lato con la pubblica *****, fosse intercluso e ciò, probabilmente, ha sviato il Tribunale nella sua decisione” (sentenza impugnata, pagina 8).
Orbene – sottolineato che, in tema di servitù prediali, l’esistenza dell’interclusione assoluta o relativa di un fondo costituisce accertamento del giudice di merito che, correttamente motivato, è sottratto ad ogni sindacato da parte della Corte di legittimità (Cass. n. 1508 del 2006) – va altresì rilevato che è altrettanto consolidato il principio secondo cui l’apprezzamento del giudice di merito, nel porre a fondamento della propria decisione una argomentazione, tratta dalla analisi di fonti di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e le circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (ex plurimis, Cass. n. 9275 del 2018; Cass. n. 5939 del 2018; Cass. n. 16056 del 2016; Cass. n. 15927 del 2016).
Viceversa (così come articolate) le censure svolte nel motivo si risolvono, in sostanza, nella sollecitazione ad effettuare una nuova valutazione di risultanze di fatto come emerse nel corso del procedimento e come argomentate dalla parte, così mostrando il ricorrente di anelare ad una impropria trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, giudizio di merito, nel quale ridiscutere tanto il contenuto di fatti e vicende processuali, quanto ancora gli apprezzamenti espressi dalla Corte di merito non condivisi e per ciò solo censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni ai propri desiderata; quasi che nuove istanze di fungibilità nella ricostruzione dei fatti di causa possano ancora legittimamente porsi dinanzi al giudice di legittimità (Cass. n. 5939 del 2018).
2. – Con il secondo motivo, i ricorrenti lamentano, “In subordine: (l’)ulteriore omesso esame circa un fatto decisivo che è stato oggetto di discussione tra le parti – violazione dell’art. 1055 c.c.”, là dove la sentenza impugnata, pur riconoscendo l’applicabilità dell’art. 1055 c.c., anche alle servitù costituite per contratto (come quella della fattispecie in esame), “salvo che dal negozio costitutivo non emerga inequivocabilmente l’intento delle parti di assoggettarla al regime delle servitù volontarie”, ometteva di verificare la sussistenza di tale intento inequivocabile, incorrendo in una violazione della norma di cui all’art. 1055 c.c..
2.1. – Il motivo, come formulato, non può trovare ingresso nel presente civico.
2.2. – Quanto al primo profilo di censura, vanno richiamate integralmente le considerazioni svolte sub 1.2., rilevando altresì che neppure risulta nella specie correttamente evidenziato quale specifico “fatto decisivo” (nei termini sopra indicati) sia evocato dai ricorrenti a sostegno della asserita violazione del paradigma di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.
2.3. – Quanto alla dedotta violazione o falsa applicazione dell’art. 1055 c.c. (ascrivibile alla formula di cui all’ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), va osservato che, in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione (peraltro, entro i limiti del paradigma previsto dal nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5). Il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi – violazione di legge in senso proprio a causa dell’erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta – è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (Cass. n. 24054 del 2017; ex plurimis, Cass. n. 24155 del 2017; Cass. n. 195 del 2016; Cass. n. 26110 del 2016).
Pertanto, il motivo con cui si denunzia il vizio della sentenza previsto dall’art. 360 c.p.c., n. 3, deve essere dedotto, a pena di inammissibilità, non solo mediante la puntuale indicazione delle norme assuntivamente violate, ma anche mediante specifiche e intelligibili argomentazioni intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie; diversamente impedendosi alla Corte di cassazione di verificare essa il fondamento della lamentata violazione. Risulta, quindi, inammissibile, la deduzione di “errori di diritto” individuati (come nella specie) per mezzo della sola preliminare indicazione della singola norma pretesamente violata, ma non dimostrati per mezzo di una circostanziata critica delle soluzioni adottate dal giudice del merito nel risolvere le questioni giuridiche poste dalla controversia, operata nell’ambito di una valutazione comparativa con le diverse soluzioni prospettate nel motivo e non attraverso la mera contrapposizione di queste ultime a quelle desumibili dalla motivazione della sentenza impugnata (Cass. n. 11501 del 2006; Cass. n. 828 del 2007; Cass. n. 5353 del 2007; Cass. n. 10295 del 2007; Cass. 2831 del 2009; Cass. n. 24298 del 2016). Il controllo affidato alla Corte non equivale, infatti, alla revisione del ragionamento decisorio, ossia alla opinione che ha condotto il giudice del merito ad una determinata soluzione della questione esaminata, posto che ciò si tradurrebbe in una nuova formulazione del giudizio di fatto, in contrasto con la funzione assegnata dall’ordinamento al giudice di legittimità (Cass. n. 20012 del 2014; richiamata anche dal Cass. n. 25332 del 2014).
