LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ORICCHIO Antonio – Presidente –
Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –
Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –
Dott. SCARPA Antonio – rel. Consigliere –
Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 14364/2015 proposto da:
T.D., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA POMEZIA 44, presso lo studio dell’avvocato PIERO FARALLO, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
TIRO A SEGNO NAZIONALE SEZIONE DI *****, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ANTONIO ROITI, 45, presso lo studio dell’avvocato GIANCARLO MANNARELLI, rappresentato e difeso dall’avvocato FRANCO COLLALTI;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2674/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 22/04/2014;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 25/06/2019 dal Consigliere Dott. ANTONIO SCARPA.
FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE
L’architetto T.D. ha proposto ricorso articolato in unico motivo avverso la sentenza n. 2674/2014 della Corte d’Appello di Roma, depositata il 22 aprile 2014.
Resiste con controricorso l’associazione Tiro a segno nazionale, sezione di *****.
Il ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c..
L’architetto T.D. ottenne decreto ingiuntivo del 3 aprile 1998 nei confronti della Tiro a segno nazionale, sezione di *****, per l’ammontare di Lire 9.667.975, dovute quale compenso per “progettazione e pratiche amministrative di autorizzazione relative ai lavori di sbancamento e sistemazione ambientale di una pista carrabile nell’area adiacente al poligono di tiro”. Il Tribunale di Frosinone, con sentenza del 1 febbraio 2008, respinse l’opposizione della Tiro a segno nazionale, sezione di *****. Quest’ultima propose appello e la Corte d’Appello di Roma accolse in parte il gravame relativamente all’importo del compenso spettante al professionista. In particolare, i giudici di secondo grado ritennero documentato il conferimento, a decorrere dal 4 novembre 1992, dell’incarico di “eseguire i lavori di sistemazione ambientale nell’area adiacente il poligono”, a firma del presidente dell’associazione. L’architetto T. aveva inoltre prodotto una relazione tecnica e due planimetrie, per le quali era riconosciuto il compenso, mentre la sentenza impugnata negò ogni pretesa del professionista con riferimento all’attività di direzione lavori, che non era stata richiesta nel ricorso per decreto ingiuntivo. Per l’attività di “progettazione e pratiche amministrative di autorizzazione relative ai lavori di sbancamento e sistemazione ambientale di una pista carrabile nell’area adiacente al poligono di tiro”, dedotta in sede monitoria, il relativo corrispettivo, quantificato dal medesimo architetto nel progetto di parcella del 5 dicembre 1992, ammontava a Lire 2.904.000. Non erano quindi dovute, secondo la Corte d’Appello, le spettanze per l’attività di direzione dei lavori ed il rimborso spese in percentuale, considerate nel parere di congruità.
L’unico motivo di ricorso dell’architetto T.D. deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 2233 c.c., commi 1 e 2 e della L. n. 143 del 1949, affermandosi che la Corte d’Appello avrebbe errato nel non riconoscere il compenso per la somma di Lire 9.667.875, di cui al parere di congruità del Consiglio dell’Ordine degli Architetti di Frosinone, somma dovuta in base alle tariffe di legge per la svolta attività di progettazione ed affatto relativa alla diversa attività di direzione dei lavori, la quale era stata infatti oggetto di autonoma domanda riconvenzionale dell’opposto proposta nel giudizio di primo grado. Nessuna significatività avrebbe il progetto di parcella del 5 dicembre 1992, giacchè redatto prima del completamento dell’opera (ed in particolare prima della richiesta di concessione in sanatoria) e perciò da spiegare come semplice richiesta di acconto, con importi per di più calcolati sotto tariffa.
Il motivo di ricorso rivela carenza dei caratteri di specificità, completezza e riferibilità alle essenziali rationes decidendi della sentenza impugnata, ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, ed è comunque infondato.
La Corte d’Appello di Roma ha evidenziato come la “causa petendi” su cui poggiava il ricorso per decreto ingiuntivo proposto dall’architetto T.D. e quindi i fatti e gli elementi di diritto costituenti le ragioni della domanda monitoria, riconducibili alle condizioni di ammissibilità dettate dall’art. 633 c.p.c., attenevano al compenso per “progettazione e pratiche amministrative di autorizzazione relative ai lavori di sbancamento e sistemazione ambientale di una pista carrabile nell’area adiacente al poligono di tiro”.
E’ noto come nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo è limitata la facoltà dell’opposto di proporre domande riconvenzionali fondate su un diverso petitum o su una diversa causa petendi (arg. da Cass. Sez. U, 27/12/2010, n. 26128).
