LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –
Dott. MANZON Enrico – rel. Consigliere –
Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –
Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –
Dott. CHIESI Gian Andrea – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 3189/2013 R.G. proposto da:
Edilcasa 2000 srl, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv. Luigi Castaldi e Patrizia Marino, con domicilio eletto in Roma, via M. Prestinari n. 15 presso lo studio di quest’ultima;
– ricorrente –
contro
Equitalia Sud spa, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv. Fabio Francesco Franco con domicilio eletto presso lo studio del medesimo in Roma, via Giovanni Pierluigi da Palestrina n. 19;
– controricorrente –
Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio n. 324/37/11 del 19 dicembre 2011, depositata il 22 dicembre 2011.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 13 giugno 2019 dal Consigliere Enrico Manzon.
RILEVATO
che:
Con sentenza n. 324/37/11 del 19 dicembre 2011, depositata il 22 dicembre 2011, la Commissione tributaria regionale del Lazio respingeva l’appello proposto da Edilcasa 2000 srl avverso la sentenza n. 334/26/10 della Commissione tributaria provinciale di Roma che ne aveva respinto il ricorso contro la cartella esattoriale emessa per per II.DD. ed IVA 2005 e parzialmente accolto il ricorso contro la cartella esattoriale emessa per per II.DD. ed IVA 2003. Mantenendo netta la distinzione tra i due ricorsi, sia nella parte narrativa che in quella motiva della sentenza e quindi esaminandone separatamente i motivi di gravame, la CTR in particolare osservava:
– in relazione al ricorso/appello inerente l’anno d’imposta 2003 (erroneamente indicato con il n. *****, mentre risulta pacifico che si tratta del n. *****) che l’entità dell’iscrizione a ruolo “lite pendente” D.P.R. n. 602 del 1973, ex art. 15, era questione nuova e come tale inammissibile in appello; che non era fondato il motivo relativo alla mancata indicazione del “responsabile del procedimento” nella cartella di pagamento impugnata; che il motivo relativo alla carenza motivazionale dell’atto riscossivo era del tutto generico e quindi non specificamente “censurante” il relativo punto decisionale della sentenza appellata;
-in relazione al ricorso/appello inerente l’anno d’imposta 2005 (erroneamente indicato con il n. *****, mentre risulta pacifico che si tratta del n. *****) che i motivi dedotti (omessa comunicazione preventiva di irregolarità, carenza motivazionale della cartella esattoriale impugnata, decadenza dell’agenzia fiscale, nullità dell’atto riscossivo per vizio della sottoscrizione) erano del tutto generici e meramente ripetitivi dei motivi di impugnazione di cui al ricorso introduttivo della lite, sicchè difettando di una specifica e puntuale critica della sentenza appellata nei punti decisionali interessati la CTR laziale ne derivava un giudizio di inammissibilità dell’appello in parte qua, senza valutare il merito delle questioni devolute e limitandosi a rilevare ulteriormente l’inammissibilità, per irrilevanza/manifesta infondatezza, della questione di costituzionalità sollevata dalla società contribuente in ordine alla sottoscrizione della cartella esattoriale impugnata.
Avverso la decisione ha proposto ricorso per cassazione la società contribuente deducendo dodici motivi.
Resistono con controricorso l’Agenzia delle entrate ed Equitalia Sud.
CONSIDERATO
che:
Tenuto conto della descritta struttura motivazionale della sentenza impugnata è necessario – pur non senza difficoltà data la tecnica redazionale, per così dire, “cumulativa” del ricorso – esaminare le censure proposte in rapporto alle due, chiaramente separate, parti della sentenza stessa e perciò distintamente valutare quelle riferibili alla cartella esattoriale per il 2003 (ricorso introduttivo della lite n. *****) e quelle riferibili alla cartella esattoriale per il 2005 (ricorso introduttivo della lite n. *****), essendo comune ad entrambe soltanto il dodicesimo motivo (v. infra).
