LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente –
Dott. PERRINO Angelina Maria – rel. Consigliere –
Dott. SCALIA Laura – Consigliere –
Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –
Dott. ANDRONIO Alessandro – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 23641 del ruolo generale dell’anno 2018 proposto da:
B.M.A., rappresentato e difeso, giusta procura speciale in calce al ricorso, dall’avv. Raffaele Miraglia, col quale elettivamente si domicilia in Roma, alla via Muzio Clementi, n. 51, presso lo studio dell’avv. Valerio Santagata;
– ricorrente –
contro
Ministero dell’interno;
– intimato –
per la cassazione del decreto del Tribunale di Bologna n. 2083/18 depositato in data 5 luglio 2018.
RILEVATO
che:
– B.M.A., cittadino *****, ha impugnato il provvedimento della Commissione territoriale di diniego del riconoscimento della protezione internazionale e di quella umanitaria innanzi al Tribunale di Bologna che, con decreto del 5 luglio 2018, ha rigettato il ricorso;
– a sostegno della decisione il Tribunale ha evidenziato che il racconto reso dal ricorrente era inattendibile perchè in parte inverosimile e contraddittorio, e in parte generico e stereotipato; che non sussistevano i presupposti della protezione sussidiaria, in considerazione del fatto che la consultazione delle COI più recenti e accreditate non evidenziano la sussistenza in Togo di alcun conflitto armato in corso; che, infine, non sussistevano i presupposti della protezione umanitaria, giacchè ha ritenuto giustificata la richiesta da motivi economici;
– l’istante propone ricorso per cassazione affidato a quattro motivi, cui non v’è replica.
CONSIDERATO
che:
– Coi primi due motivi, da esaminare congiuntamente perchè connessi, il ricorrente rispettivamente denuncia violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3, 7 e 14, D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8 e 11 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, là dove il Tribunale avrebbe erroneamente valutato l’attendibilità del ricorrente (primo motivo), nonchè violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 e art. 14, lett. b) e del D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8 e 27, perchè il Tribunale ha violato l’obbligo di cooperazione istruttoria (secondo motivo);
– la censura complessivamente proposta è inammissibile, poichè la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero è apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, censurabile nei limiti previsti dal nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 e, quindi, senz’altro non in ordine in ordine alla coerenza e alla plausibilità delle dichiarazioni rese (tra varie, vedi Cass. nn. 13383 e 13384/2019); in mancanza, non sono configurabili la necessità e la possibilità stessa per il giudice di merito – qualora non siano dedotti fatti attendibili e concreti, idonei a consentire un approfondimento ufficioso – di operare ulteriori accertamenti;
– ciò perchè, in materia di protezione internazionale, l’accertamento del giudice di merito deve avere a oggetto la credibilità soggettiva della versione del richiedente circa l’esposizione a rischio grave alla vita o alla persona; sicchè, qualora le dichiarazioni siano giudicate inattendibili alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva stabiliti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, non occorre procedere a un approfondimento istruttorio officioso circa la prospettata situazione persecutoria nel Paese di origine (Cass. n. 16925/2018; Cass., n. 28862/2018; da ultimo, in termini, Cass. nn. 24408 e 24405/19);
– nel caso concreto, il Tribunale ha diffusamente e adeguatamente motivato in ordine alle ragioni per le quali la narrazione dell’istante non è credibile, quanto al nucleo centrale delle sue dichiarazioni: ha evidenziato che dinanzi alla Commissione egli non ha riferito dei reiterati e continui maltrattamenti che soltanto dopo ha dichiarato di aver subito dallo zio; e soltanto in giudizio ha dato conto del tentativo di denuncia alle autorità di polizia, concernente, peraltro, soltanto i maltrattamenti iniziali;
– la censura complessivamente proposta mira a sovvertire l’accertamento di fatto compiuto dal giudice, il quale, in base alle coi indicate in decreto, ha escluso che in Togo ci fosse una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato idoneo a determinare grave pericolo per la vita o per l’incolumità fisica per il solo fatto di soggiornarvi; sicchè non v’è la violazione del diritto di difesa altresì prospettata in ricorso;
– analoghe considerazioni valgono per il terzo e il quarto motivo di ricorso, coi quali il ricorrente si duole, rispettivamente, della violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2017, art. 3, D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 7 e 14 e del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e dell’art. 19 di quest’ultimo decreto, nonchè dei corrispondenti profili di omessa motivazione o omessa pronuncia (terzo motivo), e lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, in combinazione con l’art. 5, comma 6, e con il D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, comma 1, n. 1, nonchè l’omesso esame concernente il periodo di detenzione illegittimo subito dal richiedente nelle carceri libiche (quarto motivo);
– va sottolineato, sul punto, quanto alla protezione umanitaria, che il Tribunale era chiamato a valutare la sussistenza del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari D.Lgs. n. 286 del 1998, ex art. 5, comma 6, all’esito di un’effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio potesse determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel paese d’accoglienza (Cass. n. 4455/2018);
– -la valutazione è stata adeguatamente svolta, là dove il Tribunale ha evidenziato che, al cospetto della mancanza di specifici indici di protezione, non è comunque emersa una situazione di radicamento dell’istante nel territorio italiano;
– il ricorso è quindi inammissibile;
– nulla per le spese, in mancanza di attività difensiva.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 11 novembre 2019.
Depositato in Cancelleria il 21 novembre 2019