LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DE MASI Oronzo – Presidente –
Dott. PAOLITTO Liberato – rel. Consigliere –
Dott. CROLLA Cosmo – Consigliere –
Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –
Dott. CIRESE Marina – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 7933-2013 proposto da:
ENEL PRODUZIONE SPA in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA CRESCENZIO 14, presso lo STUDIO DI TANNO E ASSOCIATI, rappresentato e difeso dagli avvocati ROSAMARIA NICASTRO, STEFANO PETRECCA giusta delega a margine;
– ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 166/2012 della COMM. TRIB. REG. di MILANO, depositata il 16/08/2012;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 07/10/2019 dal Consigliere Dott. LIBERATO PAOLITTO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. GIOVANNI GIACALONE che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito per il ricorrente l’Avvocato NICASTRO che ha chiesto l’accoglimento;
udito per il controricorrente l’Avvocato BACHETTI che ha chiesto l’inammissibilità in subordine rigetto.
FATTI DI CAUSA
1. – Enel Produzione S.p.a., sulla base di cinque motivi, illustrati con memoria, ricorre per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia, n. 166/06/12, depositata il 16 agosto 2012, che ha rigettato l’appello di essa ricorrente avverso la decisione di prime cure che, a sua volta, aveva rigettato l’impugnazione di tre avvisi di accertamento con i quali l’Agenzia del Territorio aveva rideterminato la rendita catastale di una centrale idroelettrica (di *****) e di opere serventi (idrauliche e impiantistiche) insistenti nei Comuni di ***** e di *****.
Resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate che, anch’essa, ha depositato memoria.
2. – Con un primo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la ricorrente denuncia violazione, e falsa applicazione, dell’art. 2697 c.c., deducendo, in sintesi, che il giudice del gravame, invertendo gli oneri probatori nella fattispecie rilevanti, aveva finito col gravare essa esponente “delle conseguenze del mancato assolvimento dell’onere della prova incombente in qualità di attore sostanziale sull’Ufficio”, avuto riguardo, in particolare, alla determinazione della rendita catastale con metodo cd. indiretto (D.P.R. 1 dicembre 1949, n. 1142, art. 28, comma 2), incentrato sul costo di ricostruzione ma anche su adeguati coefficienti di deprezzamento (in relazione a vetustà e deprezzamento delle unità censite).
Col secondo motivo, anch’esso formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione del cit. D.P.R. n. 1142 del 1949, artt. 28 e 61, riproponendo, in sintesi, la questione relativa all’omessa (integrale) applicazione del metodo indiretto di stima catastale (art. 28, comma 2, cit.) con riferimento “al coefficiente di deprezzamento per vetustà” di fabbricati ed impianti.
Il terzo motivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, reca denuncia di violazione e falsa applicazione del R.D. 8 ottobre 1931, n. 1572, art. 18, e del R.D. 11 dicembre 1933, n. 1775, assumendosi, in sintesi, che delle opere idrauliche (quali invasi, canali, gallerie di derivazione), gestite in regime di concessione, non deve tenersi conto ai fini della determinazione della rendita catastale, venendo, così, in rilievo beni demaniali insuscettibili (oltrechè di tassazione a fini ICI) di ascrizione ad una qualche categoria catastale.
Anche il quarto motivo, sempre in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, reca denuncia di violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 2, comma 1, lett. a), e del R.D.L. n. 652 del 1939, art. 5, sul rilievo che i beni strumentali e le opere idrauliche, – in quanto deputati ad “una funzione meramente servente degli impianti produttivi della centrale idroelettrica”, – non possono ex se integrare un’autonoma unità immobiliare nè produrre un reddito proprio.