Ciò premesso, quanto al primo oggetto processuale (cartella di pagamento per II.DD. ed IVA 2003), con il primo, il secondo ed il terzo motivo, la ricorrente si duole, rispettivamente, di vizio motivazionale, ultrapetizione, violazione delle norme sulla valutazione delle prove e di quelle processuali sulla facoltà di formulare “motivi aggiunti” nel primo grado del giudizio, poichè la CTR ha affermato la novità/inammissibilità dell’eccezione inerente l’iscrizione a ruolo in pendenza di giudizio per somma eccedente il limite dato dal D.P.R. n. 602 del 1973, art. 15.
Le censure, da esaminarsi congiuntamente per connessione, sono infondate.
Pur vero, come puntualmente precisa la società contribuente nell’esposizione dei mezzi de quibus, che tale eccezione è stata posta nello sviluppo del contraddittorio di prime cure con memoria illustrativa, è tuttavia evidente che non vi erano i presupposti processuali di tale ampliamento del thema decidendum o almeno dal ricorso non si può dedurre che vi fossero.
Va ricordato che il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 24, comma 2, consente la proposizione di “motivi aggiunti” (solo) nel primo grado del processo avanti alle Commissioni tributarie alla, stretta, condizione che essa sia “resa necessaria dal deposito di documenti non conosciuti ad opera delle altre parti..” ed altresi che è pacifico in giurisprudenza che “Nel giudizio tributario è inammissibile la deduzione, nella memoria del D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 32, di un nuovo motivo di illegittimità dell’avviso di accertamento.. in quanto il contenzioso tributario ha un oggetto rigidamente delimitato dai motivi di impugnazione avverso l’atto impositivo dedotti col ricorso introduttivo, i quali costituiscono la “causa petendi” entro i cui confini si chiede l’annullamento dell’atto e la cui formulazione soggiace alla preclusione stabilita dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 24, comma 2,” (Cass. n. 19616 del 24/07/2018, Rv. 649827 – 01).
Orbene, per un verso la ricorrente non chiarisce in alcun modo se questo “motivo aggiunto” sia dipeso, come necessario, da una produzione documentale delle controparti, per altro verso risulta invece chiaro che lo stesso è stato proposto con la memoria illustrativa di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 32, e non è dato sapere se ciò sia comunque avvenuto nel termine perentorio di cui allo cit. decreto, art. 24, comma 2.
Queste dunque sono le, plurime, ragioni di inammissibilità del “motivo aggiunto” (e di appello) in esame ed in questo senso va pertanto intesa la statuizione di inammissibilità del motivo di appello de quo ovvero in ogni caso, ex art. 384 c.p.c., ne va corretta la motivazione in diritto della sentenza impugnata.
Ovvia conseguenza della rilevata inammissibilità dell’eccezione in esame è l’assorbimento del decimo e dell’undicesimo motivo, denuncianti omessa pronuncia e violazione di legge in relazione all’eccezione medesima.
Con il quinto ed il sesto motivo – ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 5-4, – la ricorrente denuncia la sentenza impugnata rispettivamente per vizio motivazionale ed omessa pronuncia, poichè la CTR si è limitata a rilevare che il responsabile del procedimento era stato indicato nella cartella esattoriale impugnata e non ha motivato/non si è pronunciata sull’ulteriore profilo dell’eccezione formulata nei gradi di merito anche e soprattutto con riguardo alla mancata sottoscrizione della cartella medesima.
Le censure, da esaminarsi congiuntamente per connessione, sono la prima inammissibile e la seconda infondata.
Va in primo luogo premesso che i mezzi sono tra loro alternativi, secondo il principio che “La differenza fra l’omessa pronuncia ai sensi dell’art. 112 c.p.c., e l’omessa motivazione su un punto decisivo della controversia di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, consiste nel fatto che, nel primo caso, l’omesso esame concerne direttamente una domanda od un’eccezione introdotta in causa, autonomamente apprezzabile, ritualmente ed inequivocabilmente formulata, mentre nel secondo, l’omessa trattazione riguarda una circostanza di fatto che, ove valutata, avrebbe comportato una diversa decisione” (Cass. n. 25714 del 04/12/2014, Rv. 633682 – 01).
