LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –
Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –
Dott. FEDERICO Guido – rel. Consigliere –
Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –
Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 14052/2018 proposto da:
H.B.E., rappresentato e difeso dall’avv. Clementina Di Rosa del foro di Napoli, elettivamente domiciliato presso il suo studio, in Napoli, via G. Porzio Centro Direzionale, is. G1, sc.C;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, rappresentato e difeso dall’Avvocatura dello Stato, domiciliato presso i suoi Uffici, in Roma, via dei Portoghesi n. 12;
– controricorrente –
avverso il decreto n. 594/2018 del Tribunale di Campobasso, depositato il 26/3/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 25/09/2019 dal Consigliere Dott. GUIDO FEDERICO.
RITENUTO IN FATTO
H.B.E., cittadino originario del Bangladesh, propone ricorso per cassazione, con quattro motivi, avverso il decreto del Tribunale di Campobasso, pubblicato il 26.3.2018 che ha escluso il riconoscimento di ogni forma di protezione.
Il Tribunale, in particolare, ha ritenuto il racconto scarsamente attendibile nella parte in cui ha il richiedente ha riferito di essere di etnia *****, senza peraltro essere in grado di riferire di usi, costumi e tradizioni di tale comunità; dalle stesse dichiarazioni rese dal richiedente, inoltre, risultava che l’episodio estorsivo riferito, oltre ad essere risalente, era riconducibile a criminalità comune e non già ad una rappresaglia fondata su motivi discriminatori.
Il tribunale ha altresì escluso, sulla base di fonti aggiornate ed attendibili, la sussistenza in Bangladesh di un conflitto armato generalizzato, richiesto dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c).
Il Tribunale ha anche respinto la richiesta di protezione umanitaria, rilevando la mancanza di specifici elementi tali da evidenziare una situazione di particolare vulnerabilità del richiedente.
Il Ministero dell’Interno ha resistito con controricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo denuncia violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, commi 10 e 11, lamentando la mancata fissazione dell’udienza di comparazione, nonostante non si fosse proceduto alla videoregistrazione dell’audizione del richiedente innanzi ala commissione territoriale.
Il motivo è infondato.
Secondo quanto risulta dal provvedimento impugnato, infatti, il tribunale ha disposto apposita udienza di comparizione, in data 8 febbraio 2018.
Non sussiste dunque la dedotta nullità, atteso che, secondo il consolidato indirizzo più volte ribadito da questa Corte, in mancanza della videoregistrazione del colloquio, il giudice deve necessariamente disporre lo svolgimento dell’udienza di comparizione delle parti, configurandosi altrimenti la nullità del decreto pronunciato all’esito del ricorso, per inidoneità del procedimento a consentire il pieno dispiegamento del contraddittorio, ma l’obbligatorietà della fissazione dell’udienza di comparizione, ai sensi del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, non comporta automaticamente la necessità di dar corso alla audizione del richiedente (cfr. Cass., 5/07/2018, n. 17717; Cass., 13/12/2018, nn. 32318 e 32319; Cass., 31/01/2019, n. 2817).
Il secondo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3,5,6,7,8 e 14 lamentando che non sia stato riconosciuto al richiedente lo status di rifugiato o quanto meno la protezione sussidiaria, pur in presenza di atti di persecuzione derivanti dall’appartenenza del richiedente all’etnia ***** e deducendo che il Tribunale aveva attribuito eccessiva rilevanza a piccole imprecisioni nel racconto, a fronte di una narrazione nel complesso plausibile e coerente.
Il motivo è infondato.
Il tribunale ha ritenuto, quanto allo status di rifugiato, che, indipendentemente dalla scarsa credibilità del racconto, la vicenda che ha spinto il richiedente alla fuga sia riconducibile ad un episodio estorsivo di criminalità comune, mentre non risulta che il richiedente abbia tentato di rivolgersi alle autorità statali, senza ottenere alcuna tutela.
La statuizione è conforme a diritto.
Dalle allegazioni del richiedente non risulta che l’estorsione e l’aggressione subita sia direttamente collegata alla sua appartenenza ad un determinato gruppo etnico: il richiedente ha riferito che un gruppo di facinorosi gli aveva chiesto una grossa somma di denaro e successivamente lo aveva picchiato e gli aveva distrutto il negozio, senza che emergano motivazioni di carattere etnico, nè la complicità o tolleranza dell’autorità statale.
