LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –
Dott. LOCATELLI Giuseppe – Consigliere –
Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – Consigliere –
Dott. D’ORAZIO Luigi – rel. Consigliere –
Dott. FRACANZANI Marcello – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 169/2015 R.G. proposto da:
Prisma Engineering s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, fusa per incorporazione nella Rinnovamento 2015 s.r.l., rappresentata e difesa dall’Avv. Giancarlo Zoppini, dall’Avv. Giuseppe Pizzonia e dall’Avv. Giuseppe Russo Corvace, elettivamente domiciliata presso il loro studio in Roma, Via della Scrofa n. 57, giusta procura speciale a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro-tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, via dei Portoghesi n. 12 è domiciliata;
– controricorrente-
avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Lazio, n. 3120/14/2014 depositata il 14 maggio 2014.
Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 23 ottobre 2019 dal Consigliere Luigi D’Orazio;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott.ssa Immacolata Zeno, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso udito l’Avv. Laura Trimarchi, su delega dell’Avv. Giuseppe Pizzonia, per la società ricorrente e l’Avv. Salvatore Foraci per l’Avvocatura Generale dello Stato.
FATTI DI CAUSA
1.L’Agenzia delle entrate emetteva avviso di accertamento nei confronti della Prisma Engineering s.r.l., per l’anno 2006, avendo la stessa presentato tardivamente la dichiarazione dei redditi ed ai fini Iva per tale anno (modello Unico 2007), solo il 20-1-2009, quando, nelle more di una verifica fiscale, era tornata in possesso dei propri documenti contabili dopo il sequestro penale del 3-5-2007, accertando maggiori imposte per Euro 304.107,87, a titolo di Ires, Irap ed Iva, oltre sanzioni ed interessi, per un totale di Euro 580.741,84. In particolare, l’Agenzia utilizzava il procedimento induttivo, che si fondava su un contratto di locazione di un immobile, con provento netto pari ad Euro 21.412,00, e sulla cessione dello stesso immobile in data 27-1-2006, con una plusvalenza di Euro 406.833,00. Venivano disconosciuti, però, i costi per la produzione pari ad Euro 203.393,00 e gli oneri finanziari per Euro 226.530,00, distinti in interessi passivi su mutuo, interessi su depositi cauzionali, interessi passivi su c/c bancario ed altro.
2.Con il ricorso la contribuente deduceva la mancata deduzione dei costi sostenuti, l’omesso conteggio delle perdite pregresse in diminuzione e la mancata detrazione dell’Iva assolta in via di rivalsa dalla società nel corso del 2006, oltre alla non applicabilità delle sanzioni.
3.La Commissione tributaria regionale del Lazio rigettava l’appello proposto dalla società avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Roma, che aveva rigettato il ricorso della contribuente contro l’avviso di accertamento, rilevando che la società non aveva fornito la prova della inerenza e sussistenza dei costi, della esistenza delle perdite pregresse e dell’ammontare dell’Iva da detrarre. Il giudice di appello escludeva la deducibilità dei costi in quanto i fatti segnalati dall’Ufficio (acquisto dell’immobile per una somma superiore al mutuo di Euro 4.500.000,00 – prezzo di Euro 14.500.000, a fronte del mutuo di Euro 10.000.000,00 -, contratto di mutuo stipulato da società terza, mancata produzione del preliminare di vendita e del contratto di derivati) deponevano per l’iscrizione in bilancio di dati inattendibili, non riconosceva le perdite pregresse, non dimostrate, nè la detrazione dell’Iva assolta in via di rivalsa, non essendo sufficiente la produzione della fattura, in assenza della prova del versamento e del conseguente diritto alla detrazione. 4.Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione la società.
5.Resiste con controricorso l’Agenzia delle entrate.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.Anzitutto, si rileva la tardività della produzione, avvenuta in udienza, da parte della ricorrente dell’atto di fusione mediante incorporazione. Tale documento è, peraltro, irrilevante ai fini del decidere.
Va, infatti, rigettata l’eccezione preliminare sollevata dalla Agenzia delle entrate con il controricorso, di difetto di legittimazione attiva della Prisma Engineering s.r.l., in quanto il ricorso per cassazione è stato spedito per la notifica il 19-12-2014, ma la società, in data 20-11-2014, ha deliberato la fusione per incorporazione nella Rinnovamento 2015 s.r.l., che è subentrata in tutti i suoi rapporti attivi e passivi, anche processuali, con acquisizione della legittimazione attiva, in luogo delle incorporata, anche se la Prisma è stata cancellata dal registro delle imprese solo in data 31-12-2014 (quindi dopo la notifica del ricorso per cassazione), su domanda presentata il 29-12-2014.
