LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MANZON Enrico – Presidente –
Dott. D’AQUINO Filippo – rel. Consigliere –
Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –
Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –
Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO M.G. – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 23214/2015 R.G. proposto da:
AGENZIA DELLE DOGANE E DEI MONOPOLI (C.F. *****), in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;
– ricorrente –
contro
UTILITA’ SPA (C.F. *****), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli Avv.ti PATRIZIA TOVAZZI e STEFANO DI MEO, elettivamente domiciliato presso quest’ultimo in Roma, Via Pisanelli, 2:
– controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale dell’Umbria n. 199/04/15, depositata il 26 marzo 2015.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 11 settembre 2019 dal Consigliere Dott. D’Aquino Filippo.
RILEVATO
CHE:
La contribuente ha impugnato un provvedimento di diniego di rimborso del credito, derivante dal versamento in eccesso della addizionale provinciale sull’accisa dell’energia elettrica in data 16.03.2011, motivato dalla decadenza dall’esercizio del rimborso a termini del (TUA) D.Lgs. 26 agosto 1995, n. 504, art. 14, comma 2 per sopravvenuta abrogazione delle suddette addizionali;
che la CTP di Perugia ha accolto la domanda e la CTR dell’Umbria, con sentenza del 26 marzo 2015, ha rigettato l’appello, osservando che:
– il venir meno della facoltà di compensazione dell’imposta a credito, conseguente all’abrogazione dell’addizionale provinciale sulle accise a decorrere dal 1 gennaio 2012 ha generato un errore scusabile nella presentazione della domanda di rimborso, indotto dalla oggettiva incertezza normativa e dal comportamento colpevolmente silente dell’amministrazione finanziaria;
– l’istanza deve ritenersi tempestiva, dovendosi applicare all’istanza di rimborso il D.L. 13 maggio 2011, n. 70, art. 7, comma 1, lett. h), che proroga al primo giorno non festivo gli adempimenti scadenti il giorno di sabato;
– la contestazione della decadenza dall’esercizio del rimborso dell’imposta per omessa comunicazione dell’istanza all’Agenzia delle Entrate costituisce nuovo motivo di appello e, pertanto, doglianza inammissibile, oltre che assorbita dall’errore scusabile e sanata successivamente;
– il contribuente, il quale aveva effettuato il versamento in data 16.03.2011 e aveva compensato l’addizionale provinciale con gli importi a debito maturati successivamente, non ha più potuto operare la compensazione a decorrere dall’avvenuta abrogazione delle addizionali, sicchè la decorrenza del termine biennale di decadenza deve farsi decorrere dal momento in cui si sia esaurita la possibilità di compensazione progressiva per effetto della intervenuta menzionata abrogazione;
che propone ricorso per cassazione l’Ufficio affidato a sei motivi, cui resiste con controricorso la società contribuente.
CONSIDERATO
CHE:
con il primo motivo si deduce omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, nella parte in cui la CTR non si è pronunciata sulla qualificazione delle due comunicazioni inviate dalla contribuente all’Agenzia, la prima in data 18.03.2013 e la seconda in data 29.03.2013, nè ha accertato se tali atti vadano intesi quali istanze di rimborso, ovvero quali istanze di detrazione in compensazione del credito di imposta, previo trasferimento dei fondi dal capitolo delle addizionali (1411/02) al capitolo delle accise (1411/01); rileva il ricorrente come il legislatore ha disposto, giusto D.M. 7 agosto 2012, che le eventuali eccedenze dovute agli acconti versati dal contribuente a titolo di addizionale non possano più essere compensati, ma possano essere richiesti a rimborso con decorrenza dal pagamento; il ricorrente riproduce, al proposito, il contenuto delle due istanze della società contribuente nella parte narrativa del ricorso, laddove nel motivo di ricorso vengono riprodotte le difese del grado di appello;
che con il secondo motivo si deduce violazione di legge in relazione al (TUA) D.Lgs. 26 ottobre 1995, n. 504, art. 14, comma 2, art. 56, art. 2966 c.c., nella parte in cui la sentenza impugnata ha ritenuto che la decorrenza del termine decadenziale venga impedita dall’errore scusabile, non sussistendo secondo parte ricorrente alcuna incertezza normativa in ordine al termine di decorrenza per la proposizione dell’istanza di rimborso;
che con il terzo motivo si deduce violazione e falsa applicazione della L. 12 luglio 2000, n. 212, artt. 6 e 10, del D.Lgs. n. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 8, del D.Lgs. 8 novembre 1990, n. 374, art. 7, del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 6, nella parte in cui la sente a impugnata ha ritenuto sussistente l’errore scusabile;
