LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –
Dott. MARULLI Marco – Consigliere –
Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere –
Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –
Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 18017/2018 proposto da:
D.E., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato Ennio Cerio del Foro di Campobasso, giusta procura speciale in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, *****, elettivamente domiciliato in Roma Via Dei Portoghesi 12 presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso il decreto del TRIBUNALE di CAMPOBASSO, depositata il 10/05/2018;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 20/09/2019 da Dott. IOFRIDA GIULIA.
FATTI DI CAUSA
Il Tribunale di Campobasso, con decreto n. 965/2018, depositato in data 10/05/2018, ha respinto la richiesta di D.E., cittadino *****, a seguito di diniego da parte della competente Commissione territoriale, di riconoscimento dello status di rifugiato, nonchè della protezione sussidiaria e per ragioni umanitarie.
In particolare, i giudici del Tribunale hanno rilevato che: la vicenda personale narrata dal medesimo (essere stato costretto a lasciare il Paese d’origine, per sfuggire agli affiliati del Niger Delta Avengers, che gli avevano ucciso un figlio e lo avevano sequestrato) non era credibile, presentando lacune ed incongruenze; quanto alla richiesta di protezione sussidiaria, il Paese non risultava interessato da situazione di violenza indiscriminata o generalizzata (come emergeva dai Report internazionali); non ricorrevano le condizioni per la concessione del permesso per ragioni umanitarie, non emergendo ragioni di particolare vulnerabilità dello straniero.
Avverso il suddetto decreto, D.E. propone ricorso per cassazione, affidato ad un motivo, nei confronti del Ministero dell’Interno (che resiste con controricorso).
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il ricorrente lamenta, con unico motivo, la violazione e/o falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, essendo mancata, mediante la consultazione di fonti autorevoli, la valutazione, ai fini della protezione sussidiaria, della situazione del Paese d’origine del richiedente, essendosi il Tribunale limitato a riportare informazioni del tutto generiche sulla condizione generale della Nigeria, nonchè avendo il Tribunale escluso in maniera apodittica il riconoscimento della protezione umanitaria.
2. Il ricorso è inammissibile.
In riferimento al diniego di protezione sussidiaria, se è vero che nella materia in oggetto il giudice abbia il dovere di cooperare nell’accertamento dei fatti rilevanti, compiendo un’attività istruttoria ufficiosa, essendo necessario temperare l’asimmetria derivante dalla posizione delle parti (Cass. 13 dicembre 2016, n. 25534), deve tuttavia rilevarsi che il Tribunale ha attivato il potere di indagine nel senso indicato.
Inoltre, come già rilevato da questa Corte (Cass. 19197/2015; conf. Cass. 7385/2017; Cass. 30679/2017), “il ricorso al tribunale costituisce atto introdutttvo di un giudizio civile, retto dal principio dispositivo: principio che, se nella materia della protezione internazionale viene derogato dalle speciali regole di cui al cit. D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 e al D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 8, che prevedono particolari poteri-doveri istruttori (anche) del giudice, non trova però alcuna deroga quanto alla necessità che la domanda su cui il giudice deve pronunciarsi corrisponda a quella individuabile in base alle allegazioni dell’attore”, cosicchè “i fatti costitutivi del diritto alla protezione internazionale devono necessariamente essere indicati dal richiedente, pena l’impossibilità per il giudice di introdurli in giudizio d’ufficio, secondo la regola generale”. Si è poi ulteriormente precisato (Cass. 27503/2018) che “in tema di protezione internazionale, l’attenuazione dell’onere probatorio a carico del richiedente non esclude l’onere di compiere ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. a), essendo possibile solo in tal caso considerare “veritieri” i fatti narrati” (conf. Cass. 29358/2018).
In sostanza, l’attenuazione del principio dispositivo, in cui la cooperazione istruttoria consiste, si colloca non sul versante dell’allegazione, ma esclusivamente su quello della prova, dovendo, anzi, l’allegazione essere adeguatamente circostanziata, cosicchè solo quando colui che richieda il riconoscimento della protezione internazionale abbia adempiuto all’onere di allegare i fatti costitutivi del suo diritto, sorge il potere-dovere del giudice di accertare anche d’ufficio se, ed in quali limiti, nel Paese straniero di origine dell’istante si registrino i fenomeni tali da giustificare l’accoglimento della domanda (Cass. 17069/2018).
Da ultimo (Cass. 32064/2018) questa Corte ha precisato che “ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, a norma del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), la nozione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale, va rappresentata dal ricorrente come minaccia grave e individuale alla sua vita, sia pure in rapporto alla situazione generale del paese di origine, ed il relativo accertamento costituisce apprezzamento di fatto di esclusiva competenza del giudice di merito non censurabile in sede di legittimità”.
Ora, la censura attinente alla mancata attivazione dei poteri officiosi del giudice investito della domanda di protezione risulta essere assolutamente generica, in relazione al decisum (avendo il Tribunale attivato i poteri di acquisizione officiosa delle informative), e, per conseguenza, priva di decisività: non solo il ricorrente manca di indicare quali siano le informazioni e le fonti ufficiali delle stesse che, in concreto, avrebbero potuto determinare l’accoglimento del proprio ricorso, ma fa riferimento, sempre generico, alla necessità di acquisire informazioni sulla situazione in Nigeria e nel Delta State in particolare, asseritamente caratterizzata da aspri e violenti conflitti aspri con il governo.
Nel motivo in esame, a fronte del giudizio, espresso nel provvedimento impugnato, di inattendibiità delle dichiarazioni rese dal richiedente ed, in ogni caso, dell’esclusione del pericolo per il richiedente di un danno grave o individuale alla vita o alla persona derivante dal contesto di violenza indiscriminata nell’area di provenienza, essendo l’attività criminale in atto rivolta contro le imprese straniere e non già contro i residenti, non si fa neppure un richiamo a specifiche fonti informative contrarie, limitandosi il ricorrente a considerazioni critiche del tutto generiche ed astratte.
La doglianza è altresì inammissibile perchè mira a sostituire le proprie valutazioni con quella, svolta, sulla base di informazioni tratte da fonti attuali, insindacabilmente (al di fuori dei limiti dell’attuale formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5).
La censura poi, riguardo alla protezione umanitaria, è del tutto generica, e perciò inammissibile, limitandosi a considerazioni di ordine generale sul tema della tutela umanitaria, le quali nulla hanno a che vedere con la specifica situazione individuale.
3. Per tutto quanto sopra esposto, va dichiarato inammissibile il ricorso.
Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza. Essendo stata la parte ricorrente ammessa al patrocinio a spese dello Stato non si applica il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente al rimborso delle spese processuali del presente giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 2.200,00, a titolo di compensi, oltre spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 20 settembre 2019.
Depositato in Cancelleria il 9 dicembre 2019