LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –
Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –
Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –
Dott. GIANNITI Pasquale – rel. Consigliere –
Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 3511-2018 proposto da:
C.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CRESCENZIO 25, presso lo studio dell’avvocato MARIA CARLA VECCHI, rappresentato e difeso dall’avvocato ANGELO PAONE;
– ricorrente –
contro
F.S., elettivamente domiciliato in ROMA, CORSO VITTORIO EMANUELE II 154/3DE, presso lo studio dell’avvocato DANIELE GRANARA, che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1036/2017 della CORTE D’APPELLO di GENOVA;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 15/10/2019 dal Consigliere Dott. PASQUALE GIANNITI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CARDINO Alberto, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso;
udito l’Avvocato GERARDI ALESSANDRO per delega.
RILEVATO IN FATTO
1.La Corte di Appello di Genova con sentenza n. 1036/2017 in integrale accoglimento dell’impugnazione proposta da F.S. nei confronti di C.A. – ha integralmente riformato la sentenza n. 191/2013 del Tribunale di Chiavari; e, per l’effetto, ha condannato il C. a corrispondere al F., a titolo risarcimento danni, la somma di Euro 4 mila oltre accessori ed oltre alla rifusione delle spese processuali.
2.Era accaduto che il F. aveva convenuto in giudizio il C. per ottenere il risarcimento del danno patito a causa dell’accensione, da parte del convenuto, di numerosi fuochi nelle vicinanze della propria abitazione, che era stata invasa dal fumo.
Si era costituito il C., che aveva contestato la domanda sia nell’an che nel quantum, chiedendone il rigetto.
Il Tribunale, effettuata l’istruttoria previa acquisizione degli atti processuali del giudizio penale, aveva rigettato la domanda risarcitoria proposta dal F., non avendo quest’ultimo provato di aver subito effettivamente un danno in conseguenza delle emissioni di fumo subite.
Avverso la sentenza del giudice di primo grado aveva proposto appello il F., chiedendo nel merito, in riforma dell’impugnata sentenza, accertare e dichiarare la responsabilità del C. per l’evento pregiudizievole occorso, e per l’effetto condannare lo stesso al risarcimento del danno anche in via equitativa. Precisamente parte appellante aveva rivelato i seguenti vizi: a) erroneità della sentenza per violazione degli artt. 2043 e 2059 c.c. e dell’art. 185 c.p., in relazione all’art. 844 c.c.; b) erroneità della sentenza medesima per non aver riconosciuto che la sentenza del Tribunale penale di Chiavari n. 1006/2006 aveva concretamente accertato l’esistenza del danno lamentato dal F..
Si era costituito nel giudizio d’appello il C. chiedendo il rigetto dell’appello con conferma della sentenza di primo grado e con vittoria delle spese legali.
La Corte di merito, dapprima, con provvedimento 6/11/2013, ha ritenuto insussistenti i presupposti per l’applicazione dell’art. 348 bis c.p.c., e, poi, con la sentenza impugnata, ha riformato la sentenza di primo grado, nei termini sopra indicati, avendo ritenuto provato un danno da immissioni eccedenti la normale tollerabilità e per la sofferenza psicologica subita dal F. a seguito dello sprezzante rifiuto ricevuto.
3. Avverso la sentenza della Corte territoriale ha proposto ricorso il C..
Ha resistito con controricorso il F..
In vista dell’odierna udienza pubblica, entrambe le parti hanno presentato memoria a sostegno dei rispettivi assunti.
All’odierna udienza il Procuratore della Repubblica ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso, mentre il difensore presente ha insistito nell’accoglimento delle già rassegnate conclusioni.
RITENUTO IN DIRITTO
1. C.A. – dopo aver premesso che: a) era stato rinviato a giudizio davanti al Tribunale penale di Chiavari in relazione al reato di cui all’art. 674 c.p. per aver acceso un fuoco sul proprio terreno agricolo, a poca distanza dall’abitazione del vicino F.S., che si era costituito parte civile; b) nel corso dell’istruzione dibattimentale Ca.Ma., moglie del F., aveva riferito che lei ed il marito non avevano riportato danni a seguito dell’accensione; c) il Tribunale penale aveva tuttavia affermato la sua penale responsabilità, condannandolo, oltre che e, alla pena di Euro 103,30 di ammenda, anche “al risarcimento del danno alla parte civile costituita da liquidarsi in separato giudizio” ha censurato la sentenza impugnata per quattro motivi.