Col quinto motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, la ricorrente denuncia, da ultimo, insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, assumendo che, nella fattispecie, l’amministrazione aveva fornito una prova (solo) parziale dei valori di stima utilizzati, che il giudice del gravame aveva deciso sulla base di “affermazioni del tutto generiche e prive di riscontro probatorio” (quanto al perfetto stato di manutenzione degli impianti), che, ancora, essa esponente aveva “prodotto agli atti del giudizio una differente rappresentazione dei valori utilizzabili ai fini della determinazione della rendita catastale”.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. – A chiara esplicitazione delle ragioni del decisum occorre premettere, per quel che qui ancora rileva, che il giudice del gravame ha fondato la sua pronuncia di rigetto rilevando che:
– alla stessa stregua degli arresti giurisprudenziali di Legittimità, “tutti gli elementi costitutivi una centrale idroelettrica” dovevano concorrere alla stima dell’unità immobiliare, così rilevando ai fini della determinazione della rendita catastale (anche) gli impianti tecnici e le opere idrauliche;
– l’Agenzia del Territorio, – a fronte dell’onere della prova su di essa gravante, – aveva dato conto dei criteri impiegati per la determinazione del costo di costruzione dell’impianto (utilizzando il computo metrico redatto all’epoca della costruzione e tenendo conto, per gli altri fabbricati, di cubatura o superficie), costo, questo, rapportato al biennio di estimo catastale 1988/1989, e corretto col saggio di fruttuosità (del 2%);
– non poteva trovare accoglimento “l’unica eccezione concreta” svolta dall’appellante relativamente alla “mancata applicazione di coefficienti riduttivi di vetustà e obsolescenza sui valori comunque accertati”, in quanto, – a fronte del rilievo che “gli impianti classati si presentavano in perfetto stato di manutenzione”, – la stessa appellante aveva svolto “sostanzialmente… una eccezione di principio”, alcuna prova offrendo quanto alla reclamata “vetustà e obsolescenza”.
2. – Tanto premesso, i primi due motivi di ricorso, – da trattarsi congiuntamente in quanto connessi, – sono destituiti di fondamento e vanno senz’altro disattesi.
2.1 – In relazione al primo motivo, – che, esponendo il vizio di “violazione e falsa applicazione di norme di diritto” (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), consiste della deduzione di una erronea ricognizione della fattispecie astratta posta da una norma di legge e, quindi, implica necessariamente un problema interpretativo della stessa, laddove la allegazione di una erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa (che, nella fattispecie, forma oggetto del quinto motivo di ricorso) è esterna alla esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione (cfr., ex plurimis, Cass., 13 ottobre 2017, n. 24155; Cass., 11 gennaio 2016, n. 195; Cass., 22 febbraio 2007, n. 4178; Cass. Sez. U., 5 maggio 2006, n. 10313; Cass., 11 agosto 2004, n. 15499), – considera la Corte che, diversamente da quanto assume la ricorrente, il giudice del gravame ha ben tenuto presente che l’onere della prova (dei fatti costitutivi della pretesa, qual sottesa agli avvisi di accertamento catastale) gravava sull’amministrazione e (motivatamente) ne ha rilevato l’adempimento, avuto riguardo ai dati probatori posti a fondamento della stima tecnica e, quanto alla riduzione del costo di ricostruzione “in rapporto allo stato attuale delle unità immobiliari” (cd. deprezzamento; D.P.R. n. 1142 del 1949, art. 28, comma 2), al “perfetto stato di manutenzione” degli impianti classati (condizione, questa, che giustappunto escludeva ogni riduzione del costo di ricostruzione).
Va, peraltro, rimarcato che quest’ultimo profilo di accertamento costituiva acquisizione processuale rinveniente (già) dalla pronuncia di prime cure, – che, anch’essa, aveva confermato la stima tecnica degli impianti in relazione alla “loro perfetta efficienza” ed al “loro stato di conservazione ottimale” (v. fol. terzo della gravata sentenza), – così che, – ed in ragione (ora) dell’effetto devolutivo dell’appello, incentrato (anche nel processo tributario), a pena di inammissibilità, su motivi specifici di impugnazione (D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, comma 1), – senz’altro gravava sulla parte, odierna ricorrente (che, per come rilevato dal giudice del gravame, si era limitata ad una “eccezione di principio”) l’onere di offrire al processo dati probatori rilevanti ai fini della riforma di quell’accertamento.
