Corte di Cassazione, sez. V Civile, Sentenza n.32191 del 10/12/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE MASI Oronzo – Presidente –

Dott. PAOLITTO Liberato – Consigliere –

Dott. CROLLA Cosmo – Consigliere –

Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –

Dott. PEPE Stefano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 1673/2017 proposto da:

G.G. e C.G., elettivamente domiciliati in Roma, Via Porta Pinciana n. 4, presso lo studio dell’avvocato Mario Santaroni, rappresentati e difesi dall’avvocato Giuseppe Di Meglio, giusta procura a margine al ricorso;

– ricorrenti –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE (C.F.: *****), in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato (C.F.: *****), presso i cui uffici in Roma, Via dei Portoghesi 12, è domiciliata;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4842/45/16 della Commissione tributaria Regionale di Napoli, depositata il 23/5/2016;

udita la relazione della causa svolta nella adunanza pubblica del 7/10/2019 dal Consigliere Dott. Stefano Pepe;

udite le conclusioni scritte rassegnate dal Procuratore Generale della Repubblica Dott. Giovanni Giacalone, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udite le conclusioni rassegnate dall’Avv. Massimo Bachetti per la resistente.

RITENUTO IN FATTO

1. I ricorrenti, comproprietari di un immobile sito nel Comune di Barano d’Ischia (NA), il 7.12.2010 presentavano dichiarazione di variazione del classamento catastale (DOCFA).

2. Con avviso di accertamento n. ***** notificato il 10.9.2012, l’Agenzia del territorio di Napoli rettificava la categoria proposta da D/1 (opificio) a D/8 (centro commerciale) e la relativa rendita catastale da Euro 2.244,00 a Euro 3.731,00.

3. I contribuenti impugnavano il predetto avviso sul presupposto che il suindicato classamento era avvenuto in assenza di adeguata motivazione.

4. La CTR Campania, in riforma della sentenza di primo grado, con sentenza n. 4842/45/16, accoglieva il gravame proposto dall’Agenzia del territorio di Napoli ritendo che l’avviso impugnato era sufficientemente motivato.

5. Nei confronti della suddetta pronuncia G.G. e C.G. propongono ricorso per cassazione sulla base di un unico articolato motivo.

6. L’Agenzia dell’entrate ha depositato controricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I ricorrenti censurano, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5, la sentenza impugnata in quanto affetta dal vizio di nullità per non aver il giudice del merito dato conto dell’iter logico argomentativo posto a fondamento della pronuncia che, peraltro, risulta omessa in ordine alle formali eccezioni formulate dai ricorrenti.

In particolare, i ricorrenti lamentano che la CTR ha ritenuto legittimo l’atto di accertamento oggetto di impugnazione nonostante l’eccepito difetto di motivazione dello stesso e, dunque, dell’indicazione del criterio seguito per la diversa classificazione dell’immobile in violazione, tra gli altri, della L. n. 212 del 2000, art. 7 e della L. n. 241 del 1990, art. 3, stante anche la mancata allegazione degli atti sulla cui base la suddetta classificazione si fondava.

2. Il motivo non è fondato.

Con riferimento all’attribuzione della rendita catastale mediante la procedura disciplinata dal D.L. 23 gennaio 1993, n. 16, art. 2, convertito, con modificazioni, in L. 24 marzo 1993, n. 75, e dal D.M. 19 aprile 1994, n. 701 (cosiddetta procedura DOCFA), questa Corte (Cass. n. 3394 del 2014) ha, condivisibilmente, ritenuto che, in ipotesi di classamento di un fabbricato mediante la indicata procedura, l’atto con il quale l’amministrazione disattende le indicazioni date dal contribuente deve contenere un’adeguata – ancorchè sommaria – motivazione che delimiti l’oggetto della successiva ed eventuale controversia giudiziaria, affermando, appunto, che l’Ufficio “non può limitarsi a comunicare il classamento che ritiene adeguato, ma deve anche fornire un qualche elemento che spieghi perchè la proposta avanzata dal contribuente con la Dofca viene disattesa”.