Invero, l’art. 2504 bis c.c. (effetti della fusione), nella nuova formulazione, dopo la riforma di cui al D.Lgs. n. 6 del 2003, in vigore dal 1 gennaio 2004, “la società che risulta dalla fusione o quella incorporante assumono i diritti e gli obblighi delle società partecipanti alla fusione, proseguendo in tutti i loro rapporti, anche processuali, anteriori alla fusione”.
Per questa Corte a sezioni unite (Cass., sez.un., 17 settembre 2010, n. 19698), che si è occupata, con riferimento alle conseguenze processuali (interruzione o meno dei processi ai sensi dell’art. 110 c.p.c., quindi come successione mortis causa) delle fusioni verificatesi prima dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 3 del 2003, norma ritenuta innovativa e non retroattiva, la fusione non determina, comunque, l’interruzione del giudizio (Cass., sez.un., 8 febbraio 2006, n. 2637). Infatti, si è affermato che l’art. 2504-bis c.c., introdotto dalla riforma del diritto societario (D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6) ha natura innovativa e non interpretativa e, pertanto, il principio, da esso desumibile, per cui la fusione tra società si risolve in una vicenda meramente evolutivo-modificativa dello stesso soggetto giuridico, che conserva la propria identità, pur in un nuovo assetto organizzativo, non vale per le fusioni (per unione od incorporazione) anteriori all’entrata in vigore della nuova disciplina (1 gennaio 2004), le quali tuttavia pur dando luogo ad un fenomeno successorio, si diversificano dalla successione “mortis causa” perchè la modificazione dell’organizzazione societaria dipende esclusivamente dalla volontà delle società partecipanti, con la conseguenza che quella che viene meno non è pregiudicata dalla continuazione di un processo del quale era perfettamente a conoscenza, così come nessun pregiudizio subisce la incorporante (o risultante dalla fusione), che può intervenire nel processo ed impugnare la decisione sfavorevole. Ad esse, di conseguenza non si applica la disciplina dell’interruzione di cui agli artt. 299 c.p.c. e ss..
La giurisprudenza di legittimità si è pronunciata, con riferimento al nuovo art. 2501 bis c.c., in vigore a partire dal 1 gennaio 2004 (per le fusioni realizzate a partire da quella data), nel senso della prosecuzione dei ‘rapporti processuali sia da parte della incorporata sia da parte della incorporante, tranne l’ipotesi di intervenuta successiva cancellazione, e conseguente estinzione, della società incorporata, in tal caso residuando esclusivamente la legittimazione attiva e passiva nei rapporti processuali della sola incorporante.
Invero, per questa Corte, in caso di fusione per incorporazione, ai sensi degli artt. 2501 e segg. c.c., come modificati dal D.Lgs. n. 6 del 2003, la società incorporata, in quanto coinvolta in una vicenda evolutiva-modificativa, con mutamento solo formale dell’organizzazione societaria già esistente, non si estingue e, sopravvivendo in tutti i suoi rapporti, anche processuali, resta legittimata all’impugnazione dei provvedimenti giurisdizionali di cui è parte (Cass., sez.L, 16 settembre 2016, n. 18188).
In alcune pronunce, poi, si è affermato che, nonostante l’intervenuta cancellazione dal registro delle imprese, dopo la fusione, l’incorporata conserva la legittimazione attiva e passiva nella prosecuzione dei rapporti processuali.
Pertanto, si è affermato che, in tema di fusione per incorporazione, l’art. 2504 bis c.c. (nel testo modificato dal D.Lgs. n. 6 del 2003), nel prevedere la prosecuzione dei rapporti giuridici, anche processuali, in capo al soggetto unificato, quale centro unitario di imputazione di tutti i rapporti preesistenti, risolve la fusione in una vicenda non estintiva ma evolutivo-modificativa che comporta un mutamento formale di un’organizzazione societaria già esistente ma non la creazione di un nuovo ente distinto dal vecchio, sicchè è ammissibile l’appello proposto nei confronti della società incorporata, la quale, nonostante la cancellazione dal registro delle imprese, sopravvive in tutti i suoi rapporti, anche processuali, alla vicenda modificativa nella società incorporante (Cass., sez. 5, 12 febbraio 2019, n. 4042; Cass., sez. 5, 18 novembre 2014, n. 24498).