Si è, difatti, rilevato, – secondo un principio di diritto che deve ritenersi estensibile al processo tributario, avuto riguardo alla struttura funzionale del relativo giudizio di appello (che, come si è detto, pur sempre postula motivi specifici di impugnazione, con un effetto devolutivo correlato a detti motivi), – che i criteri di riparto dell’onere della prova (art. 2697 c.c.), vanno applicati nel giudizio di appello (“non nella tradizionale ottica sostanziale” ma) sotto il profilo processuale, e nel senso che l’appellante (“in quanto attore nell’invocata revisio”) è tenuto a “dimostrare il fondamento della propria domanda, deducente l’ingiustizia o invalidità della decisione assunta dal primo giudice, onde superare la presunzione di legittimità che l’assiste” (cfr., in termini, Cass. Sez. U., 8 febbraio 2013, n. 3033 cui adde Cass., 3 settembre 2018, n. 21557; Cass., 9 giugno 2016, n. 11797; Cass., 25 novembre 2013, n. 26292; v., altresì, Cass. Sez. U., 23 dicembre 2005, n. 28498).
2.2 – Quanto, ora, al secondo motivo va rilevato che, ai sensi del D.P.R. n. 1142 del 1949, art. 28, il procedimento cd. indiretto di stima (sugli immobili a destinazione speciale o particolare; v. Cass., 22 maggio 2019, n. 13778; Cass., 22 gennaio 2018, n. 1476; Cass., 16 gennaio 2018, n. 888) implica, ai fini dell’attribuzione della rendita catastale, come si è cennato, la considerazione del costo di ricostruzione, ricondotto all’epoca censuaria delle stime catastali (biennio 1988-89), con applicazione di un “adeguato coefficiente di riduzione in rapporto allo stato attuale delle unità immobiliari.”; laddove, come questa Corte ha già rilevato, l’accertamento del perfetto stato di manutenzione degli impianti “costituisce motivata ragione della mancata applicazione di “un adeguato coefficiente di riduzione” che, ai sensi della medesima disposizione, va rapportato “allo stato attuale delle unità immobiliari”.” (Cass., 15 marzo 2019, n. 7377).
Nè, ai fini in discorso, diversamente rileva il disposto di cui alla L. 23 dicembre 2014, n. 190, art. 1, comma 244, – secondo il quale “Nelle more dell’attuazione delle disposizioni relative alla revisione della disciplina del sistema estimativo del catasto dei fabbricati, di cui alla L. 11 marzo 2014, n. 23, art. 2, ai sensi e per gli effetti della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 1, comma 2, il R.D.L. 13 aprile 1939, n. 652, art. 10, convertito, con modificazioni, dalla L. 11 agosto 1939, n. 1249, e successive modificazioni, si applica secondo le istruzioni di cui alla circolare dell’Agenzia del territorio n. 6/2012 del 30 novembre 2012, concernente la “Determinazione della rendita catastale delle unità immobiliari a destinazione speciale e particolare: profili tecnico-estimativi”.”, – perchè, – in disparte le conclusioni che se ne sono tratte in punto di rilevanza, ai fini della determinazione della rendita catastale, delle componenti impiantistiche presenti nell’unità immobiliare che contribuiscono ad assicurarne autonomia funzionale e reddituale, ovvero che risultino essenziali per caratterizzarne la destinazione (v. Cass., 6 dicembre 2016, n. 24924; Cass., 20 aprile 2016, n. 7868; Cass., 18 febbraio 2015, n. 3166), – il richiamo alla detta circolare, ed ai relativi criteri di computo del deprezzamento del costo di ricostruzione, non può che operare sul piano della disposizione normativa oggetto di interpretazione (nella fattispecie il D.P.R. n. 1142 del 1949, art. 28, comma 2, cit.), senz’alcuna (diversa) incidenza sulla rilevanza (presupposta) dello “stato attuale delle unità immobiliari”, – con conseguente automaticità del deprezzamento, nè, a maggior ragione, sui principi processuali che regolano la devoluzione, in giudizio, delle pertinenti quaestiones facti.
