LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE CIVILI
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MAMMONE Giovanni – Primo Presidente –
Dott. CURZIO Pietro – Presidente di Sez. –
Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente di Sez. –
Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –
Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –
Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –
Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –
Dott. CRUCITTI Roberta – rel. Consigliere –
Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 22560/2018 proposto da:
SEMEL S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA RONCIGLIONE 3, presso lo studio dell’avvocato FABIO GULLOTTA, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato STEFANO BACIGA;
– ricorrente –
contro
REGIONE VENETO, in persona del Presidente pro tempore della Giunta Regionale, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA VARRONE 9, presso lo studio dell’avvocato BRUNA D’AMARIO PALLOTTINO, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati EZIO ZANON, LUISA LONDEI e BIANCA PEAGNO;
– controricorrente –
e contro
UNITA’ ORGANIZZATIVA GENIO CIVILE REGIONALE DI VERONA, COMUNE DI VERONA;
– intimati –
avverso la sentenza n. 99/2018 del TRIBUNALE SUPERIORE DELLE ACQUE PUBBLICHE, depositata il 28/05/2018.
Udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 14/10/2019 dal Consigliere Dott. ROBERTA CRUCITTI.
RILEVATO
che:
SEMEL s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, ricorre, affidandosi a due motivi, nei confronti della Regione Veneto, dell’Unità organizzativa Genio Civile regionale di Verona e del Comune di Verona, per la cassazione della sentenza n. 99/18, depositata il 29 maggio 2018, con cui il Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche aveva rigettato il ricorso, da essa proposto, avverso il provvedimento con cui la Regione – Unità del Genio Civile di Verona aveva negato l’autorizzazione idraulica, in relazione al progetto di ristrutturazione di un edificio, sito all’interno del centro abitato di *****, in prossimità del fiume *****, nonchè avverso il conseguenziale provvedimento di sospensione dei lavori di ristrutturazione e il successivo ordine di demolizione, con riduzione in pristino;
il Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche, premesso che, in fatto, era rimasta incontestata la realizzazione di un profondo scavo che lambiva l’argine destro del fiume *****, in contrasto, per un verso, con il limite dei dieci metri, di cui al R.D. n. 523 del 1904, art. 96, lett. f) e, per altro verso, con la fascia di rispetto idraulico di venti metri di cui al “Regolamento Ansaldi”, integrato dal provvedimento del Magistrato delle Acque di Venezia n. 9700/1981, riteneva non condivisibile la tesi difensiva della Società, ovvero che la disciplina urbanistica posta in essere dal Comune di Verona fosse la sola disciplina rilevante, non solo ai fini urbanistici ed edilizi, ma, anche, nella specifica materia idraulica;
in particolare, il T.S.A.P. rilevava come la norma locale, avente finalità meramente urbanistiche, non poteva derogare alla disciplina statale (R.D. n. 523 del 1904, art. 96) che – in quanto informata a tutelare il buon regime delle acque pubbliche nonchè a prevenire i danni che possono derivare da una disordinata attività costruttiva e manutentiva lungo i corsi di acqua – impone divieti da qualificarsi come tassativi, con la conseguenza che, nella specie, si fosse concretata la violazione del R.D. n. 523 del 1904, art. 96, lett. f), non essendo stata rispettata la distanza di 10 metri dall’alveo del fiume;
inoltre, sempre secondo il T.S.A.P., l’accertata violazione della norma suddetta rendeva irrilevante, siccome assorbita, la questione, pur sollevata dalla ricorrente, della vigenza o meno della disciplina contenuta nel Regolamento Ansaldi, adottato nel lontano 1819 nell’allora Regno Lombardo Veneto;
la Regione Veneto resiste con controricorso mentre il Comune di Verona e l’Unità Organizzativa del Genio Civile regionale di Verona non hanno svolto attività difensiva;
il ricorso per cassazione è stato avviato alla trattazione in Camera di consiglio, ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c.;
in prossima dell’adunanza camerale la ricorrente ha depositato memoria.