Altra parte della giurisprudenza di legittimità, invece, ritiene che la legittimazione attiva e passiva sia in via esclusiva della società incorportante, anche se non v’è stata cancellazione della incorporata. Pertanto, si è affermato che, in ipotesi di fusione per incorporazione ex art. 2504 bis c.c. (nel testo risultante dalle modifiche apportate dal D.Lgs. n. 6 del 2003), intervenuta in corso di causa, la legittimazione attiva e passiva all’impugnazione spetta alla sola società incorporante cui sono stati trasferiti i diritti e gli obblighi della società incorporata e che prosegue in tutti i rapporti, anche processuali, anteriori alla fusione facenti capo alla società incorporata, salva la possibilità della controparte di notificare l’atto di impugnazione anche nei confronti di quest’ultima, nel caso in cui, nonostante l’iscrizione nel registro delle imprese, non sia stata resa edotta della intervenuta fusione (Cass., sez. 5, 24 maggio 2019, n. 14177). Per quest’ultima pronuncia la finalità dell’art. 2501 bis c.c., è quella di valorizzare, nel caso di fusione per incorporazione, la continuità giuridica dell’attività del soggetto incorporato nel soggetto incorporante, “ma non certo quella di procrastinare a tempo indeterminato l’esistenza della società incorporata…fino alla cessazione dei rapporti che la riguardano”, non essendo prevista una “prorogatio sine die dei suoi organi rappresentativi”.
Va condiviso il primo orientamento, nel senso che l’art. 2501 bis c.c., plasma una ipotesi di vicenda meramente modificativa-evolutiva della medesima compagine societaria, con conservazione della proprie identità, garantendo la prosecuzione dei rapporti anche processuali, con legittimazione attiva e passiva della società incorporante o della nuova società, ma lasciando immutata analoga legittimazione attiva e passiva della società incorporata, non verificandosi una successione mortis causa, ed essendo impedita la interruzione del processo. Solo nell’ipotesi in cui la società incorporata sia cancellata dal registro delle imprese, con conseguente sua estinzione, viene meno anche la legittimazione processuale.
In tal senso si è pronunciata questa Corte, che ha ritenuto che, pur inserendo la fusione in un vicenda modificativa-evolutiva dello stesso soggetto, ove, però, la società incorporata abbia ottenuto, in epoca successiva all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 6 del 2003, art. 4, la cancellazione dal registro delle imprese, si determina, attesa l’efficacia costitutiva del suddetto provvedimento di cancellazione, l’immediata estinzione della società stessa, che non può più mantenere la propria individualità, nè può far valere la persistenza di una propria autonoma legittimazione attiva (Cass., sez. L, 15 febbraio 2013, n. 3820). Pertanto si è ritenuto che, correttamente, il giudice d’appello aveva dichiarato inammissibile l’impugnazione proposta direttamente dalla società incorporata in epoca successiva all’avvenuta cancellazione dal registro delle imprese. In questo caso “la società incorporata prima ha ottenuto la cancellazione dal registro delle imprese e poi ha proposto appello, così venendo contra factum proprium”.
Per tali ragioni è irrilevante l’atto di fusione prodotto dalla società ricorrente, che, al momento della spedizione del ricorso per cassazione in data 19-122014 era ancora iscritta nel registro delle imprese, essendo intervenuta la cancellazione successivamente il 31-12-2014.
1.1.Con il primo motivo di impugnazione la società deduce “nullità della sentenza impugnata nella parte in cui non è stata riconosciuta l’incidenza dei costi nella determinazione degli imponibili Ires e Irap. La sentenza è in parte qua viziata, per difetto di motivazione, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 1, comma 2, e art. 36, comma 2, n. 4, dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 e dell’art. 118 disp. att. c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4", in quanto il giudice di appello si è limitato ad affermare l’esistenza di circostanze fattuali, tali da determinare la non attendibilità dei risultati di bilancio, senza illustrare la decisività delle stesse. Al contrario la società appellante aveva indicato nel gravame gli elementi di prova della certezza ed inerenza di tutti i costi da dedurre. La circostanza che il mutuo risulta contratto dalla banca ed una società terza (Centro Storico Real Estate s.r.l.) si deve ad un mero lapsus calami del notaio. Del tutto inutile è poi la lettera di postergazione del finanziamento del socio. Il contratto preliminare era stato risolto.
1.2.Tale motivo è infondato.
Invero, si rileva che per l’anno 2006 la dichiarazione dei redditi è stata presentata solo nel 2009, sicchè deve considerarsi come omessa ai sensi del D.P.R. n. 322 del 1998, art. 2 comma 7. Infatti, tale norma prevede che sono considerate valide le dichiarazioni presentate entro 90 giorni dalla scadenza del termine, salva restando l’applicazione delle sanzioni amministrative per il ritardo. Le dichiarazioni presentate con ritardo superiore a 90 giorni si considerano omesse, ma costituiscono, comunque, titolo per la riscossione delle imposte dovute in base agli imponibili in esse indicati e delle ritenute indicate dai sostituti d’imposta”.