3. – Anche il terzo ed il quarto motivo, da esaminarsi congiuntamente per la loro connessione sostanziale, sono infondati.
3.1 – Premesso che il quarto motivo difetta di autosufficienza (art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6), con riferimento allo specifico contenuto degli avvisi di accertamento, – che, non meglio dettagliato dalla gravata sentenza, non viene riprodotto dalla parte ricorrente, rileva, quindi, la Corte, – posto che l’accatastamento (R.D.L. n. 652 del 1939, artt. 3,4 e 5; D.P.R. n. 1142 del 1949, art. 40; D.M. 2 gennaio 1998, n. 28, art. 1), “viene dalla normativa riferito non al fabbricato in quanto tale, bensì alla nozione di unità immobiliare urbana (UIU);
a sua volta rapportata ad una componente immobiliare (rilevante ex art. 812 c.c.), suscettibile di autonoma funzionalità e redditività.” (v. Cass., 23 maggio 2018, n. 12741), – che, – “come confermato dalla L. n. 208 del 2015, art. 1, comma 21, che ha escluso dal calcolo della rendita, soltanto dall’1 gennaio 2016, i macchinari, i congegni, le attrezzature e gli altri impianti, funzionali allo specifico processo produttivo” (così Cass., 6 dicembre 2016, n. 24924), – ai fini della determinazione della rendita catastale rilevano (anche) le componenti impiantistiche presenti nell’unità immobiliare che contribuiscono ad assicurarne autonomia funzionale e reddituale, ovvero che risultino essenziali per caratterizzarne la destinazione (v. Cass., 6 dicembre 2016, n. 24924; Cass., 18 febbraio 2015, n. 3166; Cass., 31 marzo 2011, n. 7372; Cass., 4 novembre 2008, n. 26441; Cass., 7 giugno 2006, n. 13319; Cass., 17 novembre 2004, n. 21730); e, con riferimento alle centrali idroelettriche, si è, così, rilevato che concorrono alla determinazione della rendita catastale (come correttamente rilevato dal giudice del gravame) gli elementi costitutivi degli opifici caratterizzati da una connessione strutturale con l’edificio, tale da realizzare un unico bene complesso, e prescindendo dalla transitorietà di detta connessione nonchè dai mezzi di unione a tal fine utilizzati, così rilevando (anche) il valore delle turbine e delle opere idrauliche di superficie e di sottosuolo, che configurano elementi essenziali della centrale, non separabili senza una sostanziale alterazione del bene (Cass., 15 marzo 2019, n. 7377; Cass., 5 febbraio 2019, n. 3277; Cass., 20 febbraio 2015, n. 3500; Cass., 9 novembre 2011, n. 23317; Cass., 10 aprile 2009, n. 8764; Cass., 7 giugno 2006, n. 13319; Cass., 17 novembre 2004, n. 21730).