CONSIDERATO
che:
1 con il primo motivo di ricorso rubricato: impugnazione ai sensi dell’art. 111 Cost., per violazione di norma di legge – Violazione del R.D. n. 523 del 1904, art. 96 – Violazione della L.R. n. 11 del 2004, artt. 13 e 41 – Violazione del P.A.T. e del P.I. del Comune di Verona – la ricorrente, premesso che la distanza di metri dieci fissata dal R.D. n. 523 del 1904, art. 96, lett. f), opera solo in assenza di una normativa locale, deduce l’errore in cui sarebbe incorso il T.S.A.P. nell’escludere che il Piano Regolatore Comunale del Comune di Verona (contenente una più ristretta fascia di rispetto idraulico) fosse riconducibile alle “discipline vigenti nelle diverse località” espressamente richiamate dalla normativa invocata;
in particolare, secondo la prospettazione difensiva, contrariamente a quanto argomentato nella sentenza impugnata, le competenze regolamentari del Comune di Verona, in materia urbanistica, comprendevano anche quelle inerenti la materia idraulica e la regimazione delle acque pubbliche con espresso fondamento normativo nella Legge Urbanistica Veneto n. 11 del 2004;
la censura è infondata. Questa Corte (cfr. Sez. U. Sentenza n. 12271 del 05/07/2004; id. n.ri 807 del 1978, 5644 del 1979 e 11784/2009) ha già statuito che “i divieti di edificazione sanciti dal R.D. 25 luglio 1904, n. 523, art. 96 (Testo unico delle leggi sulle opere idrauliche) sono informati alla ragione pubblicistica di assicurare la possibilità di sfruttamento delle acque demaniali ovvero di assicurare il libero deflusso delle acque scorrenti nei fiumi, torrenti, canali e scolatoi pubblici”;
individuata tale ratio legis si è, conseguenzialmente, affermato (v. Cass. S.U.n. 19813 del 18/07/2008, n. 7574 del 30.3.2009 e, di recente, n. 21870 del 30.8.2019) che “R.D. 25 luglio 1904, n. 523, art. 96, lett. f), in materia di distanze delle costruzioni dagli argini, ha carattere sussidiario, essendo destinato a prevalere solo in assenza di una specifica normativa locale. Tuttavia, quest’ultima, che può anche essere contenuta nello strumento urbanistico, per derogare alla norma statale, deve essere espressamente destinata alla regolamentazione delle distanze dagli argini, esplicitando le condizioni locali e le esigenze di tutela delle acque e degli argini che giustifichino la determinazione di una distanza maggiore o minore di quella indicata dalla norma statale”;
ciò posto, nel caso in esame, la normativa regionale invocata dalla ricorrente, cosi come gli stralci degli strumenti urbanistici riportati in ricorso (Piano di assetto del territorio “P.A.T.” e relative norme di attuazione, e Piano degli interventi “P.I.”), non appaiono idonei allo scopo (come, peraltro, esplicitamente accertato dal T.S.A.P. ed evidenziato nella sentenza impugnata) non essendo sufficienti a dimostrare che, in tali strumenti urbanistici, fosse stata presa espressamente in esame la specifica condizione del fiume *****, in quella zona, e si fosse attuata, per specifiche e particolari ragioni, una deroga al disposto dell’art. 96 su detto;
in altri termini, deve escludersi che la normativa locale in questione risultasse emanata, così prevalendo sulla norma generale, con carattere specifico, ossia tenendo esplicitamente conto della regola generale espressa dalla normativa statale e delle peculiari condizioni delle acque e degli argini, prendendole in considerazione al fine di stabilirvi l’eventuale deroga;
2 con il secondo motivo – rubricato:impugnazione ai sensi dell’art. 111 Cost., per nullità della sentenza-totale omissione di motivazione-erroneità dell’assorbimento – la ricorrente denuncia l’erronea dichiarazione, da parte del T.S.A.P. di assorbimento della questione relativa alla perdurante vigenza del c.d. “Regolamento Ansaldi” con la conseguente totale omissione di motivazione sul punto;
