LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –
Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –
Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –
Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –
Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 5623-2019 proposto da:
K.B., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato MARIA BASSAN;
– ricorrente –
contro
PROCURATORE GENERALE DELLA REPUBBLICA PRESSO LA CORTE DI CASSAZIONE;
– intimato –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO ***** COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI VERONA SEZIONE DI PADOVA, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
– resistente –
avverso il decreto n. 110/18 del TRIBUNALE di VENEZIA, depositato il 28/12/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 08/10/2019 dal Consigliere Relatore Dott. DOLMETTA ALDO ANGELO.
FATTI DI CAUSA
1.- K.B., di origine gambiana, ha presentato ricorso avanti al Tribunale di Venezia avverso il provvedimento della Commissione territoriale di Verona – sezione di Padova, di diniego del riconoscimento della protezione internazionale (status di rifugiato; protezione sussidiaria), come pure della protezione umanitaria.
Con decreto depositato il 28 dicembre 2018, il Tribunale veneziano ha rigettato il ricorso.
2.- Il decreto ha rilevato, con particolare riferimento al tema del diritto di rifugio, che il racconto effettuato dal richiedente circa le ragioni dell’espatrio è apparso “inverosimile”; e che comunque, “a prescindere dalla credibilità del ricorrente, dalla narrazione dei fatti non emerge l’esistenza di alcuna persecuzione rilevante” ai sensi della normativa attualmente vigente.
Con riguardo al tema della protezione sussidiaria, poi, il decreto ha rilevato che la criticità della situazione del Gambia comunque non raggiunge (sulla base, in specie, del riscontro dato dal report Amnesty International 2015-2016) la dimensione di quantità e qualità previste dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c).
“Quanto alla domanda di protezione umanitaria” – ha osservato ancora il Tribunale – “la vicenda del ricorrente non presenta profili di vulnerabilità, nè sono state allegate circostanze alla stregua delle quali poter ritenere che il ricorrente si sia allontanato da una condizione di vulnerabilità effettiva sotto il profilo specifico della violazione o dell’impedimento all’esercizio dei diritti umani inalienabili, che non consenta l’allontanamento dal territorio nazionale”.
3.- Avverso questo provvedimento K.B. ha presentato ricorso, affidato a un motivo di cassazione.
Il Ministero non ha svolto difese nell’ambito del presente giudizio, limitandosi a comunicare (in data 13 giugno 2019) la sua costituzione fuori termini, al “fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione della causa ai sensi dell’art. 370 c.p.c., comma 1”.
RAGIONI DELLA DECISIONE
4.- Il motivo di ricorso, che è circoscritto al punto della protezione umanitaria, assume violazione “del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, e del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, anche in relazione al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 2, comma 1, lett. h bis (ovvero alla protezione speciale o in casi speciali ex L. n. 142 del 2018): a) mancata valutazione della situazione degenerata del tessuto socio-politico del Gambia, al di là dell’asserita presenza di un procedimento di “normalizzazione” in atto; b) valutazione della sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria in punto di integrazione sociale del richiedente quale elemento concorrente al profilo di vulnerabilità D.Lgs. n. 25 del 2008 ex art. 2, comma 1, lett h bis”.
5.- Il ricorso è inammissibile.
Lo stesso ha, infatti, tratto del tutto generico, condensandosi in una serie di enunciazioni relative alla ratio dell’istituto della protezione umanitaria e della relativa normativa, con indicazione di alcuni precedenti di questa Corte.
Quanto alla specifica posizione del richiedente – la cui situazione di (eventuale) vulnerabilità specifica risulta l’unico aspetto idoneo ad assumere rilevanza nel presente giudizio -, la stessa non risulta esaminata dal corpo del ricorso. In effetti, questo si limita ad allegare – con formula (oltretutto) affatto astratta – che, “se il ricorrente tornasse in patria, correrebbe un concreto rischio di essere sottoposto a trattamenti in cui non si ravviserebbe il rispetto dei più basilari diritti umani e a un conseguente pericolo per la propria vita”.
P.Q.M.
La Corte dichiara il ricorso inammissibile.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ove dovuto, pari a quello dovuto per il ricorso, secondo quanto stabilito dalla norma dell’art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta Sezione civile – 1, il 8 ottobre 2019.
Depositato in Cancelleria il 3 dicembre 2019