Nel caso di specie deve ritenersi che non di vizio motivazionale si tratti, bensì, astrattamente, di un’omessa pronuncia, posto che sull’eccezione de qua la CTR laziale ha statuito solo parzialmente ossia in relazione all’indicazione del “responsabile del procedimento” e non sulla questione collegata della mancanza/invalidità della sua sottoscrizione della cartella di pagamento impugnata.
Di qui l’inammissibilità del quinto motivo del ricorso.
Ciò precisato e quindi correttamente inquadrata la censura secondo la prospettazione data nel sesto motivo del ricorso, la medesima risulta comunque infondata.
Fermo l’accertamento in fatto del giudice tributario di appello, pacificamente non revisionabile in questa sede, della sussistenza del requisito dell’indicazione del “responsabile del procedimento”, pur evidente che non vi è stata pronuncia esplicita sulla, ulteriore, questione posta con l’eccezione (motivo di appello) in esame della validità della sottoscrizione da parte dello stesso della cartella esattoriale impugnata, vi è ragione di ritenere che lo stesso giudice tributario di appello abbia inteso implicitamente rigettarla (tra le molte, cfr. Cass. n. 29191 del 06/12/2017, Rv. 646290 – 01).
Ed in ogni caso, va dato seguito al consolidato indirizzo che “Alla luce dei principi di economia processuale e della ragionevole durata del processo come costituzionalizzato nell’art. 111 Cost., comma 2, nonchè di una lettura costituzionalmente orientata dell’attuale art. 384 c.p.c., ispirata a tali principi, una volta verificata l’omessa pronuncia su un motivo di appello, la Corte di cassazione può omettere la cassazione con rinvio della sentenza impugnata e decidere la causa nel merito allorquando la questione di diritto posta con il suddetto motivo risulti infondata, di modo che la pronuncia da rendere viene a confermare il dispositivo della sentenza di appello (determinando l’inutilità di un ritorno della causa in fase di merito), sempre che si tratti di questione che non richiede ulteriori accertamenti di fatto” (Cass. n. 2313 del 01/02/2010; ex p/uribus conf. Cass. n. 16171 del 28/06/2017; Cass. n. 9693 del 19/04/2018).
Infatti non è altresì dubbio che debba essere ribadito che “In tema di riscossione delle imposte sul reddito, l’omessa sottoscrizione della cartella di pagamento da parte del funzionario competente non comporta l’invalidità dell’atto, la cui esistenza non dipende tanto dall’apposizione del sigillo o del timbro o di una sottoscrizione leggibile, quanto dal fatto che tale elemento sia inequivocabilmente riferibile all’organo amministrativo titolare del potere di emetterlo, tanto più che, a norma del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 25, la cartella, quale documento per la riscossione degli importi contenuti nei ruoli, deve essere predisposta secondo il modello approvato con decreto del Ministero competente, che non prevede la sottoscrizione dell’esattore, ma solo la sua intestazione e l’indicazione della causale, tramite apposito numero di codice” (Sez. 5, Sentenza n. 25773 del 05/12/2014, Rv. 633901 – 01).
Con ciò deve affermarsi l’infondatezza dell’eccezione anche nel diverso profilo de quo.
Quanto alla meramente profilata questione di legittimità costituzionale, la stessa appare manifestamente infondata, vertendosi in una chiara ipotesi di esercizio ragionevole della discrezionalità legislativa.
Fatte le considerazioni che precedono in ordine ai motivi che pertengono le, specifiche, rationes decidendi della sentenza impugnata riguardanti, lo si ripete, separatamente la cartella esattoriale per crediti fiscali dell’anno 2003 (ricorso introduttivo della lite n. *****), bisogna passare all’esame dell’ulteriore ratio decidendi inerente tale parte dell’oggetto processuale (secondo motivo dell’appello) ed a quella basante l’altra parte dell’oggetto processuale nonchè della sentenza impugnata che concerne la cartella esattoriale per crediti fiscali del 2005 (ricorso introduttivo della lite n. *****).