in particolare, secondo la prospettazione difensiva, la questione, erroneamente ritenuta assorbita dal Tribunale Superiore delle Acque, una volta accertata la violazione dell’art. 96 citato, non era irrilevante in quanto i provvedimenti impugnati avevano affermato la natura irregolare anche delle opere poste a distanza minore di 20 metri dal fiume ***** (l’intero edificio), mentre solo lo scavo era sito a distanza inferiore a dieci metri;
2.1 secondo la giurisprudenza consolidata di questa Corte (v. tra le altre, Cass. n. 28633/14 e, di recente, Cass. n. 28995 del 12/11/2018) la figura dell’assorbimento in senso proprio ricorre quando la decisione sulla domanda assorbita diviene superflua, per sopravvenuto difetto di interesse della parte, la quale con la pronuncia sulla domanda assorbente ha conseguito la tutela richiesta nel modo più pieno, mentre è in senso improprio quando la decisione assorbente esclude la necessità o la possibilità di provvedere sulle altre questioni, ovvero comporta un implicito rigetto di altre domande. Ne consegue che l’assorbimento non comporta un’omissione di pronuncia (se non in senso formale) in quanto, in realtà, la decisione assorbente permette di ravvisare la decisione implicita (di rigetto oppure di accoglimento) anche sulle questioni assorbite, la cui motivazione è proprio quella dell’assorbimento, per cui, ove si escluda, rispetto ad una certa questione proposta, la correttezza della valutazione di assorbimento, avendo questa costituito l’unica motivazione della decisione assunta, ne risulta il vizio di motivazione del tutto omessa;
2.2 ciò premesso, nella specie, non si ravvisa il vizio dedotto con il mezzo di impugnazione;
come si evince dal tenore complessivo della sentenza impugnata, il T.S.A.P., accertata l’assenza di norma locale in deroga alla disciplina statale e ribadito che quest’ultima, in quanto informata a tutelare il buon regime delle acque pubbliche nonchè a prevenire i danni che possano derivare da una disordinata attività costruttiva e manutentiva lungo i corsi d’acqua, impone divieti da qualificarsi come tassativi, ha ribadito la violazione del disposto del R.D. n. 523 del 1904, art. 96, lett. f) e, motivando esplicitamente sul punto, ha ritenuto che la soluzione della questione dedotta (ovvero la attuale vigenza o meno del cd. Regolamento Ansaldi), fosse assorbita in quanto irrilevante, giacchè dall’accertata violazione della distanza dei metri dieci, seppur riferita al solo “scavo”, conseguiva un vincolo di inedificabilità assoluto, con conseguente legittimità dei provvedimenti impugnati siccome “a carattere fortemente vincolato e dovuto”;
3 alla luce delle considerazioni sin qui svolte, il ricorso va rigettato;
4 la ricorrente, in ossequio al principio di soccombenza, va condannata alla refusione in favore della Regione Veneto, delle spese processuali liquidate, sulla base del valore della controversia e dell’attività difensiva spiegata, come in dispositivo;
5 non c’è pronuncia sulle spese, in mancanza di attività difensiva, nei confronti degli altri intimati;
6 si dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma comma 1 bis, dello stesso articolo, se dovuto.
PQM
Rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente, in persona del legale rappresentante pro tempore, alla refusione in favore della Regione Veneto delle spese processuali liquidate in complessivi Euro 4.000, oltre Euro 200 per esborsi, rimborso spese generali forfetario nella misura del 15% e accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 14 ottobre 2019.
Depositato in Cancelleria il 27 novembre 2019