LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MANNA Felice – Presidente –
Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –
Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –
Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –
Dott. CASADONTE Annamaria – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 25872-2015 proposto da:
M.A.R. Macchine Automatiche Riempitrici Spa, elettivamente domiciliata in Roma, Largo Di Torre Argentina, 11, presso lo studio dell’avvocato Andrea Lazzaretti, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato Carlo Ginevra;
– ricorrente –
contro
Income Marketing Pvt Ltd; difesa dall’avv. Andrea Bianchi, elettivamente domiciliata in Roma, Via F. S. Nitti 12 c/o avv. F.
Buccia Fratedocchi;
– intimata –
avverso la sentenza n. 3897/2015 della Corte d’appello di Milano, depositata il 12/10/2015;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 28/03/2019 dal Consigliere Dott. Annamaria Casadonte.
RILEVATO
che:
– il presente giudizio di legittimità trae origine dal ricorso notificato il 2/11/2015 da M.A.R. Macchine Automatiche Riempitrici s.p.a. (d’ora in poi MAR) nei confronti di Income Marketing Pvt. Ltd (d’ora in poi Income) avverso la sentenza della Corte d’appello di Milano che aveva rigettato l’appello di MAR ed accolto quello incidentale di Income;
– il contenzioso fra le parti era insorto a seguito di citazione in giudizio notificata da Income a MAR al fine di sentirla condannare al pagamento dei compensi (nella forma della commissione del 10%) per l’attività di promozione della vendita sul territorio dell’India dei macchinari prodotti dalla MAR in forza di contratto di collaborazione commerciale stipulato il 12/2/1996 e proseguito sino al 2008;
– si era costituita la MAR che aveva preliminarmente eccepito il difetto di legittimazione attiva di Income per essere stato il contratto di promozione stipulato il 12/2/1996 con la Industrial & Commercial Enterprises;
– inoltre la convenuta contestava nel merito la pretesa creditoria, eccependo l’esistenza di due diversi compensi previsti in forza del contratto ed articolava domanda di risarcimento dei danni per violazione del patto di non concorrenza in relazione a tre specifici preventivi di ordini riferiti ad alcuni clienti;
– istruita la causa a mezzo testi, il tribunale adito respingeva l’eccezione di difetto di legittimazione attiva di Income e accoglieva parzialmente la domanda attorea, condannando MAR al pagamento di Euro 159.186,00 a titolo di commissione, mentre respingeva la domanda riconvenzionale di danni formulata da parte convenuta in quanto non provata;
– proposto gravame in via principale da MAR ed in via incidentale da Income, la corte d’appello milanese con l’impugnata sentenza, respingeva l’impugnazione principale ed accoglieva quella incidentale aumentando l’importo dovuto a titolo di commissioni ad Euro 184.431,59;
– il giudice d’appello ribadiva l’infondatezza dell’eccezione di difetto di legittimazione attiva ricostruendo il rapporto fra Industria&Commercial ed Income in termini di cessione del contratto del 12/2/1996 desumendo la conclusione sia dalla documentazione proveniente dalla stessa MAR e diretta ai suoi clienti in cui riconosceva la lunga collaborazione intercorsa con la Income, sia dalla documentazione contabile avente ad oggetto le commissioni riconosciute per gli ordini procurati e le conseguenti distinte bancarie, sia, infine, dalla stessa proposizione della domanda riconvenzionale di risarcimento dei danni sulla scorta del patto di non concorrenza presente nel contratto concluso con Industrial nel 1996;
– parimenti la corte territoriale ribadiva l’infondatezza della domanda riconvenzionale di danni confermando la conclusione che la domanda non risultava provata;
-la corte milanese aveva, invece, ritenuto provato il residuo credito dell’appellante incidentale per l’ordine indicato con il n. 4 ed in tale misura incrementato l’importo della condanna di primo grado;
– la cassazione della sentenza d’appello è chiesta da MAR sulla base di sette motivi, illustrati anche da memoria ex art. 380-bis.1 c.p.c., cui resiste con controricorso Income.
