Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.32331 del 11/12/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 5967/2018 proposto da:

D.O.P., domiciliato in Roma, piazza Cavour, presso la Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall’avvocato, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Presidente Regione Autonoma Valle d’Aosta, elettivamente domiciliato in Roma Via Dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende ex lege;

– controricorrente –

avverso l’ordinanza del GIUDICE DI PACE di AOSTA, depositata il 13/07/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 30/09/2019 da Dott. FALABELLA MASSIMO.

FATTI DI CAUSA

1. – Il Giudice di pace di Aosta respingeva, in data 13 luglio 2017, il ricorso con cui D.O.P. aveva impugnato il decreto di espulsione emesso dal Presidente della Regione autonoma Valle d’Aosta nei propri confronti; il ricorso avverso il provvedimento espulsivo, pronunciato sulla base dell’ingresso clandestino e della permanenza illegale dello straniero nel territorio nazionale, era stato confermato rilevandosi, nell’ordine: che al momento della pronuncia non erano emerse circostanze ostative alla sua adozione; che gli elementi allegati dal ricorrente a sostegno della sua omosessualità (addotta come dato ostativo all’espulsione) erano insufficienti; che la detta condizione non era stata fatta valere con una domanda di protezione internazionale.

2. – Contro il nominato decreto D.O.P. ha proposto un ricorso per cassazione basato su cinque motivi. La Regione Autonoma Valle d’Aosta resiste con controricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Col primo motivo si oppone la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, comma 1, deducendosi l’inespellibilità del ricorrente in considerazione della repressione penale attuata in Senegal nel confronti degli omosessuali. Si deduce, in sintesi, che la detta condizione ostava al rimpatrio e avrebbe dovuto essere vagliata nel corso del procedimento di opposizione all’espulsione.

Il secondo mezzo denuncia la violazione di legge con riferimento al principio di diritto, enunciato dalla Corte di giustizia, in base al quale l’art. 4.3 dir. 2004/83, recepito con il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 e l’art. 13.3, lett. a), dir. 2005/85 recepito con il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 13 ostano a che le dichiarazioni circa l’orientamento sessuale dell’interessato siano ritenute non credibili per non essere state fatte valere tempestivamente per chiedere la protezione internazionale. In tal senso, ad avviso del ricorrente, il Giudice di pace avrebbe adottato il provvedimento di rigetto dell’impugnazione applicando un criterio non consentito dalla legge, attribuendo rilievo al fatto che esso istante non aveva immediatamente e spontaneamente rivelato la propria omosessualità.

Il terzo motivo censura l’ordinanza per violazione dell’art. 111 Cost., comma 6, dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e deduce la conseguente nullità del provvedimento per difetto di motivazione.

Col quarto motivo il ricorrente lamenta la violazione del diritto alla prova di cui all’art. 24 Cost., comma 2, art. 115 c.p.c., art. 183 c.p.c., comma 7 e art. 187 c.p.c. e la nullità del provvedimento per la mancata ammissione delle prove dedotte.

Col quinto motivo il ricorrente si duole dell’omesso esame di fatti decisivi e prospetta la mancata valutazione dei documenti e delle istanze istruttorie, in particolare la prova orale volta a dimostrare il fatto decisivo della propria omosessualità.

Questi ultimi tre motivi, svolti congiuntamente, sono diretti a censurare, da diverse angolazioni, il provvedimento impugnato con riguardo al profilo della ritenuta irrilevanza delle prove e delle istanze deputate a comprovare la condizione di omosessualità posta alla base del ricorso ex art. 702 bis c.p.c..

2. – Il ricorso è fondato.

Il fatto che al momento della pronuncia del provvedimento di espulsione non fosse nota all’autorità amministrativa l’esistenza della condizione di omosessualità che esponeva il ricorrente al rischio di persecuzione nel paese del rimpatrio è irrilevante: il D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19 configura un divieto di espulsione che, proprio in quanto tale, deve poter essere fatto valere nella sede in cui lo straniero è ammesso a contestare la legittimità del provvedimento adottato, che è, appunto, il giudizio di impugnazione del provvedimento stesso, previsto dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 8: e sul punto, come rettamente osservato dal ricorrente, questa Corte ha già avuto modo di precisare che il rispetto del principio di non refoulement di cui all’art. 19 cit., è garantito proprio nella fase di opposizione all’espulsione (Cass. 6 marzo 2014, n. 5306, in motivazione).

Parimenti errata deve ritenersi la valorizzazione, contenuta nel provvedimento impugnato, della mancata proposizione della domanda di protezione internazionale da parte dell’odierno ricorrente. Infatti, la previsione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19 non vede ristretta la sua estensione applicativa in ragione dell’indicata evenienza.

Sono da condividere, poi, i rilievi critici formulati negli ultimi tre motivi. Il ricorrente ha puntualmente indicato i documenti prodotti in giudizio e i capitoli della prova testimoniale di cui aveva richiesto l’ammissione. Il Giudice di pace si è limitato ad affermare “l’insufficienza degli elementi allegati dal ricorrente e volti ad accertare la sua condizione di omosessualità”. Tale motivazione deve ritenersi censurabile: essa è, in termini generali, apparente, dal momento che, pur essendo graficamente esistente, non rende percepibile il fondamento della decisione, recando essa argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento (cfr. Cass. Sez. U. 3 novembre 2016, n. 22232); l’ordinanza impugnata viola pure il minimo costituzionale con particolare riferimento alla richiamata istanza di prova testimoniale, giacchè il provvedimento ha mancato di esaminare detta richiesta per poi rigettare senz’altro la domanda, ritenendola indimostrata (cfr. Cass. 20 aprile 2017, n. 9952).

3. – L’ordinanza è quindi cassata.

La causa va rinviata al Giudice di pace di Aosta, in persona di un diverso magistrato; il giudice del rinvio provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

LA CORTE accoglie il ricorso, cassa l’ordinanza impugnata e rinvia la causa al Giudice di pace di Aosta, in persona di diverso magistrato, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 30 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 11 dicembre 2019

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