contesta il ricorrente l’esistenza in fatto di un comportamento colpevolmente omissivo dell’amministrazione, quale causa giustificatrice del ritardo di parte contribuente nel presentare la domanda di rimborso, laddove il verificarsi della decadenza sarebbe da ascrivere all’inerzia di parte contribuente; deduce come non sussista rilevante incertezza normativa, dovendo parte contribuente dovendo necessariamente proporre istanza di rimborso, in assenza del verificarsi del meccanismo compensativo, con decorrenza dall’intervenuto pagamento; deduce, infine, come l’errore scusabile sia rilevante solo in tema di applicazione delle sanzioni e non di impedimento del verificarsi di una decadenza;
con il quarto motivo si deduce violazione di legge in relazione alla L. 29 dicembre 1990, n. 428, art. 29, comma 4, nella parte in cui la sentenza ha ritenuto tardiva l’eccezione di omessa comunicazione all’Agenzia delle Entrate dell’istanza di rimborso, quale ufficio tributario che ha ricevuto la dichiarazione dei redditi dell’esercizio di competenza, in quanto questione rilevabile di ufficio dal giudice;
con il quinto motivo si deduce falsa applicazione di legge in relazione all’art. 14 TUA, comma 2, e all’art. 2966 c.c., nella parte in cui la sentenza impugnata non ha accertato che le istanze presentate da parte contribuente avessero natura di domanda di rimborso, in assenza del cui accertamento mancherebbe l’accertamento del fatto previsto dalla legge il cui compimento impedirebbe il verificarsi della decadenza;
con il sesto motivo si deduce violazione di legge in relazione all’art. 14 TUA, comma 2, e all’art. 56 TUA, oltre che in relazione al D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, artt. 19 e 21, nella parte in cui la sentenza impugnata ha accertato che la decorrenza del termine per la presentazione della domanda di rimborso decorre non dal pagamento, bensì dal momento in cui non sarebbe più possibile operare la compensazione, laddove la decadenza del termin per la presentazione della domanda di rimborso decorrerebbe invariabilmente dal pagamento, indipendentemente dal motivo per il quale il pagamento risulterebbe indebito;
che, con riferimento al termine biennale di decadenza, la sentenza impugnata ha adottato una pluralità di rationes decidendi, fondate sia sull’errore scusabile (cui si riferiscono il secondo e il terzo motivo di ricorso), sia sulla tempestività della domanda di rimborso (alla quale sono dedicati il primo e il quinto motivo), nonchè sulla decorrenza del termine di decadenza, al quale è dedicato il sesto motivo;
che risulta opportuno esaminare preventivamente per economia processuale il sesto motivo di ricorso, attinente alla decorrenza del termine di decadenza;
che il sesto motivo è infondato, posto che, se è corretto affermare in linea generale il principio secondo cui, per esigenze di certezza dei rapporti giuridici codificate nell’art. 14 TUA, comma 2, il momento del pagamento dell’imposta integra il fatto iniziale da cui decorre il termine biennale del contribuente per far valere eventuali indebiti – anche in caso di declaratoria sopravvenuta del tributo di incompatibilità con l’ordinamento (Cass., Sez. U., 16 giugno 2014, n. 13676) – questo principio può essere affermato in relazione ai diritti esauriti o quesiti alla data del verificarsi della decadenza;
che diverso appare, invece, il caso in cui “la richiesta del contribuente tragga fondamento non tanto dalla primitiva operazione ma da un ulteriore fatto di rilevanza costitutiva, che dà origine ad una nuova obbligazione” (Cass., Sez. V, 5 settembre 2019, n. 22225; Cass., Sez. V, 31 luglio 2019, n. 20628);
che ciò si verifica laddove l’indebito non sia ascrivibile all’esecuzione del pagamento, ma a un fatto successivo al verificarsi dello stesso che ne determini la natura indebita;
che tale circostanza ricorre nel caso di specie, ove la natura indebita non decorre dall’intervenuto pagamento, trattandosi di impos dello Stato, bensì per effetto della successiva abrogazione delle addizionali provinciali, intervenuta per effetto del D.Lgs. 14 marzo 2011, n. 23, art. 2, comma 6 (“a decorrere dall’anno 2012 l’addizionale all’accisa sull’energia elettrica di cui al D.L. 28 novembre 1988, n. 511, art. 6, comma 1, lett. a) e b), convertito, con modificazioni, dalla L. 27 gennaio 1989, n. 20, cessa di essere applicata nelle regioni a statuto ordinario”) e del D.Lgs. 6 maggio 2011, n. 68, art. 18, comma 5 (“a decorrere dall’anno 2012 l’addizionale provinciale all’accisa sull’energia elettrica di cui al D.Lgs. 26 ottobre 1995, n. 504, art. 52 è soppressa”), che hanno abrogato con decorrenza dall’anno 2012 l’addizionale provinciale all’accisa sull’energia elettrica di cui al D.L. 28 novembre 1988, n. 511, art. 6, comma 1, lett. c);