1.1. Con il primo motivo, articolato in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, denuncia violazione degli artt. 112,115 e 345 c.p.c. nella parte in cui la Corte territoriale ha omesso di rilevare l’inammissibilità della domanda risarcitoria ex art. 844 c.c., formulata dall’attore per la prima volta in secondo grado, così incorrendo nel vizio di ultra petizione.
1.2. Con il secondo motivo, articolato sempre in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, denuncia violazione dell’art. 278 c.p.c., dell’art. 844 c.c. e art. 278 c.p.p. nella parte in cui la Corte territoriale ha ritenuto provato il danno risarcibile (in relazione alla presenza di immissioni da qualificarsi come intollerabili ex art. 844 c.c. e moleste per lui e per sua figlia, nonchè in relazione alla richiesta di estinzione del fuoco formulata dal F., ricordando i problemi di salute della figlia, ed alla sua risposta sprezzante) sulla base della ricostruzione fattuale effettuata in sede penale. Sostiene che la condanna generica al risarcimento comporta esclusivamente accertamento della potenzialità lesiva dell’evento. Si duole che la Corte ha erroneamente ritenuto la ricorrenza di danno da immissioni di fumo dalla sentenza penale, senza considerare che: a) la condanna generica al risarcimento, ex art. 278 c.p.c., comporta solo accertamento della potenzialità lesiva del fatto, e non esenta da prova del danno; b) il giudice penale aveva emesso condanna per mero reato di pericolo, ex art. 674 c.p., che non presuppone lesione del bene tutelato; c) l’accertamento del danno richiedeva esame dei parametri di tollerabilità espressi dall’art. 844 c.c., ovviamente non valutati in sede penale.
1.3. Con il terzo motivo, articolato in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, denuncia in ogni caso omesso esame di fatti decisivi e controversi nella parte in cui la Corte territoriale non ha valutato: a) la durata dell’immissione circoscritta a pochi minuti (fuoco immediatamente estinto, come riconosciuto dallo stesso F. nella citazione introduttiva del giudizio di primo grado) e b) la pacifica assenza di danni, riconosciuta dalla teste Ca., moglie del F..
1.4. Con il quarto ed ultimo motivo, articolato in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, il ricorrente denuncia violazione degli artt. 112 e 115 c.p.c., nonchè degli artt. 1226 e 2059 c.c., nella parte in cui la Corte territoriale ha riconosciuto il danno non patrimoniale per lesione di valori costituzionali, in assenza di espressa deduzione dell’attore e con liquidazione riferita al disagio “da risposta sprezzante”. Sostiene che la Corte, tanto affermando, avrebbe liquidato equitativamente un danno da lesione di valori costituzionalmente rilevanti, in assenza di previa deduzione dell’attore, incorrendo nel vizio di ultrapetizione e di violazione dell’art. 2059 c.c. anche con riferimento al disagio da risposta sprezzante, incorrendo in ulteriore violazione dell’art. 2059 c.c.
2. Il ricorso non è fondato, ma la motivazione della sentenza impugnata va corretta.
2.1. Occorre preliminarmente ripercorrere la motivazione della sentenza impugnata in relazione alla sussistenza del danno ed alla risarcibilità del danno non patrimoniale.
A) Sotto il primo profilo, la Corte di merito – dopo aver rilevato che il giudice di primo grado aveva rigettato la domanda proposta dal F. non avendo ritenuto provato che lo stesso, in conseguenza delle immissioni di fumo, che era stato provocato dai fuochi accesi dal C. e che avevano invaso la sua abitazione e la sua proprietà, avesse subito un danno effettivo – ha esaminato la sentenza pronunciata dal Tribunale penale di Chiavari nel giudizio penale, rilevando che l’istruttoria svolta in sede penale aveva accertato: a) “con certezza” che il limite della normale tollerabilità era stato largamente superato, in quanto il fuoco era stato acceso ad una distanza minima dall’abitazione del F., tanto da procurare fastidio anche ai vicini; b) che il C. era stato avvisato in tutti i modi delle conseguenze della sua azione e del fastidio che stava arrecando; c) che il giorno di Natale, ovvero pochi giorni prima dell’accensione dei fuochi, la figlia del F., all’epoca dei fatti minorenne, era stata ricoverata al P. Soccorso dell’Ospedale di ***** per una grave crisi asmatica ed un episodio lipotimico; d) che alla figlia del F., al momento delle dimissioni, era stato prescritto assoluto divieto di esposizione al fumo, per evitare ulteriori crisi; e) che il C. aveva reagito alla richiesta di evitare i fuochi, perseverando e dando una risposta sprezzante all’invito a desistere.
