Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.32514 del 12/12/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MOCCI Mauro – Presidente –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – Consigliere –

Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –

Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – rel. Consigliere –

Dott. CAPOZZI Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18921-2018 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, C.F. *****, in persona del Direttore pro tempore, e l’ADER – AGENZIA ENTRATE – RISCOSSIONE, in persona del Presidente pro tempore, elettivamente domiciliate in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che le rappresenta e difende, ope legis;

– ricorrenti –

contro

CENTRO DOCUMENTAZIONI STUDI E RICERCHE DELLA LOMELLINA, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE ANGELICO, 92, presso lo studio dell’avvocato ANTONIO COCOZZA, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato LORIANA ZANUTTIGH;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 5316/24/2017 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE della LOMBARDIA, depositata il 15/12/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 26/09/2019 dal Consigliere Relatore Dott. LORENZO DELLI PRISCOLI.

FATTI DI CAUSA

Rilevato che:

la società contribuente impugnava delle intimazioni di pagamento, ritenendo doversi procedere a compensazione con un suo credito d’imposta per IVA;

la Commissione Tributaria Provinciale accoglieva il ricorso e la Commissione Tributaria Regionale rigettava il ricorso dell’Agenzia delle entrate rilevando che il ricorso della contribuente non è volto a far valere vizi delle intimazioni diversi da quelli propri, ma ad accertare l’estinzione del debito per effetto della compensazione con il credito della contribuente;

l’Agenzia delle entrate proponeva ricorso dinnanzi alla Corte di Cassazione affidato ad un unico motivo mentre la contribuente si costituiva con controricorso e in prossimità dell’udienza depositava memoria insistendo per il rigetto del ricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Considerato che, con il motivo d’impugnazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, l’Agenzia delle entrate denuncia violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 19 e 21, giacchè il ricorso introduttivo dinanzi alla CTP avrebbe dovuto essere dichiarato inammissibile riguardando le censure solo il merito della pretesa tributaria ed essendo esse rivolte contro le intimazioni di pagamento, nonostante la mancata impugnazione delle predette cartelle di pagamento nel termine di decadenza;

considerato che, secondo questa Corte, la cartella esattoriale recante intimazione di pagamento di credito tributario, avente titolo in un precedente avviso di accertamento notificato a suo tempo non impugnato, può essere contestata innanzi agli organi del contenzioso tributario ed essere da essi invalidata solo per vizi propri di forma, non già per vizi suscettibili di rendere nullo o annullabile l’avviso di accertamento presupposto o per questioni di merito attinenti agli atti di accertamento dai quali è sorto il debito, che restano precluse dalla definitività dei medesimi (Cass. 31 ottobre 2017, n. 25995; 2 marzo 2012, n. 3274): nella specie la CTR non si è attenuta a tali principi laddove non ha considerato che, al fine di eccepire la compensazione con il credito IVA precedentemente maturato, questione di merito, il contribuente avrebbe dovuto semmai impugnare le cartelle di pagamento, che invece sono diventate definitive;

che pertanto, in accoglimento del motivo di ricorso, non occorrendo ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito ai sensi dell’art. 384, c.p.c., comma 2, u.p., con il rigetto dell’originario ricorso del contribuente;

che possono essere compensate tra le parti le spese del doppio grado di merito in considerazione dell’andamento della controversia, mentre le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo la causa nel merito, rigetta l’originario ricorso del contribuente.

Compensa le spese dei gradi del giudizio di merito; condanna il contribuente al rimborso, in favore dell’Agenzia delle Entrate, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 3.500 oltre a spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 26 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 12 dicembre 2019

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