L’Agenzia delle entrate ha, quindi, proceduto all’accertamento del reddito con il metodo induttivo.
Il giudice di appello ha escluso la deducibilità dei costi indicati dalla contribuente, non ritenendoli provati, in quanto da vari elementi, indicati in motivazione, dovevano ritenersi omessi o iscritti dati non attendibili nella documentazione contabile dell’impresa.
La sentenza della Commissione regionale è stata depositata il 14-5-2014, sicchè deve applicarsi il vizio di motivazione di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come modificato dal D.L. n. 83 del 2012, in vigore per le sentenze depositate a decorrere dall’11-9-2012.
Peraltro, per questa Corte, in seguito alla riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, non è più deducibile quale vizio di legittimità il semplice difetto di sufficienza della motivazione, ma i provvedimenti giudiziari non si sottraggono all’obbligo di motivazione previsto in via generale dall’art. 111 Cost., comma 6, e, nel processo civile, dall’art. 132 c.p.c.., comma 2, n. 4. Tale obbligo è violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero essa risulti del tutto inidonea ad assolvere alla funzione specifica di esplicitare le ragioni della decisione (per essere afflitta da un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili oppure perchè perplessa ed obiettivamente incomprensibile) e, in tal caso, si concreta una nullità processuale deducibile in sede di legittimità ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 (Cass., n., 22598/2018).
Nella specie, però, il giudice di appello ha indicato gli elementi di fatto che hanno fatto ritenere del tutto inattendibili i dati contabili della società, in quanto la contribuente ha sostenuto spese per l’acquisto di un immobile oltre l’importo del mutuo, quindi per ulteriori Euro 4.500.000,00. Il bene era stimato in Euro 14.500.000 ed il mutuo della banca era di Euro 10.000.000,00. Inoltre, il contratto di mutuo era risultato stipulato tra la Unicredit e la Società Centro Storico Real Estate, quindi una compagine societaria terza rispetto alla Prisma Engineering. Non sono stati, poi, prodotti il contratto preliminare di vendita tra la contribuente e la Italease Gestione Beni s.p.a. ed il contratto di “derivati”.
La motivazione, quindi, è stata stilata dalla Commissione regionale e, pur nella sua estrema sintesi, non può essere considerata apparente, sussistendo la base argomentativa sufficiente per comprendere le ragioni del convincimento del giudice.
Va precisato che l’appello della società è stato notificato alla Agenzia delle entrate dopo l’11-9-2012, sicchè deve applicarsi il disposto di cui all’art. 348 ter c.p.c., comma 5, in base al quale “la disposizione di cui al comma 4 si applica, fuori dei casi di cui all’art. 348 bis, comma 2, lett. a, anche al ricorso per cassazione avverso la sentenza d’appello che conferma la decisione di primo grado”.
L’art. 348 ter c.p.c., comma 4, prevede che “quando l’inammissibilità è fondata sulle stesse ragioni, inerenti alle questioni di fatto, poste a base della decisione impugnata, il ricorso per cassazione di cui al comma precedente può essere proposto esclusivamente per i motivi di cui all’art. 360, comma 1, nn. 1), 2) 3) e 4)”.
Per questa Corte, infatti, le disposizioni sul ricorso per cassazione, di cui al D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, circa il vizio denunciabile ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, ed i limiti d’impugnazione della “doppia conforme” ai sensi dell’art. 348-ter c.p.c., u.c., si applicano anche al ricorso avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale, atteso che il giudizio di legittimità in materia tributaria, alla luce del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 62, non ha connotazioni di specialità. Ne consegue che il D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 3-bis, quando stabilisce che “le disposizioni di cui al presente articolo non si applicano al processo tributario di cui al D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546”, si riferisce esclusivamente alle disposizioni sull’appello, limitandosi a preservare la specialità del giudizio tributario di merito (Cass., sez.un., 7 aprile 2014, n. 8053).
Si è affermato, poi, che nell’ipotesi di “doppia conforme”, prevista dall’art. 348-ter c.p.c., comma 5 (applicabile, ai sensi del D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 2, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, ai giudizi d’appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dal giorno 11 settembre 2012), il ricorrente in cassazione – per evitare l’inammissibilità del motivo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 (nel testo riformulato dal D.L. n. 83 cit., art. 54, comma 3, ed applicabile alle sentenze pubblicate dal giorno 11 settembre 2012) – deve indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass., 22 dicembre 2016, n. 26774).
Tuttavia, nella specie, la ricorrente ha censurato l’omessa o apparente motivazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, ma non il vizio di motivazione di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, essendo solo questo impedito dalla “doppia conforme”.