Del resto, va soggiunto, anche il Giudice delle leggi, – nel rilevare che, ai sensi del R.D.L. n. 652 del 1939, artt. 4 e 5, “Nella definizione di unità immobiliare non si fa alcun riferimento ai materiali utilizzati, nè ai sistemi di assemblaggio degli stessi” e che “il concetto di immobile per incorporazione è ricavato dal combinato disposto del R.D.L. n. 652 del 1939, art. 4, e art. 812 c.c.,” – ha rimarcato che proprio l’art. 812 c.c., comma 1, “prevede la possibilità di una connessione strutturale realizzata in via transitoria, ed introduce il concetto di bene immobile per incorporazione, non specificando l’esatto significato di tale ultimo termine; qualsiasi collegamento infatti è idoneo a classificare un bene quale bene immobile, essendo irrilevante la modalità di collegamento di un impianto con la struttura principale.”; così che, si è ulteriormente osservato, – con riferimento alla disposizione di interpretazione autentica (allora censurata) di cui al D.L. 31 marzo 2005, n. 44, art. 1 quinquies, conv. in L. 31 maggio 2005, n. 88, – “il legislatore ha inteso risolvere il contrasto interpretativo con riferimento alle centrali elettriche, senza innovare il concetto di immobile per incorporazione, quale emergente dalla normativa esistente ed evidenziato dalla giurisprudenza in precedenza richiamata. L’unico effetto dell’art. 1-quinquies, è quello di considerare immobili le centrali elettriche, senza alcuna possibilità per il giudice di fornire una diversa interpretazione, ma non anche quello di escludere dal novero degli immobili per incorporazione le altre costruzioni pure se unite al suolo a scopo transitorio, e in genere tutto ciò che naturalmente o artificialmente è incorporato al suolo. L’art. 1-quinquies, quindi, non ha creato un regime particolare per le centrali elettriche, ma, anzi, ha riportato le stesse nell’ambito della tipologia di beni cui sono state sempre accomunate, come, tra l’altro, gli altiforni, i carriponte, i grandi impianti di produzione di vapore, eliminando qualsiasi dubbio sorto sulla determinazione della rendita catastale delle stesse.” (Corte Cost., 20 maggio 2008, n. 162).
4. – Il quinto motivo di ricorso è anch’esso destituito di fondamento.
4.1 – Posto, per vero, che (anche qui) la ricorrente (in violazione del principio di autosufficienza) non indica, nè riproduce, i dati probatori che, in tesi, sarebbero stati pretermessi dal giudice del gravame,- risolvendo la sua censura nel rinvio al contenuto (riprodotto parzialmente) di memorie difensive depositate il 24 novembre 2011, – considera la Corte che il denunciato difetto di motivazione è configurabile solo se, dall’esame del ragionamento svolto dal giudice del merito, e quale risulta dalla stessa sentenza impugnata, emerga la totale obliterazione di elementi che avrebbero potuto condurre a una diversa decisione ovvero quando sia evincibile un’obiettiva deficienza, nel complesso della sentenza medesima, del procedimento logico che ha condotto il giudice, sulla base degli stessi elementi acquisiti, al suo convincimento; così che il vizio di motivazione non sussiste quando vi sia (mera) difformità rispetto alle attese e alle deduzioni della parte ricorrente sul valore e sul significato attribuiti dal giudice di merito agli elementi delibati (v., ex plurimis, Cass., 29 marzo 2012, n. 5088; Cass., 2 febbraio 1996, n. 914).
Per di più, si è rimarcato, – con riferimento al regime previgente alla modifica introdotta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, (regime applicabile nella fattispecie, posto che la gravata sentenza è stata pubblicata il 16 agosto 2012), – l’omesso esame di elementi probatori, contrastanti con quelli posti a fondamento della pronunzia, costituisce vizio di omesso esame di un punto decisivo solo se le risultanze processuali non esaminate siano tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia probatoria delle altre risultanze sulle quali il convincimento è fondato, onde la ratio decidendi venga a trovarsi priva di base (v. Cass., 27 agosto 2018, n. 21223; Cass., 14 novembre 2013, n. 25608; Cass., 13 gennaio 1999, n. 287).
Nella fattispecie, per converso, il giudice del gravame ha dato compiutamente conto delle proprie valutazioni probatorie, e delle relative fonti di convincimento, laddove alcun dato istruttorio decisivo la stessa parte ricorrente offre alla valutazione della Corte.
5. – Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza di parte ricorrente nei cui riguardi ricorrono, altresì, i presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale (D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore dell’Agenzia delle Entrate, delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 2.600,00, oltre rimborso spese prenotate a debito.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 7 ottobre 2019.
Depositato in Cancelleria il 12 dicembre 2019