Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.30400 del 21/11/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – rel. Consigliere –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22511/2018 proposto da:

C.F., domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall’avvocato Rigotti Beatrice;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, Procura Generale presso la Corte di Appello di Venezia;

– intimati –

avverso il decreto del TRIBUNALE di VENEZIA, depositato il 15/06/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 08/10/2019 dal Cons. Dott. GORJAN SERGIO.

FATTI DI CAUSA

C.F. – cittadino della ***** – ebbe a proporre ricorso avanti il Tribunale di Venezia avverso la decisione della Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Verona, che aveva rigettato la sua istanza di protezione internazionale in relazione a tutti gli istituti previsti dalla relativa normativa.

Il ricorrente deduceva d’essere dovuto fuggire dal suo Paese poichè fu minacciato dallo zio, che pure aveva ucciso sua nonna, in relazione a questione legata ai terreni lasciatigli in eredità dal defunto padre.

Il Collegio lagunare ha rigettato il ricorso ritenendo non credibile, sia per scarsa coerenza intrinseca che estrinseca, il racconto fatto dal richiedente protezione e non sussistente ragione, prescritta dalla normativa in materia, per godere della protezione internazionale, reputando anche non concorrenti le condizioni, nelle quali è possibile riconoscere la protezione umanitaria poichè all’uopo non sufficiente il mero inserimento sociale nel Paese d’approdo.

Il C. ha proposto ricorso per cassazione avverso il decreto del Tribunale veneto articolato su tre motivi.

Il Ministero degli Interni evocato è rimasto intimato.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Il ricorso svolto da C.F. è privo di pregio e va rigettato.

Con il primo mezzo d’impugnazione il ricorrente deduce violazione delle norme ex art. 116 c.p.c., in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 ed D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, poichè il Collegio lagunare ebbe a concludere per l’inaffidabilità del suo racconto malamente utilizzando i criteri direttivi posti dalle norme dianzi citate in materia di valutazione della prova nella specifica materia della protezione internazionale – principio di cooperazione istruttoria da parte del giudicante.

In effetti l’impugnante qualifica il vizio denunziato siccome violazione di legge, ma l’argomento critico sviluppato si compendia nella mera elaborazione di una valutazione probatoria alternativa rispetto a quella effettuata dai Giudici veneti, chiedendo così a questa Corte di legittimità un apprezzamento circa il merito della controversia non consentito dalla sua funzione.

Il C. pone in evidenza come il suo racconto sia intrinsecamente credibile e coerente anche sotto il profilo esterno e come i Giudici veneti non abbiano valutato appieno la valenza discriminatoria della condizione di albino, specie per le persecuzioni cui questi sono sottoposti,ma un tanto non supera l’opposta ricostruzione logico-giuridica operata dal Tribunale, ponendosi quale mera soluzione alternativa.

Difatti il Collegio veneto ha puntualmente messo in risalto come la non credibilità del racconto reso dal ricorrente risultava in modo eclatante dal fatto di maggior gravità raccontato ossia l’uccisione della nonna da parte dello zio per intimorirlo. La circostanza che il C. nemmeno fosse in grado di indicare la data del grave fatto di sangue, che non avesse nemmeno indicato la ragione per la quale lo zio si fosse risolto ad un gesto sì grave posto che neanche erano state indicate delle occasioni di contrasto tra lo zio e la nonna ed, infine, la contraddittoria versione resa dal ricorrente circa le sue frequentazioni con lo zio persecutore – inizialmente indicate siccome assidue quindi ridotte a due occasioni – sono i dati fattuali valorizzati dal Tribunale a sostegno della sua statuizione,cui il ricorrente si limita a contrapporre il suo diverso apprezzamento.

Quanto poi alla dedotta situazione di albino del ricorrente, il Collegio lagunare ebbe puntualmente a considerarla, evidenziando come la stessa non fu posta dal C. quale ragione, anche concorrente, a fondamento del suo allontanamento dal suo Paese quando sentito in sede amministrativa, bensì ne venne solo operato cenno in sede giurisdizionale in relazione alla condotta persecutoria dello zio, il quale sottolineava la sua diversità di colorito della pelle rispetto a quella di suo padre.

Dunque l’esame operato dal Tribunale ebbe ad affrontare e valutare tutti gli elementi fattuali introdotti in causa dal richiedente asilo.

Con la seconda doglianza il ricorrente deduce violazione delle disposizioni D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 2, commi 1 e 14 ed D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, in quanto il Collegio veneto ha escluso il ricorrere delle condizioni per il riconoscimento della protezione sussidiaria con argomentazione illogica, posto che, proprio dalle fonti usate per negare la concorrenza di situazione di violenza generalizzata, emergeva che invece una tale situazione esisteva proprio nello stato della Nigeria in cui risiedeva il ricorrente.

Anche in relazione a detta censura va rilevato come parte ricorrente deduce vizio di violazione di legge ma il suo argomento critico sviluppato si compendia nella mera formulazione di tesi alternativa.

Difatti, se il Tribunale sulla scorta del richiamo a documentazione delle N.U. e ad arresti giurisprudenziali in materia di protezione sussidiaria,ha concluso che la situazione negli stati nigeriani del Delta non sia più di violenza diffusa, pur dando atto di una recrudescenza della violenza correlata a questioni economiche nell’area, il ricorrente enfatizza l’elemento,ultimo ricordato, per ritenere errata la conclusione cui è giunto, motivatamente, il Collegio lagunare.

Ma un tanto fa, non già, individuando aporia logico-fattuale nel ragionamento esposto dal Tribunale, bensì reputando errata la sua valutazione circa la valenza della citata recrudescenza di violenza, ossia contesta che un tanto non configuri lo stato di violenza diffusa, ossia l’elemento fattuale richiesto per il riconoscimento del diritto a godere dell’istituto citato.

Con il terzo mezzo d’impugnazione il C. rileva nullità del provvedimento impugnato per motivazione mancante ovvero apparente in relazione alla disciplina legislativa in materia di protezione internazionale.

Il ricorrente osserva come il Collegio serenissimo abbia omesso di considerare fatti specifici dedotti circa la condizione di albino e denuncia l’erronea affermazione del Collegio lagunare della mancata deduzione di dati fattuali utili riguardo al riconoscimento del diritto a godere di detta forma di protezione.

La censura siccome articolata s’appalesa inammissibile posto che il ricorrente deduce mancata valutazione di dati fattuali dallo stesso prospettati all’uopo ma non anche indica in quale atto processuale un tanto è avvenuto, sicchè la censura pecca di genericità.

Al rigetto dell’impugnazione non segue,ex art. 385 c.p.c., la condanna del ricorrente alla rifusione delle spese di lite di questo giudizio di legittimità stante la mancata costituzione dell’Amministrazione.

Concorrono in capo al ricorrente le condizioni processuali per l’ulteriore pagamento del contributo unificato.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso, nulla per le spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello,ove dovuto, per il ricorso a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nell’adunanza in Camera di consiglio, il 8 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 21 novembre 2019

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