2.Con il secondo motivo di impugnazione la ricorrente si duole della “illegittimità della sentenza impugnata nella parte in cui i Giudici di seconde cure hanno respinto il motivo di doglianza afferente il mancato scomputo dal maggior reddito accertato delle perdite pregresse maturate dalla società. La sentenza è viziata, per violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 84, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”, in quanto il giudice di appello ha affermato che la società, a fronte delle contestazioni dell’Ufficio, non ha fornito la prova della sussistenza delle perdite. Tuttavia, la contribuente non ha l’onere di provare le circostanze di fatto che hanno dato origine alla perdite, ma deve limitarsi a dimostrare l’avvenuta indicazione delle stesse nella dichiarazione dei redditi e di non averle utilizzate in diminuzione del reddito relativo ai periodi di imposta successivi a quello oggetto di accertamento. E’ sufficiente, quindi, che le perdite pregresse siano state indicate nelle precedenti dichiarazioni. L’unico limite previsto per le perdite dal D.P.R. n. 917 del 1986, art. 84, è di natura temporale, in quanto le stesse possono essere dedotte in periodi di imposta successivi a quello della loro formazione, ma non oltre il quinto. Non occorre, allora, l’indicazione delle perdite da portare in compensazione nei prospetti della dichiarazione. Pertanto, indipendentemente dalle indicazioni presenti nella dichiarazione rettificata, le perdite pregresse devono ritenersi utilizzabili dal contribuente, mediante “riporto in avanti”.
2.1.Tale motivo è infondato.
Invero, il D.P.R. n. 917 del 1986, art. 84, all’epoca vigente, prevede che “La perdita di un periodo di imposta, determinata con le stesse norma valevoli per la determinazione del reddito, può essere computata in diminuzione del reddito dei periodi di imposta successivi, ma non oltre il quinto, per l’intero importo che trova capienza nel reddito imponibile di ciascuno di essi”.
Tuttavia, la dichiarazione dei redditi relativa al 2006, è stata presentata solo nel 2009, sì da doversi considerare come omessa. Dal ricorso per cassazione emerge che con la delibera adottata il 14-7-2009 la società contribuente ha approvato i bilanci del 2006, 2007 e 2008, il primo con una perdita di Euro 21.328,00, il secondo con una perdita di Euro 14.541,00, ed il terzo con una perdita di Euro 15.072,00.
Per la ricorrente le perdite erano state indicate nelle dichiarazioni relative ai periodi di maturazione, sicchè il fatto che la dichiarazione per il periodo 2006 si consideri omessa non vale ad escludere le computo delle perdite.
Tuttavia, deve evidenziarsi che, in assenza di una dichiarazione dei redditi per l’anno 2006, stante il ritardo di circa tre anni nella presentazione della stessa,le perdite non possono essere riportate “in avanti”.
Infatti, per questa Corte, l’Amministrazione finanziaria può disconoscere le perdite di impresa di esercizi precedenti, relativamente ai quali dall’anagrafe tributaria risulti l’omessa presentazione della dichiarazione, e conseguentemente procedere alla correzione dell’errore materiale, consistente nel riporto della perdita, commesso dal contribuente nella successiva dichiarazione, D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36-bis, comma 3, ed a tal fine può avvalersi di un mero controllo cartolare, senza l’emissione di un avviso di rettifica del D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 38 (Cass., 20 gennaio 2017, n. 1471).
Inoltre, si è affermato che l’esercizio della facolta s di opzione, riservata al contribuente dall’art. 84 TUIR (vigente “ratione temporis”), di utilizzare le perdite di esercizio verificatesi negli anni pregressi portandole in diminuzione del reddito prodotto nell’anno oggetto della dichiarazione, ovvero di non utilizzare dette perdite riportandole in diminuzione dal reddito nei periodi di imposta successivi, costituisce manifestazione di volontà negoziale e non mera dichiarazione di scienza, con la conseguenza che essa deve essere esercitata mediante una chiara indicazione nella dichiarazione non potendosi a tal fine l’Amministrazione sostituirsi al contribuente (Cass., 27 ottobre 2017, n. 25566).