Tale principio contrasta, solo in apparenza, con la giurisprudenza (Cass. n. 2268 del 2014) secondo cui in tali ipotesi l’obbligo di motivazione è soddisfatto mediante la mera indicazione nell’atto di rettifica dei dati oggettivi e della classe attribuiti dall’Agenzia, trattandosi di elementi conosciuti o comunque facilmente conoscibili per il contribuente e tenuto conto della struttura fortemente partecipativa dell’atto.

Ed invero, questa Corte ha precisato che l’obbligo di motivazione dell’avviso di classamento è soddisfatto con la mera indicazione dei dati oggettivi e della classe attribuita solo se gli elementi di fatto indicati dal contribuente non siano stati disattesi dall’Ufficio e l’eventuale discrasia tra rendita proposta e rendita attribuita derivi da una valutazione tecnica sul valore economico dei beni classati, mentre, in caso contrario, la motivazione dovrà essere più approfondita e specificare le differenze riscontrate sia per consentire il pieno esercizio del diritto di difesa del contribuente sia per delimitare l’oggetto dell’eventuale contenzioso (Cass. n. 31809 del 2018, n. 23237 del 2014, n. 21532 del 2013). Nel primo caso, infatti, gli elementi di fatto indicati nella dichiarazione presentata dal contribuente non disattesi dall’Ufficio risultano immutati, di tal che la discrasia tra la rendita proposta e la rendita attribuita si riduce ad una valutazione tecnica sul valore economico dei beni classati. In simili ipotesi risulta evidente che la presenza e la adeguatezza della motivazione rilevino, non già ai fini della legittimità dell’atto, ma della concreta attendibilità del giudizio espresso. Diversamente, laddove la rendita proposta con la Dofca non venga accettata in ragione di ravvisate differenze relative a taluno degli elementi di fatto indicati dal contribuente, l’Ufficio dovrà, appunto, specificarle per i motivi sopra indicati.

3. Nel caso in esame la commissione tributaria regionale ha fatto corretta applicazione di tali principi, laddove, dopo aver precisato che l’obbligo della motivazione del provvedimento di classificazione di un immobile “deve ritenersi osservato anche mediante la semplice indicazione della consistenza, della categoria e della classe acclarati dall’ufficio tecnico erariale (UTE)”, ha, poi, precisato che l’Ufficio ha “reso conto ampiamente, nell’avviso di accertamento, della procedura eseguita per la rettifica della classificazione catastale dell’immobile, rispetto a quella proposta dai contribuenti nell’ambito della procedura DOCFA: ha determinato il valore venale, anche mediante comparazione con valori commerciali di immobili siti nello stesso Comune e con caratteristiche analoghe, ed ha esplicato tutti i criteri ed i conteggi eseguiti per pervenire alla nuova rendita catastale”. A fronte di ciò, la CTR dà conto del fatto che i contribuenti non hanno apportato elementi tecnici utili a contrastare i risultati ottenuti dall’Ufficio.

La sentenza in esame, dunque, diversamente da quanto sostenuto dai ricorrenti, illustra l’iter logico argomentativo che ha portato all’accoglimento del gravame proposto dall’Agenzia dell’Entrate, evidenziando che il nuovo classamento non si fondava su elementi di fatto diversi da quelli indicati dai contribuenti, ma su una differente valutazione compiuta dall’Ufficio sul valore economico del bene, di talchè l’onere motivazionale, anche in ragione della procedura partecipata in esame (DOCFA), poteva dirsi pienamente adempiuto con l’attribuzione della categoria diversa da quella indicata dai ricorrenti fondata proprio sulla indicata valutazione tecnica.

4. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

Sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1- quater, della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

PQM

La Corte Rigetta il ricorso.

Condanna i ricorrenti G.G. e C.G., in solido tra loro, al pagamento in favore dell’Agenzia dell’Entrate delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 2.600,00 oltre spese prenotate a debito ed accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 7 ottobre 2019.

Depositato in cancelleria il 10 dicembre 2019

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