Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.32582 del 12/12/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRUCITTI Roberta – Presidente –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – rel. Consigliere –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 27211/2013 R.G. proposto da Eurogil s.r.l., in persona del l.r.p.t., rappresentato e difeso dagli avv.ti Stefano Petrecca e Rosamaria Nicastro, presso cui elettivamente domicilia in Roma alla via Giovanni Paisiello n. 33, presso lo studio Di Tanno ed Associati;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del direttore pro tempore, rappresentata dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio legale in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 133/67/13 della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, sezione staccata di Brescia, emessa il 17/12/2012, depositata l’8/4/2013 e non notificata.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 9 ottobre 2019 dal Consigliere Dott.ssa Giudicepietro Andreina.

RILEVATO

CHE:

1. la Eurogil s.r.l. ricorre con un unico motivo contro l’Agenzia delle Entrate per la cassazione della sentenza n. 133/67/13 della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, sezione staccata di Brescia (di seguito C.T.R.), emessa il 17/12/2012, depositata l’8/4/2013 e non notificata, che, in controversia relativa all’impugnativa dell’avviso di accertamento, con cui l’Amministrazione Finanziaria, ai fini Ires per l’anno di imposta 2005, aveva ritenuto inapplicabile il regime PEX ed aveva considerato tassabile la plusvalenza di Euro 1.710.000,00 con conseguenti maggiori imposte, sanzioni ed interessi, ha rigettato l’appello della società contribuente, confermando la sentenza della C.T.P. di Brescia;

2. i giudici di appello rilevano in fatto che in data 13 dicembre 2000 era stata costituita la società Antico Podere s.r.l., di cui la Eurogil s.r.l. aveva sottoscritto la quota del 90% del capitale sociale, avente ad oggetto sociale l’acquisto, vendita, permuta e locazione, nonchè la costruzione, ristrutturazione o demolizione di edifici in genere;

la Antico Podere s.r.l. aveva acquistato, il 15 gennaio 2001, un complesso immobiliare denominato “*****” in località Macesina (BS), composto da aree e fabbricati in corso di demolizione;

in data 14 giugno 2004, la Antico Podere s.r.l. stipulava un contratto di mutuo con il Banco di Brescia S.p.A. per 7.000.000,00 di Euro;

successivamente, in data 22 luglio 2005, la Eurogil s.r.l. cedeva la propria quota, pari al 90%, alla società Gelfi Costruzioni, il cui rappresentante legale, tale Gelfi, compariva tra gli amministratori della Eurogil s.r.l. dal 14/7/2003;

la cessione generava per la Eurogil s.r.l. una plusvalenza di Euro 1.710.000,00, trattata come esente da imposta nell’ambito del regime PEX;

3. con la sentenza impugnata, la C.T.R. ha ritenuto che correttamente i primi giudici avessero escluso l’applicabilità del regime PEX, per la carenza del requisito della “commercialità”, consistente nell’esercizio, da parte della società partecipata “Antico Podere” s.r.l. di un’impresa commerciale, ininterrottamente dal terzo periodo di imposta precedente al realizzo;

invero, come rilevato dai giudici di appello, che richiamano a loro volta la decisione di primo grado, dal 2000 al 2003 l’Antico Podere s.r.l. ha avuto un volume di affari pari a zero e l’unico negozio giuridico di cui vi è traccia è il mutuo del 2004, in relazione al quale, secondo la C.T.R., manca la prova della destinazione ad attività connessa all’oggetto sociale, non essendo a tal fine sufficiente la mera convenzione edilizia, in assenza di attività costruttive;

in conclusione, la C.T.R. ritiene che, nei tre anni precedenti la cessione, la Antico Podere ha avuto un oggetto sociale “genericamente immobiliare” e l’attività che ha svolto, come emerge dai dati fiscali, non è per nulla diversa da quella di una società di godimento immobiliare, consistente nell’acquisto e nella ristrutturazione di un immobile;

secondo la C.T.R., quindi, l’intera operazione sarebbe servita semplicemente a “traghettare (a plusvalenza esentasse) la speculazione immobiliare di Eurogil verso l’utilizzatore commerciale Gelfi Costruzioni, che solo a quel punto svolge attività commerciale di cui all’art. 87 T.u.i.r.”;

4. a seguito del ricorso, l’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso;

5. il ricorso è stato fissato per la camera di consiglio del 9 ottobre 2019, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., u.c., e art. 380 bis 1 c.p.c., il primo come modificato ed il secondo introdotto dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, conv. in L. 25 ottobre 2016, n. 197.