2.4. – Ciò premesso, va rilevato che, secondo i ricorrenti, la sentenza sarebbe viziata per non avere la Corte di merito accertato la comune volontà (ovvero l’inequivocabile intento) delle parti, nel momento in cui conclusero il contratto di compravendita, anche attraverso l’esame di contratti conclusi nel tempo, di assoggettare la servitù de qua al regime delle servitù volontarie.
Orbene, è principio, altrettanto consolidato, che i requisiti di contenuto e forma previsti, a pena di inammissibilità, dall’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 6, debbano essere assolti necessariamente con il ricorso e non possano essere ricavati da altri atti, come la sentenza impugnata, dovendo il ricorrente specificare il contenuto della critica mossa alla stessa indicando precisamente i fatti processuali alla base del vizio denunciato, producendo in giudizio l’atto o il documento della cui erronea valutazione si dolga, o indicando esattamente nel ricorso in quale fascicolo esso si trovi e in quale fase processuale sia stato depositato, e trascrivendone o riassumendone il contenuto nel ricorso, nel rispetto del principio di autosufficienza (ex plurimis, Cass. n. 29093 del 2018; conf. Cass. n. 20694 del 2018). Il ricorrente ha, dunque, l’onere (che nella specie non risuta esser stato assolto) di indicarne nel ricorso il contenuto rilevante, fornendo alla Corte elementi sicuri per consentirne il reperimento negli atti processuali (cfr. altresì Cass. n. 5478 del 2018; Cass. n. 22576 del 2015; n. 16254 del 2012); potendo solo così reputarsi assolto il duplice onere, rispettivamente previsto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 (a pena di inammissibilità) e dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4 (a pena di improcedibilità del ricorso) (Cass. n. 17168 del 2012).
Il ricorrente dunque deve indicare – mediante anche la trascrizione, ove occorra, di detti atti nel ricorso – la risultanza che egli asserisce essere decisiva e non valutata o insufficientemente considerata, atteso che, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, il controllo deve essere consentito alla Corte sulla base delle sole deduzioni contenute nell’atto, senza necessità di indagini integrative (Cass. n. 2093 del 2016; cfr., tra le molte, Cass. n. 14784 del 2015; n. 12029 del 2014; n. 8569 del 2013; n. 4220 del 2012). Nella specie, il ricorrente – pur facendo ripetutamente riferimento al fatto che l’inequivoco intento delle parti di assoggettare la servitù in questione al regime delle servitù volontarie si desumerebbe, sia dal contratto Ca. – S. del 1968, sia dal contratto Ca. – Be. del 1971 – di tali atti non ha riportato il contenuto completo o quello necessario e sufficiente onde poterne riscontrare (nei limiti dell’apprezzamento riservato al giudice di merito) l’asserita portata negoziale con specifico riferimento al dedotto accordo circa la natura della servitù.
Nuovamente, dunque, le censure portate dal motivo si risolvono, in sostanza, nella sollecitazione ad effettuare una nuova valutazione di risultanze di fatto come emerse nel corso del procedimento e come argomentate dalla parte (v. sub 1.3.). Ma, come questa Corte ha più volte sottolineato, compito della Cassazione non è quello di condividere o non condividere la ricostruzione dei fatti contenuta nella decisione impugnata, nè quello di procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, al fine di sovrapporre la propria valutazione delle prove a quella compiuta dal giudice del merito (cfr. Cass. n. 3267 del 2008), dovendo invece il giudice di legittimità limitarsi a controllare se costui abbia dato conto delle ragioni della sua decisione e se il ragionamento probatorio, da esso reso manifesto nella motivazione del provvedimento impugnato, si sia mantenuto entro i limiti del ragionevole e del plausibile; ciò che nel caso di specie è dato riscontrare (cfr. Cass. n. 9275 del 2018).
3. – Il ricorso va dunque dichiarato inammissibile. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. Va emessa altresì la dichiarazione ex D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna i ricorrenti al pagamento in favore dei controricorrenti delle spese del presente grado di giudizio, che liquida in complessivi Euro 2.900,00 di cui Euro 200,00 per rimborso spese vive, oltre al rimborso forfettario spese generali, in misura del 15%, ed accessori di legge. Ex D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, sussistono i presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 2 luglio 2019.
Depositato in Cancelleria il 20 novembre 2019