LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –
Dott. TORRICE Amelia – rel. Consigliere –
Dott. TRIA Lucia – Consigliere –
Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –
Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
Sul ricorso 564/2014 proposto da:
F.R., elettivamente domiciliato in ROMA VIA BETTOLO GIOVANNI, 6, presso lo studio dell’avvocato ULDERICO CAPOCASALE, rappresentato e difeso dall’avv. LUCA SCOPA;
– ricorrente –
contro
AGENZIA DEL DEMANIO, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI 12;
– controricorrente –
e contro
AGENZIA PROVINCIALE DELLE ENTRATE;
– intimata –
avverso la sentenza n. 36/2013 della CORTE D’APPELLO DI TRENTO SEZ. DIST. DI BOLZANO, depositata il 26/09/2013 R.G.N. 35/2011;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 26/09/2019 dal Consigliere Dott. AMELIA TORRICE;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CIMMINO ALESSANDRO, che ha concluso per inammissibilità, in subordine rigetto;
udito l’Avvocato ALESSANDRO GRAZIANI per delega Avvocato LUCA SCOPA.
FATTI DI CAUSA
1. Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di Appello di Trento ha confermato la sentenza di primo grado che aveva respinto le domande proposte da F.R. nei confronti dell’Agenzia del Demanio, del Commissario del Governo per la Provincia di Bolzano e dell’Agenzia Provinciale delle Entrate, domande volte all’annullamento della revoca delle mansioni di custodia e di portierato disposta dall’Agenzia delle Entrate di Bolzano il 10.4.2009, all’accertamento dell’illegittimità del provvedimento in data 31.3.2010 di intimazione di rilascio dell’alloggio di servizio intrapresa dall’Agenzia del Demanio di Bolzano e al riconoscimento del diritto a usufruire di detto alloggio.
2. La Corte territoriale ha rilevato che dall’istruttoria espletata nel giudizio promosso dal F. ai sensi dell’art. 700 c.p.c. era emerso che questi: in epoca antecedente al provvedimento di revoca delle mansioni di custode dedicava circa tre ore al giorno al disimpegno dei compiti di natura impiegatizia (gestione della rete informatica) e per il resto del tempo provvedeva all’apertura ed alla chiusura dei cancelli dell’edificio dell’Amministrazione finanziaria, al sopralluogo degli uffici dopo l’apertura dei cancelli ed era disponibile ad aprire le porte degli uffici in caso di necessità e ad intervenire in caso di guasti; successivamente alla revoca di dette mansioni svolgeva le funzioni di assistente informatico ed effettuava giri di perlustrazione nel suo esclusivo interesse in quanto abitava nell’ambito dell’edificio dell’Agenzia delle Entrate.
3. La Corte territoriale ha ritenuto che, quanto meno dall’aprile del 2009, non sussistevano i presupposti per la fruizione dell’alloggio di servizio e che anche prima di tale data non sussisteva più la figura del custode prevista dalla L. n. 959 del 1962, art. 12 legge abrogata dal D.P.R. 26 marzo 2001, n. 107, art. 23, comma 1, lett. i) figura non prevista dalla contrattazione collettiva.
4. Essa ha attribuito alla nota del 10.4.2009 valore meramente ricognitivo dell’assetto derivato dal riordino dei mansionari ad opera della contrattazione collettiva ed ha affermato la legittimità del provvedimento di revoca delle mansioni sul rilievo che non era necessario che il provvedimento fosse adottato dalla Direzione Centrale.
5. Avverso detta sentenza F.R. ha proposto ricorso per cassazione affidato ad unico articolato motivo al quale ha resistito con controricorso l’Agenzia del Demanio. L’agenzia delle Entrate è rimasta intimata.
RAGIONI DELLA DECISIONE
6. Con l’unico motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omesso esame dei motivi di diritto esposti nell’atto di appello.
7. Deduce che con il primo motivo di appello esso ricorrente aveva impugnato la valutazione del materiale probatorio effettuata dal giudice di primo grado in ordine al venir meno dal 10.4.2009 delle mansioni di custodia e di portierato e aveva censurato la statuizione che aveva attribuito valore meramente ricognitivo al provvedimento del 10.4.2009, con il quale il Direttore dell’Agenzia del Demanio di Bolzano aveva disposto la revoca delle mansioni di custodia e di portierato.
8. Il ricorrente, inoltre, addebita alla Corte territoriale di avere trascurato il motivo di gravame formulato nei confronti della statuizione con la quale il giudice di primo grado aveva ritenuto tardiva la richiesta di acquisizione documentale (conferimento dell’incarico di vigilanza degli Uffici Finanziari di Bolzano a società terza).
9. In via preliminare deve evidenziarsi che, diversamente da quanto eccepito dalla controricorrente, non trova applicazione “ratione temporis” (il giudizio di appello risulta introdotto con ricorso in data 27.7.2011) la disposizione contenuta nell’art. 348 ter c.p.c., comma 5 che esclude che possa essere impugnata ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 la sentenza di appello “che conferma la decisione di primo grado”.
10. La norma, introdotta dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 2, conv. in L. n. 134 del 2012, si applica infatti ai giudizi di appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione anteriormente all’11 settembre 2012.