La Corte di merito, sulla base delle suddette circostanze, ha ritenuto “evidente ed accertata, oltrechè non contestata la responsabilità del C. nell’accensione dei fuochi e la conseguente immissione di fumi nell’abitazione del F., fumi da ritenersi in misura eccedente la normale tollerabilità, in quanto è stata accertata la molestia subita dal F. e da sua figlia minore”.
B) Quanto poi alla risarcibilità del danno non patrimoniale subito dal F., la Corte di merito – dopo aver richiamato giurisprudenza di legittimità secondo la quale il danno non patrimoniale conseguente ad immissioni illecite è risarcibile indipendentemente dalla sussistenza di un danno biologico documentato ogniqualvolta sia riferibile alla lesione del diritto al normale svolgimento della vita familiare all’interno della propria abitazione e del diritto alla libera e piena esplicazione delle proprie abitudini di vita quotidiane, trattandosi di diritti costituzionalmente garantiti, la cui tutela è ulteriormente rafforzata dall’art. 8 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo (norma alla quale il giudice interno è tenuto ad uniformarsi a seguito della c.d. “comunitarizzazione” della Cedu” – ha ritenuto sussistente “un pregiudizio alla libera e normale esplicazione della personalità ed alla qualità della vita del F. e della sua famiglia, pregiudizio riconducibile allo stress ed al grave disagio provocato dalle immissioni fumi causati dai fuochi accesi dal C.” intorno al terreno di proprietà del F..
2.2. Orbene l’infondatezza del ricorso consegue al rilievo – la cui portata travolge tutti e quattro gli articolati motivi, sopra esposti – che: a) C.A. è stato condannato per il reato di cui all’art. 674 c.p. per avere acceso un fuoco per bruciare sterpaglie, sul proprio fondo agricolo, in prossimità del fondo di proprietà del F.; b) il Tribunale penale di Chiavari, nell’affermare la penale responsabilità del C., lo ha condannato alla pena pecuniaria dell’ammenda, ritenuta di giustizia, nonchè al risarcimento del danno alla parte civile costituita, da liquidarsi in separato giudizio; c) la sentenza penale è passata in giudicato ed il giudizio civile risarcitorio è stato correttamente instaurato dal F.; d) per effetto della rituale instaurazione di detto giudizio, il giudice civile di merito era chiamato a liquidare il danno da reato; e) la Corte di appello civile, riformando integralmente la sentenza di primo grado, con la sentenza per cui è ricorso ha accolto la domanda risarcitoria proposta dall’attore, condannando il C. al risarcimento, in favore del F., nella misura di Euro 4 mila, oltre accessori.
La Corte d’appello, nel liquidare il danno non patrimoniale, ha svolto il seguente ragionamento: dapprima, ha richiamato giurisprudenza di legittimità in ordine alla possibilità di riconoscere un danno non patrimoniale da immissioni illecite, anche in assenza di danno biologico, nel caso in cui ricorra “lesione del diritto al normale svolgimento della vita familiare all’interno della propria abitazione e del diritto alla libera e piena esplicazione delle proprie abitudini di vita quotidiana”; poi, ha liquidato il danno non patrimoniale, ravvisandolo nella “sofferenza psicologica alla quale è stato esposto il F., il quale si è trovato indifeso di fronte allo sprezzante disinteresse manifestato dal C.”.
La motivazione va pertanto corretta nel senso che – essendo intervenuta sentenza penale affermativa di penale responsabilità in relazione al reato contravvenzionale previsto dall’art. 674 c.p. con condanna generica al risarcimento del danno da liquidarsi in sede civile – al giudice civile restava per l’appunto esclusivamente il compito di procedere alla liquidazione del danno non patrimoniale da reato: in altri termini, accertato l’an da parte del giudice penale, il giudice civile era chiamato a determinare il quantum.
Tale compito è stato assolto dalla Corte di merito mediante liquidazione equitativa (come peraltro ammesso dalle Sezioni Unite con sentenza n. 4848 del 27/2/2013) a seguito di una valutazione delle risultanze processuali, che, involgendo giudizio di fatto e considerazioni di merito, si sottrae al sindacato di questa Corte.
In definitiva, il ricorso va rigettato e parte ricorrente va condannata alla rifusione delle spese processuali, sostenute da parte resistente. Sussistono poi i presupposti per il pagamento dell’ulteriore importo, pure indicato in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente alla rifusione in favore di parte resistente delle spese processuali, che liquida in Euro 2.000 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200 ed agli accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, ad opera di parte ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, il 15 ottobre 2019.
Depositato in Cancelleria il 12 dicembre 2019