Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.30590 del 22/11/2019

Pubblicato il

Condividi su FacebookCondividi su LinkedinCondividi su Twitter

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13592-2018 proposto da:

BOTTEGA DEL CAFFE’ SRL IN LIQUIDAZIONE, in persona del liquidatore legale rappresentante pro tempore, B.S., B.U., B.M., B.E., I.V., C.A., CH.RO., G.D., S.F., tutti nella qualità di fideiussori della predetta società, elettivamente domiciliati in ROMA, V.LE DELLE MEDAGLIE D’ORO 201, presso lo studio dell’avvocato STEFANO SGADARI, che li rappresenta e difende;

– ricorrenti –

BANCO DI DESIO E DELLA BRIANZA SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA OMBRONE, 14, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE CAPUTI, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato MARCO PESENTI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1773/2017 del TRIBUNALE di MONZA, depositata il 05/06/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 13/09/2019 dal Consigliere Relatore Dott. MASSIMO FALABELLA.

FATTI DI CAUSA

1. – La Bottega del Caffè s.r.l., B.S., B.U., B.M. e B.E., Iovine Virginio, C.A., Ch.Ro., G.D. e S.F. evocavano in giudizio il Banco di Desio e della Brianza s.p.a. domandando l’accertamento della nullità di un contratto di conto corrente e di un contratto di mutuo conclusi dalla società, di cui gli altri attori erano fideiussori; in particolare, lamentavano che il contratto di conto corrente fosse carente di forma scritta e quello di mutuo privo di giustificazione causale; assumevano la nullità della clausola che programmava il pagamento di interessi anatocistici e della disposizione negoziale avente ad oggetto la commissione di massimo scoperto; chiedevano accertarsi l’illegittima applicazione di interessi ultralegali e la condanna della banca alla restituzione delle somme indebitamente riscosse, oltre che al risarcimento dei danni, per aver essa tenuto un comportamento scorretto nei confronti della società.

Il Tribunale rigettava le domande osservando, per quanto qui rileva, che il contratto di conto corrente risultava essersi validamente perfezionato in forma scritta per effetto dello scambio di lettere; osservava, poi, che il contratto in questione era stato stipulato in data 13 febbraio 2006, successivamente all’entrata in vigore della delib. CICR 9 febbraio 2000, e che lo stesso prevedeva la stessa periodicità per la capitalizzazione degli interessi attivi e passivi; aggiungeva che la clausola anatocistica era stata specificamente sottoscritta.

2. – Era proposto gravame che la Corte di appello di Milano dichiarava inammissibile a norma dell’art. 348 bis c.p.c..

3. – Contro la pronuncia di primo grado la società e i fideiussori hanno proposto ricorso per cassazione basato su due motivi. Resiste con controricorso la banca.

Il Collegio ha autorizzato la redazione della presente ordinanza in forma semplificata.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 117 t.u.b., degli artt. 1325 e 1423 c.c.. Viene rilevato che la manifestazione di consenso della banca non poteva essere ricondotta alla sottoscrizione “per autentica” apposta da un impiegato dell’istituto di credito; è osservato, in proposito, che il requisito della forma scritta poteva ritenersi soddisfatto solo in presenza di un documento posto in essere al fine specifico di esprimere la volontà di entrambe le parti. D’altro canto – è aggiunto -, risultava essere priva di rilievo la circostanza per cui i contraenti avevano dato per anni esecuzione ai contratti conclusi, “posto che il comportamento concludente non può sopperire all’evidenziato difetto di forma, considerato altresì che il contratto nullo, ai sensi dell’art. 1423 c.c., non è in alcun modo suscettibile di convalida”.

Col secondo mezzo si oppone la violazione e falsa applicazione dell’art. 1283 c.c. e dell’art. 120, comma 2, t.u.b.. Assumono i ricorrenti che il meccanismo derogatorio previsto, con riguardo all’anatocismo, dall’art. 120 t.u.b. potrebbe operare solo nell’ipotesi in cui la capitalizzazione trimestrale degli interessi sia stata effettivamente convenuta: ciò che nella fattispecie doveva escludersi, visto che il contratto mancava della forma scritta richiesta ad substantiam.

2. – I due motivi sono infondati.

Il dato della mancata sottoscrizione del documento contrattuale da parte del funzionario competente dell’istituto di credito è, in sè, privo di decisività e non vale, dunque, a fondare, da solo, l’invocata cassazione della sentenza impugnata. Infatti, i contratti bancari soggetti alla disciplina di cui all’art. 117 t.u.b., così come i contratti di intermediazione finanziaria (per cui Cass. Sez. U. 16 gennaio 2018, n. 898), non esigono, ai fini della loro valida stipulazione, la sottoscrizione del documento contrattuale da parte della banca, il cui consenso si può desumere alla stregua di atti o comportamenti alla stessa riconducibili (Cass. 4 giugno 2018, n. 14243; Cass. 6 giugno 2018, n. 14646; Cass. 18 giugno 2018, n. 16070). Errano, dunque, gli istanti allorquando assumono che la protratta esecuzione delle prestazioni negoziali da parte dei contraenti non rivesta alcun rilievo significativo.

Per questa stessa ragione – venendo al secondo motivo – non può ritenersi che la pattuizione della clausola anatocistica postuli un contratto bancario recante la sottoscrizione del soggetto che era titolato a impegnare la banca sul piano negoziale.

3. – Il ricorso è pertanto respinto.

4. – Segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali, secondo soccombenza.

P.Q.M.

La Corte:

rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in 100,00, ed agli accessori di legge; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti procedurali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della 6^ Sezione Civile, il 13 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 22 novembre 2019

©2024 misterlex.it - [email protected] - Privacy - P.I. 02029690472