LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –
Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –
Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –
Dott. FERRO Massimo – rel. Consigliere –
Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
Sul ricorso proposto da:
M.F., rappr. e dif. dall’avv. Iasiello Paolo, elett. dom.
presso lo studio dell’avv. Agostinelli Flaminia, in Roma, via Donatello, n. 23, come da procura in calce all’atto;
– ricorrente –
contro
FALLIMENTO ***** s.r.l., in persona del curatore fallim. p.t.;
– intimato –
per la cassazione del decreto Trib. Genova 12.1.2017, n. 108/2017, R.G. 6129/2016;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del giorno 5 novembre 2019 dal Consigliere relatore Dott. Ferro Massimo;
il Collegio autorizza la redazione del provvedimento in forma semplificata, giusta decreto 14 settembre 2016, n. 136/2016 del Primo Presidente.
FATTI DI CAUSA
Rilevato che:
1. M.F. impugna il decreto Trib. Genova 12.1.2017, n. 108/2017, R.G. 6129/2016, che, rigettando l’opposizione allo stato passivo del FALLIMENTO ***** s.r.l., ha ritenuto inammissibile la richiesta di ammettere al passivo le somme dovute quali ritenute fiscali, e in realtà non versate dalla società datrice di lavoro, sul T.F.R. e le retribuzioni;
2. per il tribunale, rilevata l’assenza di novità del credito insinuato ex art. 101 L. Fall. rispetto alle pregresse proprie insinuazioni tempestive, accolte dal giudice delegato e relative al mancato pagamento del T.F.R. e di retribuzioni (richiesti ‘al nettò), non sussisteva una diversa causa petendi fra i citati crediti; le ritenute fiscali sugli emolumenti costituivano invero solo una porzione delle spettanze dovute, trattenute dal datore di lavoro e che questi avrebbe dovuto versare all’Erario;
3. con il ricorso, in unico complesso motivo, si contesta la violazione degli artt. 97 e 101 L. Fall., in relazione all’art. 2909 c.c., posto che la diversità di causa petendi – in tema di distinte pretese lavoristiche – non è esclusa dal fondarsi sul medesimo rapporto di lavoro in sè inteso, bensì dal poggiare su fatti e requisiti giuridici sovrapposti; la ritenuta d’acconto, invece, è credito dovuto per l’inadempienza tributaria del datore di lavoro verso il Fisco e la sua deducibilità potenzialmente separata rispetto all’insinuazione tempestiva del credito di lavoro completa la tutela costituzionale della retribuzione;
RAGIONI DELLA DECISIONE
Considerato che:
1. parte ricorrente ha depositato atto di rinuncia agli atti del giudizio;
2. va dunque dichiarata l’estinzione del giudizio ai sensi dell’art. 391 c.p.c. e non v’è luogo a provvedere sulle spese di lite;
3. non sussistono, inoltre, i presupposti per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, in tema di contributo unificato per i gradi o i giudizi di impugnazione (Cass. 25485/2018, 19071/2018, 23175/2015, 19560/2015 e Cass. 25722/2019).
PQM
La Corte dichiara l’estinzione del giudizio. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della insussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso giusta dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Motivazione semplificata.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 5 novembre 2019.
Depositato in Cancelleria il 25 novembre 2019