Pertanto, per questa Corte l’esercizio della facoltà di opzione di utilizzare le perdite di esercizio verificatesi negli anni pregressi, portandole in diminuzione del reddito prodotto nell’anno oggetto della dichiarazione, ovvero di non utilizzare dette perdite riportandole in diminuzione dal reddito nei periodi di imposta successivi, riservata al contribuente dal D.P.R. n. 917 del 1986, art. 102 (ora 84), costituisce manifestazione di volontà negoziale e non mera dichiarazione di scienza, con la conseguenza che non può essere oggetto di rettifica, salvo che il contribuente dimostri il carattere essenziale ed obiettivamente riconoscibile dell’errore nel quale è incorso, ai sensi degli artt. 1427 c.c.e ss.. Si è, dunque, escluso che costituisse errore materiale, obiettivamente rilevabile ed emendabile in ogni tempo, il fatto che la società contribuente avesse limitato quantitativamente l’opzione esercitata in dichiarazione all’utilizzo di perdite pregresse alla compensazione del reddito esposto nel periodo in contestazione, escludendo quindi che potesse avvalersi della facoltà di compensazione di perdite pregresse ulteriori rispetto ai maggiori redditi successivamente accertati (Cass., 25 giugno 2019, n. 16977). 3.Con il terzo motivo di impugnazione la ricorrente deduce “illegittimità della sentenza impugnata nella parte in cui i Giudici di seconde cure hanno respinto il motivo di doglianza afferente il diritto alla detrazione dell’Iva assolta in via di rivalsa dalla società. La sentenza è viziata, per violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19, comma 1, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”, in quanto il giudice di appello ha ritenuto che non era sufficiente per la detrazione dell’Iva la produzione della fattura, ma era onere della contribuente fornire una prova concreta dell’avvenuto versamento e del conseguente diritto alla detrazione. Al contrario la prova del pagamento non è condizione per il riconoscimento del diritto alla detrazione dell’imposta, in quanto tale diritto sorge quando l’imposta diventa esigibile, ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19, comma 1, ed è sufficiente che il soggetto passivo sia in possesso di un idoneo documento, quale la fattura, ai sensi dell’art. 178 della direttiva 2006/112/CE.
3.1.Tale motivo è infondato.
3.2.Invero, il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19, comma 1 (detrazione) dispone che “per la determinazione dell’imposta dovuta a norma dell’art. 17, comma 1, o dell’eccedenza di cui all’art. 30, comma 2, è detraibile dall’ammontare dell’imposta relativa alle operazioni effettuate, quello dell’imposta assolta o dovuta dal soggetto passivo o a lui addebitata a titolo di rivalsa in relazione ai beni ed ai servizi importati o acquistati nell’esercizio dell’impresa, arte o professione. Il diritto alla detrazione dell’imposta relativa ai beni e servizi acquistati o importati sorge nel momento in cui l’imposta diviene esigibile e può essere esercitato, al più tardi, con la dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui il diritto alla detrazione è sorto ed alle condizioni esistenti al momento della nascita del diritto medesimo”.
Ai sensi del D.P.R. n. 322 del 1998, art. 2, comma 7, la dichiarazione dei redditi, come pure la dichiarazione annuale Iva, sono considerate omesse se presentate con un ritardo superiore ai 90 giorni, come è accaduto nel caso in esame, in cui la dichiarazione relativa all’anno di imposta 2006 è stata presentata nel 2009.
3.3.Per questa Corte, a sezioni unite, la neutralità dell’imposizione armonizzata sul valore aggiunto comporta che, pur in mancanza di dichiarazione annuale per il periodo di maturazione, l’eccedenza d’imposta, che risulti da dichiarazioni periodiche e regolari versamenti per un anno e sia dedotta entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui il diritto è sorto, va riconosciuta dal giudice tributario se il contribuente abbia rispettato tutti i requisiti sostanziali per la detrazione, sicchè, in tal caso, nel giudizio d’impugnazione della cartella emessa dal fisco a seguito di controllo formale automatizzato non può essere negato il diritto alla detrazione se sia dimostrato in concreto, ovvero non sia controverso, che si tratti di acquisti compiuti da un soggetto passivo d’imposta, assoggettati ad IVA e finalizzati ad operazioni imponibili (Cass., sez.un., 8 settembre 2016, n. 17757).
Per le sezioni unite, quindi, il fatto costitutivo del rapporto tributario con il fisco è ravvisato dalla effettività e liceità dell’operazione, mentre gli obblighi di registrazione, la dichiarazione ed altro hanno una diversa funzione meramente illustrativa e riepilogativa dei dati contabili, finalizzata ad agevolare i controlli dell’amministrazione finanziaria per l’esatta riscossione dell’imposta. Pertanto, l’esercizio del diritto di detrazione dell’eccedenza Iva, che deve essere tutelato in modo sostanziale ed effettivo, va riconosciuto a fronte di una reale operazione sottostante, la cui prova certa può essere acquisita dai dati risultanti dalle fatture o da altro documento equivalente, come la documentazione contabile, essendo, invece, tal fine poco rilevante l’osservanza degli obblighi dichiarativi.