In ogni caso, lo stesso ricorrente espone che la propria domanda riconvenzionale, proposta in primo grado, era stata rigettata dal Tribunale, senza che egli formulasse al riguardo appello incidentale.
Così delimitato il tema di lite, spettava all’architetto T., che agiva per ottenere il soddisfacimento del credito inerente all’attività asseritamente prestata a favore del cliente, l’onere di provare sia l’an del credito vantato, sia l’entità delle prestazioni eseguite, al fine di consentire la determinazione quantitativa del suo compenso. In particolare, la Corte d’Appello ha reputato provata unicamente l’attività professionale consistente della redazione di una relazione tecnica e di due planimetrie. Esula dai limiti del giudizio di legittimità l’invocazione di un diverso apprezzamento di fatto in ordine all’effettiva consistenza delle attività professionali espletate dall’architetto T., in quanto tale operazione suppone un accesso diretto agli atti e una loro rinnovata delibazione mediante applicazione di regole inferenziali.
Del resto, pure il parere reso dalla competente associazione professionale ai sensi dell’art. 636 c.p.c., che deve accompagnare la domanda di ingiunzione di pagamento dei crediti per le prestazioni di cui dell’art. 633 c.p.c., nn. 2 e 3, quando il loro ammontare non è determinato in base a tariffe obbligatorie, è vincolante solo per la pronuncia del decreto ingiuntivo e non anche nel giudizio di opposizione eventualmente promosso dal soggetto contro il quale il decreto è stato emesso, nel quale è il professionista, che si asserisce creditore, a dover provare di avere effettuato le prestazioni indicate nella parcella, ed il giudice di merito deve valutare le prove raccolte per stabilire se le prestazioni siano state eseguite, mentre la misura del compenso deve seguire i criteri stabiliti dall’art. 2233 c.c. (Cass. Sez. 2, 30/10/1996, n. 9514). E’ poi noto che i criteri di determinazione del compenso spettante ai prestatori d’opera intellettuale, dettati appunto dall’art. 2233 c.c., stabiliscono una scala preferenziale che indica al primo posto l’accordo delle parti, in subordine le tariffe professionali ovvero gli usi ed, infine, la decisione del giudice, previo parere obbligatorio, ma non vincolante, delle associazioni professionali. Pertanto, il ricorso ai criteri sussidiari (tariffe professionali, usi, decisione giudiziale) è precluso al giudice quando esista uno specifico accordo tra le parti, le cui pattuizioni risultano preminenti su ogni altro criterio di liquidazione (Cass. Sez. 6-2, 29/12/2011, n. 29837; Cass. Sez. 2, 29/01/2003, n. 1317; Cass. Sez. 2, 23/05/2000, n. 6732).
La Corte d’Appello ha allora accertato in fatto che per l’attività di “progettazione e pratiche amministrative di autorizzazione relative ai lavori di sbancamento e sistemazione ambientale di una pista carrabile nell’area adiacente al poligono di tiro”, oggetto della domanda monitoria, era stato lo stesso architetto T., nel progetto di parcella del *****, a quantificare il proprio compenso in Lire 2.904.000.
La predisposizione di una parcella, da cui il giudice di merito, nell’ambito dell’apprezzamento dei fatti di causa che gli è riservato, evinca l’inequivoco intendimento del professionista di ritenersi soddisfatto, con il versamento di una certa somma, del suo diritto a compenso per una determinata prestazione, osta a che il professionista stesso possa avanzare, per la medesima prestazione, ulteriori pretese secondo la tariffa professionale, atteso che, come visto, l’applicabilità di questa ha carattere sussidiario, e va esclusa in caso di fissazione convenzionale del corrispettivo, senza che perciò neppure rilevi la dedotta violazione dei minimi tariffari (arg. da Cass. Sez. 2, 23/10/1978, n. 4778; Cass. Sez. 2, 05/10/2009, n. 21235).
Non è altrimenti dato alla Corte di cassazione il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, ovvero, in particolare, di attribuire una diversa e minore concludenza, quale fonte di convincimento, al progetto di parcella del ***** rispetto a quella ritenuta dalla Corte d’Appello.
Conseguono il rigetto del ricorso e la regolazione secondo soccombenza delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in dispositivo, in favore della controricorrente.
Sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che ha aggiunto del Testo Unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, il comma 1-quater – dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione integralmente rigettata.
PQM
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a rimborsare alla controricorrente le spese sostenute nel giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 3.100,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 25 giugno 2019.
Depositato in Cancelleria il 29 novembre 2019