LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –
Dott. LOCATELLI Giuseppe – Consigliere –
Dott. CONDELLO Pasqualina Anna Piera – Consigliere –
Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –
Dott. FRAULINI Paolo – est. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 23846/2012 R.G. proposto da:
T.G. & Figli s.n.c., in persona del legale rappresentante pro tempore, nonchè T.I., T.D.D. e T.G., elettivamente domiciliati in Roma, via della Bufalotta n. 174, presso lo studio dell’avv. Barlettelli Patrizia, rappresentati e difesi dall’avv. Scardigno Leonardo, giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrenti –
contro
Agenzia delle Entrate, in persona del direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, via dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende ope legis;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 43/14/2012 della Commissione tributaria regionale di Bari, depositata in data 5 marzo 2012;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Zeno Immacolata che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
udito l’avvocato dello Stato Foraci Salvatore per la contro ricorrente;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 23 ottobre 2019 dal Consigliere Fraulini Paolo.
FATTI DI CAUSA
1. La Commissione tributaria regionale per la Puglia, in riforma della decisione di primo grado, ha respinto l’impugnazione proposta dalla T.G. & Figli s.n.c., nonchè dai soci T.I., T.D.D. e T.G. avverso gli avvisi di accertamento relativi a maggior reddito a fini Irap e Iva accertato nei confronti della società e successivamente imputato pro quota ai soci per l’anno di imposta 2004.
2. Ha rilevato il giudice di appello che la società, in fase di contraddittorio amministrativo, non aveva risposto a due questionari informativi inviati dall’Ufficio impositore, limitandosi a inviare un foglio sintetico privo di indicazione della consistenza delle rimanenze di magazzino; ne derivava che, tanto in fase amministrativa, che giudiziale, i ricorrenti non avevano assolto all’onere della prova della consistenza effettiva delle rimanenze e della congruità del valore a esse attribuito, a nulla valendo le risultanze contabili degli esercizi precedenti, nè avevano provato l’esistenza del dedotto errore materiale.
3. Per la cassazione della citata sentenza la T.G. & Figli s.n.c., nonchè T.I., T.D.D. e T.G. hanno proposto ricorso sulla base di due motivi; l’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso.
4. I ricorrenti hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il ricorso lamenta:
a. Primo motivo: “Violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 322 del 1998, art. 2, commi 8 e 8-bis, in relazione al D.P.R. n. 600 del 1973 (nel testo applicabile ratione temporis)” deducendo che la CTR avrebbe erroneamente applicato il principio dell’emendabilità della dichiarazione dei redditi, omettendo di qualificare l’iniziativa dei ricorrenti come finalizzata a porre rimedio a un errore relativo alla compilazione della voce “rimanenze finali/esistenze iniziali anno 2003 e 2004”.
b. Secondo motivo: “Contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo del giudizio” deducendo l’incomprensibilità della motivazione della sentenza relativa alla mancanza di buona fede dei ricorrenti circa l’errore materiale commesso, che mina anche la coerenza della sentenza, laddove questa da un canto sembrerebbe avallare l’esistenza dell’errore, salvo poi negarlo senza fornire all’uopo alcuna giustificazione, in presenza del conclamato principio di continuità dei bilanci che consente di ritenere perfettamente emendabile l’errore commesso, che in alcun modo ha intaccato il risultato della dichiarazione dei redditi.
2. L’Agenzia delle Entrate argomenta nel controricorso l’infondatezza del ricorso, di cui chiede il rigetto.
3. Il ricorso va respinto.
4. Il punto centrale della vicenda si individua non già nella facoltà del contribuente di emendare la propria dichiarazione dei redditi, bensì nell’idoneità dell’effettuata dichiarazione integrativa a documentare l’effettiva consistenza del risultato di esercizio.
5. Il primo motivo di ricorso va quindi respinto, poichè la contestazione mossa dall’Agenzia delle Entrate non riguarda la possibilità di integrare la dichiarazione (circostanza effettuata dai ricorrenti e mai oggetto di contestazione), ma l’idoneità della stessa a rappresentare con precisione la neutralità fiscale che si pretendeva di dimostrare. La CTR ha correttamente addossato l’onere di siffatta prova sul contribuente (che infatti non lo contesta nei motivi di ricorso), e, sulla base delle prove acquisite al processo, ha evidenziato come tale prova non fosse stata minimante fornita, poichè il foglio sintetico depositato in atti non reca l’annotazione della consistenza delle rimanenze, nè la prova di tale fatto è stata altrimenti fornita.
6. Tanto determina l’infondatezza anche del secondo motivo di ricorso. Invero la sentenza impugnata non si palesa nè incomprensibile, nè contraddittoria, poichè ciò che evidenzia non è affatto l’astratta possibilità di emendare la dichiarazione, ma l’insussistenza di prova della dichiarata neutralità fiscale all’esito dell’integrazione, in relazione alla quale correttamente il giudice di appello evidenzia l’irrilevanza del principio di continuità dei bilanci, valido al più a fini civilistici, ma non certo fiscali in tema di dimostrazione della neutralità del risultato di esercizio.
7. La soccombenza regola le spese.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la T.G. & Figli s.n.c., nonchè i soci T.I., T.D.D. e T.G. a rifondere all’Agenzia delle Entrate le spese della presente fase di legittimità che liquida in Euro 5.600,00, oltre spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 23 ottobre 2019.
Depositato in Cancelleria il 10 dicembre 2019