CONSIDERATO
che:
– con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la corte distrettuale pronunciato extrapetita riconoscendo il titolo della pretesa di Income nel contratto di cessione;
– con il secondo motivo si denuncia la nullità della sentenza e/o del procedimento, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, ritenendo che la doglianza di ultrapetizione abbia una inevitabile ricaduta sulla validità della sentenza e del procedimento;
– con il terzo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione e falsa applicazione dell’art. 102 c.p.c., per non avere la corte d’appello proceduto alla chiamata in causa di Industrial & Commercial ai fini del litisconsorzio necessario;
– con il quarto motivo di denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità della sentenza per mancata integrazione del contraddittorio con la chiamata in giudizio della Industrial & Commercial;
– i primi quattro motivi possono essere esaminati congiuntamente perchè, seppure in diversa misura, deducono sotto vari e complementari profili il vizio di extrapetizione in quanto, sebbene la Income avesse dedotto di essere la nuova denominazione della società Industrial & Commercial Interprises, la corte territoriale, mutando – si afferma – la causa petendi, ha ritenuto che Industrial & Commercial le avesse ceduto il contratto con la MAR;
– i motivi sono infondati, poichè la cessione del contratto attiene alla identificazione del soggetto avente diritto alla prestazione dedotta, e dunque al merito, e come tale è solo oggetto di prova;
– a questo riguardo è noto che la titolarità della posizione soggettiva, attiva o passiva, vantata in giudizio è un elemento costitutivo della domanda ed attiene al merito della decisione, sicchè spetta all’attore allegarla e provarla, salvo il riconoscimento, o lo svolgimento di difese incompatibili con la negazione da parte del convenuto (Cass. Sez. un. 2951/2916);
– l’applicazione del principio ora enunciato al caso di specie, conduce alla constatazione che la conclusione raggiunta in punto di legittimazione ad agire dalla corte territoriale, sulla base delle considerazioni già sopra richiamate che attingono a circostanze provenienti dalla stessa convenuta ed incompatibili con la sua negazione, appare esente dai vizi denunciati;
– con il quinto motivo si deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione degli artt. 1406,1408,1409 c.c., per non avere la corte territoriale considerato che la cessione richiede un consenso a tre (cedente, ceduto e cessionario);
– la censura è infondata;
– come già osservato, la corte milanese ha esattamente ritenuto, sulla base di un ragionamento inferenziale, che tale accordo vi fosse, considerando, in particolare, che le due società indiane avevano lo stesso amministratore V.P.;
– la corte distrettuale ha poi correttamente ritenuto che la cessione del contratto non è soggetta a requisito di forma che non sia proprio del contratto ceduto;
– con il sesto motivo si deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e 1368 c.c., per avere la pronuncia gravata interpretato il materiale istruttorio senza tener conto dei criteri della comune intenzione delle parti e del complessivo comportamento delle stesse;
– il motivo è infondato;
– i criteri ermeneutici invocati attengono all’interpretazione del contratto e non a quella delle prove addotte per dimostrare la sua esistenza;
– con il settimo motivo, si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione degli artt. 1269,1264 e 1406 c.c., laddove la corte avrebbe erroneamente tratto dalla ritenuta cessione del contratto la cessione del credito maturato a favore non della Income ma della Industrial & Commercial Interprises;
– la doglianza è infondata;
– la cessione del contratto opera il trasferimento dal cedente al cessionario (con il consenso dell’altro contraente) dell’intera posizione contrattuale, con tutti i diritti e gli obblighi ad essa relativi, inclusi, pertanto, i crediti maturati dal cessionario ma non ancora soddisfatti dal cessionario o altrimenti estinti;
– l’esito sfavorevole di tutti i motivi, giustifica il rigetto del ricorso e la condanna della ricorrente alla rifusione delle spese di lite a favore della controricorrente nella misura liquidata in dispositivo;
– ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite a favore della controricorrente che liquida in Euro 5800,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, 15% per rimborso spese generali, oltre accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 28 marzo 2019.
Depositato in Cancelleria il 3 dicembre 2019
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