Tali punti decisionali sono infatti evidentemente accomunati dal rilievo, più o meno articolato, ma nella sostanza identico, dell’inammissibilità dell’appello (parziale in relazione alla annualità 2003, integrale in relazione all’annualità 2005) per “a-specificità” dei motivi.
In ordine a queste, distinte ed autonome, ma collegate rationes decidendi risulta pregiudiziale ed in qualche misura (v. infra) assorbente il dodicesimo motivo di ricorso, con il quale, non senza una certa complessità/involuzione espositiva ed al di là dell’approssimativa indicazione delle norme di legge violate, comunque in modo sufficientemente chiaro sono appunto censurate dette statuizioni del giudice tributario di appello.
Ciò preliminarmente chiarito, il mezzo è fondato.
Va infatti ribadito che “Nel processo tributario la sanzione di inammissibilità dell’appello per difetto di specificità dei motivi, prevista dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, comma 1, deve essere interpretata restrittivamente, in conformità all’art. 14 preleggi, trattandosi di disposizione eccezionale che limita l’accesso alla giustizia, dovendosi consentire, ogni qual volta nell’atto sia comunque espressa la volontà di contestare la decisione di primo grado, l’effettività del sindacato sul merito dell’impugnazione” (Cass. n. 707 del 15/01/2019, Rv. 652186 01) e che “In tema di contenzioso tributario, la riproposizione, a supporto dell’appello proposto dal contribuente, delle ragioni di impugnazione del provvedimento impositivo in contrapposizione alle argomentazioni adottate dal giudice di primo grado assolve l’onere di impugnazione specifica imposto dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, atteso il carattere devolutivo pieno, nel processo tributario, dell’appello, mezzo quest’ultimo non limitato al controllo di vizi specifici, ma rivolto ad ottenere il riesame della causa nel merito” (Cass. n. 1200 del 22/01/2016, Rv. 638624 – 01; v. anche nello stesso Cass. n. 7369 del 22/03/2017, Rv. 643485 – 01, n. 14908 del 01/07/2014, Rv. 631559; n. 3064 del 29/02/2012, Rv. 621983 – 01).
La sentenza impugnata collide all’evidenza con i principi di diritto espressi in tali arresti giurisprudenziali sia nella parte in cui sostanzialmente rileva e sancisce l’inammissibilità per a-specificità del secondo motivo dell’appello relativo alla cartella di pagamento per l’anno 2003 sia nella parte in cui, espressamente e più diffusamente, afferma l’inammissibilità di tutti i motivi dell’appello relativo alla cartella di pagamento per l’anno 2005, rispetto ai quali, peraltro coerentemente, non vi è alcuna pronuncia che ne consideri il merito.
Dall’accoglimento pregiudiziale del dodicesimo motivo deriva l’assorbimento del quarto, del settimo, dell’ottavo e del nono motivo del ricorso (rispettivamente denuncianti vizi motivazionali ed omesse pronunce in ordine alla motivazione delle cartelle esattoriali impugnate, alla contraddittorietà ed alla validità della procedura notificatoria delle medesime).
In conclusione, la sentenza impugnata va dunque cassata in relazione al dodicesimo motivo con rinvio al giudice a quo per nuovo esame, assorbiti il quarto, settimo, ottavo, nono, decimo ed undicesimo motivo e rigettati il primo, secondo, terzo, quinto, sesto motivo.
P.Q.M.
La Corte accoglie il dodicesimo motivo di ricorso, dichiara assorbiti il quarto, settimo, ottavo, nono, decimo ed undicesimo motivo, rigetta il primo, secondo, terzo, quinto, sesto motivo, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale del Lazio, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio.
Così deciso in Roma, il 13 giugno 2019.
Depositato in Cancelleria il 4 dicembre 2019