Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.32214 del 10/12/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. MANZON Enrico – Consigliere –

Dott. TINARELLI FUOCHI Giuseppe – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. CHIESI Gian Andrea – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25349-2013 proposto da:

L.I.G. (C.F. *****), rapp. e dif., in virtù di procura speciale a margine del ricorso, dall’Avv. GIAMMARCO ENRICO e dall’Avv. COGGIATTI CLAUDIO, presso lo studio del quale è elett.te dom.to in ROMA, alla VIA LAZIO, n. 20/c;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE DOGANE E DEI MONOPOLI (C.F. *****), in persona del Direttore p.t., legale rappresentante, dom.ti ope legis in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI, n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che lo rapp. e dif.;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 21/02/13 della COMMISSIONE TRIBUTARIA di SECONDO GRADO di TRENTO, depositata il 25/03/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 13/06/2019 dal Consigliere Dott. CHIESI GIAN ANDREA.

FATTO E DIRITTO

Osservato che l’AGENZIA DELLE DOGANE emise nei confronti di L.I.G. un avviso di accertamento relativo a quattro bollette di importazione IM4, intimandole il pagamento di Euro 37.398,55 per avere falsamente rappresentato, quale legale rappresentante della Alimex s.r.l., la sussistenza delle condizioni necessarie per l’ottenimento della certificazione valida in dogana volta all’applicazione del dazio ridotto per l’importazione di banane negli anni 1994, 1995 e 1996;

che la L.I. impugnò tale avviso di accertamento innanzi alla C.T. di primo grado di Trento che, con sentenza n. 82/5/10 rigettò il ricorso. Tale sentenza fu quindi impugnata dalla contribuente innanzi alla C.T. di secondo grado di Trento che, con sentenza 21/02/13, depositata il 25.3.2013, rigettò il gravame, osservando – per quanto in questa sede rileva come: (a) correttamente la L.I. era stata destinataria dell’avviso di rettifica; (b) non poteva ritenersi decorso il termine di prescrizione ex art. 84 T.U.L.D.;

che avverso tale sentenza la L.I. ha infine proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi, cui ha resistito l’AGENZIA DELLE DOGANE con controricorso;

che la L.I. ha depositato, altresì, memoria ex art. 380-bis.1 c.p.c.;

Rilevato che con il primo motivo parte ricorrente lamenta (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 43 del 1973, art. 38 (cd. T.U.L.D.), nonchè degli artt. 201, 202, 203, 221 del Reg. CEE n. 2913 del 1992 (cd. C.D.C.) in relazione all’art. 4 del medesimo Reg. cit., stante “l’inesistenza di una disposizione normativa che stabilisca la responsabilità personale, autonoma o concorrente, del legale rappresentante della persona giuridica nei cui confronti sia stato emesso autonomo avviso di rettifica dell’accertamento” (cfr. ricorso, p. 6);

che il motivo è infondato;