Per la detrazione Iva occorre, quindi, che il contribuente, in caso di omessa presentazione della dichiarazione annuale, fornisca la prova dell’esistenza contabile del del credito non dichiarato, con la produzione all’ufficio competente di idonea documentazione, quindi con l’esibizione dei registri Iva, delle relative liquidazioni, della dichiarazione cartacea relativa all’annualità omessa, delle fatture e di ogni altra documentazione utile allo scopo (in tal senso anche Cass., 17 marzo 2017, n. 6921; in tal senso anche circolare della Agenzia delle entrate 25-6-2013 n. 21/E, in cui si riconosce la possibilità di “scomputare” direttamente l’importo del credito in detrazione, ove se ne riscontri l’esistenza, in caso di omissione delle dichiarazioni Iva; in precedenza la circolare 6-8-2012, n. 34/E consentiva solo la presentazione della istanza di rimborso ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21, purchè il credito in detrazione fosse effettivo).
Se il contribuente, infatti, non si attiene alle prescrizioni formali e contabili disciplinate dall’ordinamento interno, è onere dello stesso, a fronte della contestazione di omissioni o irregolarità, fornire adeguata prova dell’esistenza delle condizioni sostanziali cui la normativa comunitaria ricollega l’insorgenza del diritto alla detrazione.
Il contribuente deve quindi dimostrare che, in quanto destinatario di transazioni commerciali, e debitore dell’Iva è titolare del diritto di detrarre l’imposta, con un accertamento in fatto da parte del giudice di merito, da compiersi con la latitudine suggerita dalla stessa corte di giustizia (Causa C85/95, Reisdorf).
Non sono sufficienti allo scopo le sole avvenute liquidazioni periodiche, ma occorre anche l’esibizione dei registri Iva e delle relative liquidazioni, delle fatture e di ogni altra documentazione utile (Cass., 6921/2017). Non sono stati, invece, ritenuti elementi sufficienti l’istanza di condono e la dichiarazione integrativa per la definizione degli anni pregressi (Cass., 9 novembre 2016, n. 22747).
Tale prova non è stata in alcun modo fornita dalla contribuente, come correttamente affermato dal giudice di appello.
Per questa Corte, poi, in tema di IVA ed ai fini della determinazione dell’imponibile in via induttiva, nel caso di mancata presentazione della dichiarazione annuale, il D.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633, art. 55 – il quale ha carattere sanzionatorio dell’obbligo di presentare tale dichiarazione – consente di computare in detrazione (oltre ai versamenti eventualmente eseguiti dal contribuente) solo le imposte, detraibili ai sensi del D.P.R. cit., art. 19, che risultino dalle dichiarazioni mensili e trimestrali, di modo che, in difetto, resta irrilevante che il pagamento di tali imposte sia evincibile da altra documentazione, inclusa la contabilità d’impresa (Cass., 26 gennaio 2015, n. 1422).
L’art. 178 della direttiva “rifusa” 2006/112/Ce prevede che “per poter esercitare il diritto a detrazione, il soggetto passivo deve soddisfare le condizioni seguenti: a) per la detrazione di cui all’art. 168, lett. a), relativa alle cessioni di beni e alle prestazioni di servizi, essere in possesso di una fattura redatta conformemente agli artt. da 220 a 236 e agli artt. 238,239 e 240” (in tal senso anche art. 18 della sesta direttiva del 17-5-1977). L’art. 167 della direttiva cit., prevede che “il diritto alla detrazione sorge quando l’imposta detraibile diventa esigibile”.
Ai sensi dell’art. 168 della direttiva cit., poi, “nella misura in cui i beni e servizi sono impiegati ai fini di, sue operazioni soggette all’imposta, il soggetto passivo ha il diritto, nello Stato membro in cui effettua tali operazioni, di detrarre dall’importo dell’imposta di cui è debitore gli importi seguenti: a) l’Iva dovuta o assolta in tale Stato membro per i beni che gli sono o gli saranno ceduti e per i servizi che gli sono o gli saranno resi da un altro soggetto passivo”.
E’ chiaro che la sola presenza della fattura attiene alla fattispecie ordinaria in cui il contribuente ha presentato le dichiarazioni Iva tempestivamente (in tal senso Corte Giustizia UE 1 marzo 2012, n. 280).
3.4.Inoltre, il D.P.R. n. 322 del 1998, art. 8, comma 1, nella versione all’epoca vigente, dispone che “salvo quanto previsto relativamente alla dichiarazione unificata, il contribuente presenta, secondo le disposizioni di cui all’art. 3, tra il 1 febbraio e il 31 luglio, in via telematica la dichiarazione relativa all’imposta sul valore aggiunto dovuta per l’anno solare precedente redatta in conformità al modello approvato il 15 gennaio dell’anno in cui è utilizzato con provvedimento amministrativo da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale”.