Le vicende private sono estranee al sistema della protezione internazionale, non rientrando nè nelle forme dello “status” di rifugiato, (art. 2, lett. e), nè nei casi di protezione sussidiaria, (art. 2, lett. g), e non possono pertanto essere addotte come causa di persecuzione o danno grave, nell’accezione offerta dal D.Lgs. n. 251 del 2007, atteso che i c.d. soggetti non statuali possono considerarsi responsabili della persecuzione o del danno grave ove lo Stato, i partiti o le organizzazioni che controllano lo Stato o una parte consistente del suo territorio, non possano o non vogliano fornire protezione contro persecuzioni o danni gravi (Cass. 9043/2019).
Con riferimento invece alla previsione di cui all’art. 14, lett. c), il tribunale ha escluso, sulla base di fonti aggiornate e qualificate, quali l’ultimo rapporto di Amnesty international, che il Bangladesh, pur soffrendo di forti tensioni politiche, sia caratterizzato da una condizione di violenza indiscriminata in situazione di conflitto armato, tale da esporre il richiedente al pericolo di un rischio grave ed effettivo per la propria incolumità personale in caso di rientro in patria.
Il terzo motivo denuncia violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, lamentando la mancata concessione del permesso umanitario, nonostante la giovane età del richiedente e l’esistenza, nel suo paese di origine, di tensioni sociali di natura politica ed etnica oltre che l’avvenuta integrazione nel tessuto sociale del nostro paese.
Il quarto motivo denuncia, sempre avuto riguardo alla mancata concessione della protezione umanitaria, l’omesso esame di un fatto storico e la illogicità della motivazione, in relazione alla valutazione di scarsa credibilità del racconto del richiedente circa la sua appartenenza al gruppo etnico *****, unicamente fondata sul fatto che questi non era stato in grado di riferire usi, costumi caratteristiche e tradizioni di tale comunità. Si censura, inoltre, la statuizione del decreto impugnato, secondo cui nel paese di appartenenza del ricorrente non sussiste una violenza generalizzata di cui all’art. 14, lett. c).
I motivi, che, in quanto connessi, vanno unitariamente esaminati, sono fondati, nei limiti di cui appresso.
Va anzitutto disatteso il quarto motivo nella parte in cui ripropone le censure, già formulate in relazione al rigetto della protezione sussidiaria, che consistono, in buona sostanza, nella mera contestazione dell’accertamento di fatto, fondato su fonti autorevoli ed aggiornate, effettuato dal tribunale sulla situazione del paese di origine del richiedente.
Merita invece accoglimento la censura, formulata sotto profili diversi, in entrambi i motivi, che qui congiuntamente si esaminano, avverso la statuizione di rigetto della protezione umanitaria.
Il tribunale non ha infatti in alcun modo preso in esame l’effettiva situazione del richiedente, al fine di verificare la sussistenza di una situazione di fragilità, mediante una valutazione comparativa tra eventuale radicamento in Italia e violazione o impedimento nel paese di origine, di diritti umani inalienabili, che pur non integrando lo status di rifugiato o la protezione sussidiaria, giustifichino comunque un titolo di soggiorno che protegga il richiedente dal rischio di essere nuovamente immesso, in conseguenza del rimpatrio, in un contesto sociale o ambientale idoneo a determinare una effettiva compromissione dei suoi diritti fondamentali.
Nel caso di specie, il tribunale ha omesso di considerare sia la giovane età del richiedente quando è fuggito dal Bangladesh, sia il fatto che questi aveva dichiarato di aver sempre vissuto in un campo di rifugiati (di *****): limitandosi a rilevare, in modo del tutto apodittico e non conducente ai fini della valutazione della sua situazione di fragilità, che egli non era in grado di riferire le tradizioni e gli usi della comunità *****, di appartenenza.
Disattesi il primo e secondo motivo, vanno dunque accolti il terzo e quarto mezzo nei limiti di cui in motivazione.
Il provvedimento impugnato va dunque cassato in relazione ai motivi accolti e la causa va rinviata al Tribunale di Campobasso, in diversa composizione, anche per la regolazione delle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte, respinto il primo e secondo motivo, accoglie il terzo e quarto mezzo.
Cassa il decreto impugnato in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa al tribunale di Campobasso, in diversa composizione, anche per la regolazione delle spese del presente giudizio.
Così deciso in Roma, il 25 settembre 2019.
Depositato in Cancelleria il 27 novembre 2019