che, infatti, indipendentemente dalla qualifica di importatore attribuita al soggetto giuridico che introduce in modo irregolare la merce nel territorio doganale comunitario, è chiamato a rispondere della medesima obbligazione doganale anche chiunque abbia a qualsiasi titolo partecipato o contribuito a realizzare tale introduzione irregolare (art. 202 codice doganale comunitario di cui al Reg. (CEE) 12 ottobre 1992, n. 2913 del 1992) (cfr. Cass. n. 15034 del 2014). Segnatamente, l’art. 202, comma 3, codice doganale comunitario stabilisce che sono debitori dell’obbligazione doganale: “la persona che ha proceduto a tale introduzione irregolare”; “le persone che hanno partecipato a questa introduzione sapendo o dovendo, secondo ragione, sapere che essa era irregolare”, nonchè le “persone che hanno acquisito o detenuto la merce considerata e sapevano o avrebbero dovuto, secondo ragione, sapere allorquando hanno acquisita o ricevuta che si trattava di merce introdotta irregolarmente”. La normativa di riferimento qualifica, dunque, come debitori per l’obbligazione doganale sorta in seguito all’irregolare introduzione di merce in ambito comunitario (in uno all’importatore) pure le persone che ad essa hanno, a qualsiasi titolo, partecipato ovvero che hanno acquisito o detenuto la merce illegalmente introdotta, prevedendo per tali persone – quale presupposto in aggiunta per la responsabilità – che esse sappiano o avrebbero dovuto sapere, secondo ragione, che l’introduzione della merce era irregolare (cfr. Cass. n. 24675 del 2011; nonchè Corte di Giustizia CE, 17 luglio 1997, resa nel procedimento C-97/95). D’altra parte, rappresenta orientamento sedimentato di questa Corte quello secondo cui, quando una dichiarazione è resa in base a dati che determinano la mancata riscossione totale o parziale dei dazi dovuti per legge, le persone che hanno fornito i dati necessari alla stesura della dichiarazione e che erano o avrebbero dovuto essere a conoscenza della erroneità, possono essere parimenti considerati debitori conformemente alle vigenti disposizioni doganali, posto che, in linea con la regolamentazione comunitaria, il D.P.R. n. 43 del 1973, art. 38, vincola all’obbligazione tributaria tutti coloro comunque ingeritisi nell’operazione (cfr. Cass. n. 3285 del 2012, Cass. n. 29585 del 2011, Cass. n. 1574 del 2012 nonchè, da ultimo, Cass., Sez. 5, 14.2.2019, n. 4389, Rv. 652718-01 e Cass., Sez. 5, 12.9.2019, n. 22747, Rv. 655072-01);

che, nella specie, la C.T.R., uniformandosi agli esposti principi, ha ampiamente dato conto (cfr. p. 7, cpv.) delle ragioni per cui la L.I. dovesse ritenersi a piena conoscenza dell’erroneità delle dichiarazioni sottese all’avviso di rettifica impugnato, con la conseguenza, che ne discende, della correttezza della sua individuazione quale titolare passiva dell’obbligazione tributaria;

che con il secondo motivo parte ricorrente si duole (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) della violazione e falsa applicazione dell’art. 221 Reg. CEE n. 2913 del 1992 (cd. C.D.C.) e del D.P.R. n. 43 del 1973, art. 84, per non avere la C.T.R. ritenuto prescritta la pretesa tributaria, nonostante l’Ufficio avesse provveduto alla rettifica della dichiarazione doganale durante la pendenza del procedimento penale a carico della società importatrice, con conseguente decorrenza – dal momento della notifica di tale atto e non già dalla irrevocabilità del decreto di archiviazione pronunziato dal G.i.p. di Palermo in data 8.4.2008 – del termine di prescrizione;

che il motivo è infondato;

che questa Corte ha già chiarito, infatti, che, pendente il procedimento penale, l’Ufficio conserva certamente la “facoltà” di notificare una richiesta di pagamento anche prima della decorrenza del termine fissato dagli artt. 221 e 84 cit. (cfr. Cass., Sez. 5, 31.3.2010, n. 7836), ma ciò non incide sulla sospensione del termine di prescrizione che resta ancorato, quanto al dies a quo di sua decorrenza, al parametro oggettivo rappresentato dalla data di irrevocabilità del decreto o della sentenza pronunziati nel processo penale;

Ritenuto, dunque, che il ricorso vada rigettato, con la condanna di L.I.G. al pagamento, in favore dell’AGENZIA DELLE DOGANE E DEI MONOPOLI, in persona del Direttore p.t., delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo;

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Condanna L.I.G. al pagamento, in favore dell’AGENZIA DELLE DOGANE E DEI MONOPOLI, in persona del Direttore p,t., delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in Euro 5.000,00 (cinquemila/00), oltre spese prenotate a debito. Dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Civile Tributaria, il 13 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 10 dicembre 2019

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