LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –
Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –
Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –
Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –
Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –
Dott. GORI Pierpaolo – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 30850/2018 proposto da:
K.L., alias K.L., rappresentato e difeso dall’Avv. Elena Petracca, domiciliato presso la Cancelleria della Corte;
– ricorrente –
contro
Ministero dell’Interno, in persona del Ministro p.t.;
– intimato –
avverso il decreto del TRIBUNALE di VENEZIA, depositata il 17/09/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 08/10/2019 da Dott. GORI PIERPAOLO.
RILEVATO
che:
– Con decreto n. 4923 depositato in data 17.9.2018 nella controversia iscritta all’RGN 9792/2017 il Tribunale di Venezia rigettava il ricorso proposto da K.L., alias K.L., nato in *****, in impugnazione del provvedimento prefettizio di diniego notificatogli il 30.8.2017 dalla Commissione Territoriale per il Riconoscimento della Protezione Internazionale di Verona, sez. di Vicenza. In particolare il ricorrente deduceva di aver perso il padre e di essere stato estromesso, insieme alla madre, dall’eredità paterna ad opera dello zio, fratello del defunto, il quale giungeva a farlo aggredire da due uomini che con il calcio del fucile gli causavano anche la perdita di due incisivi. La causa successoria intentata dalla madre non aveva successo, lo zio aveva concessoa lui e alla madre di rimanere nella casa di famiglia, ma, a seguito dell’incendio di una piantagione, era stato incolpato del sinistro e minacciato di morte. Lo zio assoldava dei banditi per vendicarsi i quali, non trovandolo in casa, colpivano e ferivano sua madre, mentre egli rinunciava a denunciare le violenze in quanto lo zio era appartenente alle forze dell’ordine, e fuggiva da un amico in Libia ove permaneva dal giugno 2015 all’aprile 2016.
Il Tribunale di Venezia riteneva le dichiarazioni del richiedente non credibili, riteneva non compiutamente dimostrato il rischio di sottoposizione a persecuzione ai fini del riconoscimento dello status di rifugiato, nè quello di essere sottoposto a tortura o altra forma di pena o trattamento inumano o degradante ai fini della protezione sussidiaria, nè ravvisava nella zona di provenienza del richiedente (*****) la presenza di un conflitto armato interno da cui derivasse violenza indiscriminata, nè riteneva esistenti profili particolari di vulnerabilità per il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari.
Avverso la decisione il richiedente ha notificato in data 17.10.2018 ricorso, affidato a quattro motivi, e il Ministero dell’Interno non si è difeso, rimanendo intimato.
CONSIDERATO
che:
Con il primo e secondo motivo – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – il richiedente denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 e della L. n. 241 del 1990, art. 3, per non aver il Tribunale di Venezia correttamente applicato il canone dell’onere della prova, in particolare circa la valutazione delle dichiarazioni del ricorrente, ritenute non credibili e per aver omesso di attivarsi al fine di una cooperazione istruttoria in ordine all’accertamento delle condizioni aggiornate del Paese di origine del richiedente.
I motivi, strettamente connessi in quanto attinenti all’onere probatorio circa la richiesta di protezione internazionale, possono essere affrontati congiuntamente e sono infondati. La Corte rammenta che “In materia di protezione internazionale, il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, obbliga il giudice a sottoporre le dichiarazioni del richiedente, ove non suffragate da prove, non soltanto ad un controllo di coerenza interna ed esterna ma anche ad una verifica di credibilità razionale della concreta vicenda narrata a fondamento della domanda, verifica sottratta al controllo di legittimità al di fuori dei limiti di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5” (Cass. Sez. 1 -, Ordinanza n. 21142 del 07/08/2019, Rv. 654674 – 01).
Nel caso di specie la decisione censurata non ha omesso di valutare le condizioni socio-politiche della zona e del Paese d’origine del richiedente, ma ha preso una decisione nel merito, supportata da specifiche fonti informative, tra cui le contraddittorie dichiarazioni dello stesso richiedente in merito all’esito e conclusione della controversia familiare, per escludere l’esistenza di un fondato timore di persecuzione personale e diretta nel paese di origine a causa della razza, della religione, della nazionalità, dell’appartenenza ad un gruppo sociale o per le opinioni politiche professate: ritenendo che le ragioni esposte attinessero ad una vicenda meramente privatistica ed endofamiliare. Tale valutazione è stata operata in primo luogo sulla base del controllo di logicità del racconto del richiedente, e la valutazione compiuta dal giudice del merito a riguardo non è sindacabile in sede di legittimità sul piano della violazione di legge, ma solo nei limiti del sindacato motivazionale consentito dall’attuale formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5 in applicazione dei principi giurisprudenziali sopra richiamati.
– Con il terzo motivo – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – il richiedente denuncia la violazione ed falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a), b) e c) e L. n. 241 del 1990, art. 3 – difetto di motivazione – per mancata concessione della protezione umanitaria, non potendo essere il richiedente espulso o trasferito verso territori in cui la sua vita o libertà sarebbero minacciate.
– Con il quarto motivo – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 il richiedente denuncia la violazione, falsa ed errata applicazione del combinato disposto del D.Lgs. n. 289 del 1998, art. 5, comma 6 e L. n. 241 del 1990, art. 3 – difetto di motivazione – per erronea applicazione dei criteri previsti dalla legge per la protezione umanitaria.
– I motivi, strettamente connessi, in quanto attinenti ai presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria, possono essere trattati congiuntamente, e sono infondati. La CTR ha citato fonti attendibibili e circostanziate recenti (rapporto annuale Amnesty International 2017/2018, rapporto consiglio di sicurezza ONU dicembre 2015, Ministero dell’Interno Commissione nazionale per il diritto d’asilo, 17 ottobre 2016) a supporto della propria motivazione per concludere che la Costa d’Avorio conosce attualmente una situazione di relativa sicurezza, tendenzialmente stabile anche se fragile, dovendosi escludere che la regione stia vivendo una situazione di diffusa e sistematica violenza di entità tale da rilevare ai fini del riconoscimento anche della protezione sussidiaria. Inoltre, per consolidata giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 4455/2018), l’inserimento lavorativo, linguistico e affettivo del richiedente costituisce un fattore concorrente, ma non sufficiente da solo ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria.
In conclusione, il ricorso va disatteso, e nessun provvedimento va adottato sulle spese, in assenza di costituzione del Ministero.
PQM
La Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.
Così deciso in Roma, il 8 ottobre 2019.
Depositato in Cancelleria il 27 novembre 2019