che, nella specie, all’atto dell’esecuzione del pagamento (16.03.2011), non vi era ragione di ritenere che il pagamento fosse indebito, in quanto attinente a una imposta dello Stato, abrogata con decorrenza dall’anno 2012, tanto che lo stesso poteva essere successivamente compensato attraverso il riporto nella dichiarazione annuale; riporto che, solo all’atto del venir meno della abrogazione dell’imposta (alla data del 1.01.2012), non ha avuto più ragion d’essere, facendo maturare alla società contribuente il diritto a richiedere il rimborso;
che tale diritto deve, pertanto, ritenersi decorrente da epoca successiva al momento dell’intervenuto pagamento (16.03.2011), ossia dall’intervenuta abrogazione delle imposte (1.01.2012), termine non ancora elasso a termini dell’art. 14 TUA, comma 2, alle date in cui, in tesi, è stato esercitato il diritto al rimborso;
che, ove si ritenesse che il pagamento fosse indebito dal momento dell’esecuzione dello stesso (16.03.2011), si darebbe valenza retroattiva all’esaurimento del meccanismo compensativo, riducendo il termine biennale consentito al contribuente per azionare il diritto di rimborso a termini dell’art. 14 TUA, comma 2, in qua o questo decorrerebbe non dal pagamento ma dalla successiva abrogazione dell’imposta, con conseguente venir meno del meccanismo compensativo e onere di chiederne il rimborso;
che la sentenza impugnata si è conformata a tale principio, per cui non merita censura, rigettandosi il motivo di ricorso;
che, stante il rigetto del sesto motivo, con cristallizzazione di una delle rationes decidendi di merito, l’esame dei motivi primo, secondo, terzo e quinto si rivela inammissibile, perchè la conferma del profilo motivazionale conseguente al rigetto del sesto motivo è idoneo a reggere la decisione impugnata; sicchè va riaffermato il principio secondo cui, qualora la decisione di merito si fondi su una pluralità di ragioni, distinte e autonome e singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, la infondatezza delle censure mosse a una ratio decidendi rende inammissibili, per sopravvenuto difetto di interesse, le censure relative alle altre ragioni, in quanto queste ultime non potrebbero condurre, stante la definitività delle altre, alla cassazione della decisione (Cass., Sez. V, 11 maggio 2018, n. 11493);
che il quarto motivo è infondato, posto che è principio consolidato quello secondo cui non possono essere introdotti in sede di gravame fatti impeditivi nuovi (Cass., Sez. U., 16 maggio 2013, n. 11830); principio che, nel diritto tributario, viene declinato quale divieto di proporre nuove eccezioni in sede di gravame, previsto al D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 57, comma 2, che riguarda tutte le eccezioni in senso stretto, consistenti sia nei vizi d’invalidità dell’atto tributario, sia nei fatti modificativi, estintivi o impeditivi della pretesa fiscale, tali da ampliare il tema della decisione, implicando la deduzione di ulteriori fatti che richiedono una specifica indagine (Cass., Sez. V, 30 ottobre 2018, n. 77562), con la sola esclusione delle eccezioni improprie o mere difese, attinenti alla contestazione dei fatti costitutivi del credito tributario o delle censure del contribuente (Cass., Sez. VI, 29 dicembre 2017, n. 31224; Cass. Sez. V, 22 settembre 2017, n. 22105 ass., Sez. VI, 31 maggio 2016, n. 11223);
che la L. n. 428 del 1990, art. 29, comma 4, nel prevedere che “la domanda di rimborso (..) deve essere comunicata, a pena di inammissibilità, anche all’ufficio tributario che ha ricevuto la dichiarazione dei redditi dell’esercizio di competenza”, costituisce circostanza impeditiva del diritto al rimborso, tale da ampliare l’accertamento dei fatti contestati idonei a paralizzare la pretesa del contribuente e da costituire, conseguentemente, nuova deduzione;
che la sentenza impugnata si è conformata a tale principio, ritenendo che l’introduzione di tale deduzione in appello costituisce motivo nuovo;
che il ricorso va, pertanto, rigettato, con spese regolate dalla soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il quarto e il sesto motivo, dichiara inammissibili gli ulteriori motivi, condanna l’AGENZIA DELLE ENTRATE al pagamento delle spese processuali in favore di UTILITA’ SPA, che liquida in complessivi Euro 4.500,00 per compensi, oltre 15% rimborso spese generali, IVA e CPA.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 11 settembre 2019.
Depositato in cancelleria il 27 novembre 2019