11. Tanto precisato il ricorso presenta plurimi profili di inammissibilità.
12. In primo luogo il motivo è inammissibile nella parte in cui è denunciato l’omesso esame “dei motivi di diritto” esposti nell’atto di appello, in quanto l’omesso esame di tesi giuridiche prospettate da una delle parti, non riferendosi all’accertamento dei fatti rilevanti per la decisione, non può mai risolversi in un vizio di motivazione deducibile autonomamente come motivo di ricorso per cassazione, ma può soltanto sostenere una censura di violazione o falsa applicazione di norme o principi di diritto (Cass. 2107/2012).
13. Il motivo è inammissibile anche nella parte in cui il ricorrente, sotto l’apparente deduzione del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, lungi dall’individuare il fatto storico principale o secondario che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia, sollecita in realtà una nuova, inammissibile, lettura del materiale istruttorio (Cass.SSU 24148/2013, 8054/2014; Cass. 1541/2016, 15208/2014, 24148/2013, 21485/2011, 9043/2011, 20731/2007; 181214/2006, 3436/2005, 8718/2005) operata dal giudice del merito in ordine al venir meno delle mansioni di custodia e di vigilanza a far tempo dall’aprile del 2009 e, quanto al periodo precedente, alla consistente riduzione di tali attività in ragione dell’attribuzione al ricorrente delle mansioni di assistente informatico in applicazione del mansionario adottato all’esito dell’intervento del CCNL personale del comparto delle agenzie fiscali 2002 – 2005.
14. Il ricorso è inammissibile anche nella parte in cui il ricorrente contesta la correttezza della ricostruzione del contenuto del provvedimento del 10.4.2009 in quanto non v’è alcun riferimento ai canoni di ermeneutica legale che la Corte territoriale avrebbe disatteso.
15. Va anche rilevato che il ricorrente, in violazione degli oneri imposti dall’art. 366 c.p.c., n. 6 e art. 369 c.p.c., n. 4, non ha riprodotto, nelle parti salienti e rilevanti il provvedimento del 10.4.2009, il Disciplinare relativo alle mansioni di portierato, la nota del 13.7.2010, la nota 7.7.2010, atti tutti posti a fondamento della censura in esame ma si è limitato ad indicare la sede di produzione processuale delle note del luglio 2010.
16. Al riguardo va richiamato il principio ripetutamente affermato da questa Corte secondo cui l’art. 366 c.p.c., n. 6 e art. 369 c.p.c., n. 4 impongono alla parte ricorrente, quando siano in gioco atti processuali ovvero documenti o prove orali la cui valutazione debba essere fatta ai fini dello scrutinio di un vizio di violazione di legge, ex art. 360 c.p.c., n. 3, di carenze motivazionali, ex art. 360 c.p.c., n. 5, o di un error in procedendo, ai sensi dei nn. 1, 2 e 4 della medesima norma, è necessario non solo che il contenuto dell’atto o della prova orale o documentale sia riprodotto in ricorso, nelle parti salienti e rilevanti, ma anche che ne venga indicata l’esatta allocazione nel fascicolo d’ufficio o in quello di parte, rispettivamente acquisito o prodotto in sede di giudizio di legittimità (Cass. SSUU 8077/2012; Cass. 5696/2018, 24883/2017, 13713/2015, 19157/2012, 6937/2010).
17. Non è, dunque, sufficiente che il ricorrente assolva al distinto onere previsto, a pena di improcedibilità, dall’art. 369 c.p.c., n. 4, indicando la sede nella quale l’atto processuale è reperibile, perchè l’art. 366 c.p.c., come modificato dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 5 richiede che al giudice di legittimità vengano forniti tutti gli elementi necessari per avere la completa cognizione della controversia, senza necessità di accedere a fonti esterne, mentre la produzione è finalizzata a permettere l’agevole reperibilità del documento o dell’atto la cui rilevanza è invocata ai fini dell’accoglimento del ricorso (fra le più recenti, sulla non sovrapponibilità dei due requisiti, Cass. 19048/2016).
18. Per le medesime ragioni è inammissibile il motivo nella parte in cui il ricorrente addebita alla sentenza impugnata di non avere preso in esame il motivo di gravame formulato nei confronti della statuizione di primo grado che aveva ritenuto tardiva la richiesta di acquisizione dei documenti indicati nelle note conclusionali depositate nel giudizio di primo grado.
19. Il ricorrente non ha, infatti, riprodotto nel ricorso, nelle parti salienti e rilevanti, gli atti del processo di primo grado, la sentenza di primo grado e l’atto di appello – atti che non risultano allegati al ricorso e di cui non è precisata la sede di produzione processuale – e non ha specificato se e in che termini la richiesta istruttoria disattesa nel giudizio di primo grado sia stata ribadita in sede di appello.
20. Sulla scorta delle considerazioni svolte va dichiarata l’inammissibilità del ricorso.
21. Le spese del giudizio di legittimità, nella misura liquidata in dispositivo, seguono la soccombenza in relazione al rapporto processuale con l’Agenzia del Demanio.
22. Non occorre provvedere sulle spese quanto all’Agenzia delle Entrate per l’assenza di attività difensiva da parte di quest’ultima.
23. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.
PQM
LA CORTE Dichiara l’inammissibilità del ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in favore dell’Agenzia del Demanio in Euro 4.500,00 oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 26 settembre 2019.
Depositato in Cancelleria il 27 novembre 2019