Al D.P.R. n. 322 del 1998, art. 8, comma 3, si dispone che “Le detrazioni sono esercitate entro il termine stabilito dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19, comma 1”.
Inoltre, al D.P.R. n. 322 del 1998, art. 8, comma 6, si prevede che “per la sottoscrizione, la presentazione e la conservazione della dichiarazione relativa all’imposta sul valore aggiunto si applicano le disposizioni di cui all’art. 1, commi 2, 3 e 4, all’art. 2, commi 7, 8, 8 bis e 9, e all’art. 3".
Il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 30, stabilisce, poi, che ” se dalla dichiarazione annuale risulta che l’ammontare detraibile (…), aumentato delle somme versate mensilmente, è superiore a quello dell’imposta relativa alle operazioni imponibili (…), il contribuente ha il diritto di computare l’importo dell’eccedenza in detrazione nell’anno successivo, ovvero di chiedere il rimborso nelle ipotesi di cui ai commi successivi e comunque in caso di cessazione di attività”.
Ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 55, quindi, “se il contribuente non ha presentato la dichiarazione annuale l’ufficio dell’imposta sul valore aggiunto può procedere in ogni caso all’accertamento dell’imposta dovuta indipendentemente dalla previa ispezione della contabilità. In tal caso l’ammontare imponibile complessivo e l’aliquota applicabile sono determinati induttivamente sulla base dei dati e delle notizie comunque raccolte o venuti a conoscenza dell’ufficio e sono computati in detrazione soltanto i versamenti eventualmente seguiti dal contribuente e le imposte detraibili ai sensi dell’art. 19 risultanti dalle liquidazioni prescritte dagli artt. 27 e 33”.
Le detrazioni, comunque, devono esercitate entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui il diritto sorto (in tal senso anche Cass., 27 luglio 2018, n. 19938; in tal senso anche la risoluzione della Agenzia delle entrate del 19-4-2007, n. 74; anche circolare della Agenzia delle entrate 17-1-2018, n. 1/E, paragrafo 1.2). Nella specie, però, il diritto è sorto nell’anno 2006, mentre la dichiarazione per il 2006 è stata presentata tre anni dopo, nel 2009, quindi la chiesta detrazione è anche tardiva, oltre a non essere dimostrata nella sua concreta esistenza.
4.Con il quarto motivo di impugnazione la ricorrente deduce “illegittimità della sentenza impugnata nella parte in cui i giudici di seconde cure hanno respinto il motivo (subordinato) di doglianza afferente l’inapplicabilità delle sanzioni irrogate con l’atto impugnato. La sentenza è viziata, per violazione e falsa applicazione del combinato disposto dell’art. 6, comma 5, e del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 5, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3", in quanto la tardiva dichiarazione dei redditi ed ai fini Iva è stata determinata dal sequestro penale della documentazione, quindi a causa di forza maggiore, con la conseguente insussistenza di colpa della contribuente. Il giudice di appello, invece, ha ritenuto che non sussisteva l’esimente della forza maggiore, in quanto il sequestro della documentazione contabile era stato determinato dal comportamento penalmente rilevante della società, che non aveva neppure dato la prova di avere chiesto al giudice penale, in tempi ragionevoli, il dissequestro o copia della documentazione.
4.1.Tale motivo è infondato.
Invero, ai sensi del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 6, comma 5" non è punibile chi ha commesso il fatto per forza maggiore”.
Tuttavia, per questa Corte la forza maggiore va intesa come una causa esterna, imprevedibile e sopravvenuta che non dipende da un comportamento addebitabile anche solo a titolo di colpa nei vari gradi o specie. Pertanto, si è esclusa la forza maggiore nell’ipotesi di mancata edificazione dovuta a sequestro penale dell’immobile per il reato di smaltimento illecito di rifiuti, attesa la colpa dell’acquirente per omessa vigilanza sulla natura dei rifiuti conferiti nell’area (Cass., 19 aprile 2017, n. 9851).
Nella specie, quindi, trattandosi di sequestro penale, la società non ha dimostrato di essersi attivata per chiedere la restituzione dei documenti contabili o almeno la copia degli stessi per procedere agli adempimenti tributari.
5.Le spese del giudizio di legittimità vanno poste a carico della ricorrente, per il principio della soccombenza, e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente a rimborsare in favore della Agenzia delle entrate le spese del giudizio di legittimità che si liquidano in complessivi Euro 7.800,00, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 23 ottobre 2019.
Depositato in Cancelleria il 10 dicembre 2019
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