CONSIDERATO

CHE:

1.1. con l’unico motivo, la società ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 87 e 55 T.u.i.r. e dell’art. 2195 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3;

in particolare la ricorrente ritiene che la sentenza impugnata abbia erroneamente ritenuto che la fattispecie in esame non rientrasse nel regime fiscale PEX, sulla base di un’interpretazione errata del concetto di “impresa commerciale”, basato sull’identificazione di commercialità e redditività;

secondo la ricorrente, nel caso di specie non poteva escludersi che la società partecipata avesse svolto attività commerciale nei tre anni antecedenti alla cessione, ai sensi dell’art. 87 T.u.i.r., poichè, essendo dotata di una struttura operativa potenzialmente idonea alla produzione di ricavi, aveva posto in essere le attività propedeutiche al fine di rendere l’azienda funzionante e produttiva (acquisto dei terreni, convenzione edilizia, acquisizione dei finanziamenti), come riconosciuto dallo stesso giudice di appello;

1.2. il motivo è infondato e deve essere rigettato;

1.3. l’art. 87 TUIR rubricato “Plusvalenze esenti” prevede, al ricorrere di specifici requisiti, una parziale esenzione da imposizione delle plusvalenze realizzate mediante atti di cessione che abbiano ad oggetto partecipazioni (“Regime PEX”);

la norma, riconoscendo l’irrilevanza fiscale del passaggio ai soci del reddito conseguito attraverso l’alienazione della partecipazione in una società, risponde all’esigenza di eliminare (o ridurre) gli effetti di doppia imposizione degli utili, già realizzati e tassati dalla partecipata secondo le disposizione del TUIR;

in particolare, l’art. 87 Tuir, comma 1 prevede che “non concorrono alla formazione del reddito imponibile in quanto esenti nella misura del 95% le plusvalenze realizzate e determinate ai sensi dell’art. 86, commi 1, 2 e 3 relativamente ad azioni o quote di partecipazioni in società ed enti indicati nell’art. 5, escluse le società semplici e gli enti alle stesse equiparate, e nell’art. 73, comprese quelle non rappresentate da titoli, con i seguenti requisiti:…a)ininterrotto possesso dal primo giorno del dodicesimo mese precedente quello dell’avvenuta cessione…; b) classificazione nella categoria delle immobilizzazioni finanziarie nel primo bilancio chiuso durante il periodo di possesso; c) residenza fiscale della società partecipata in uno Stato o territorio diverso da quelli a regime fiscale privilegiato…d) esercizio da parte della società partecipata di un’impresa commerciale secondo la definizione di cui all’art. 55. Senza possibilità di prova contraria si presume che questo requisito non sussista relativamente alle partecipazioni in società il cui valore del patrimonio è prevalentemente costituito da beni immobili diversi dagli immobili alla cui produzione o al cui scambio è effettivamente diretta l’attività dell’impresa, dagli impianti e dai fabbricati utilizzati direttamente nell’esercizio d’impresa. Si considerano direttamente utilizzati nell’esercizio di impresa gli immobili concessi in locazione finanziaria e i terreni su cui la società partecipata svolge attività agricola”;

affinchè la plusvalenza realizzata possa beneficiare del Regime PEX, occorre che siano rispettate congiuntamente tutte le condizioni indicate nel citato art. 87 TUIR, comma 1, lett. da a) a d);

inoltre, i requisiti, di cui al comma 1, lett. c) e d), devono sussistere ininterrottamente, al momento del realizzo, almeno dall’inizio del terzo periodo d’imposta anteriore al realizzo stesso;

in particolare, il requisito della commercialità richiede che la società partecipata eserciti un’impresa commerciale, ai sensi dell’art. 55 Tuir, espressamente richiamato, che adotta una nozione più ampia di quella prevista nell’art. 2195 c.c., in quanto ricomprendente anche le attività agricole e quelle degli enti che svolgono le attività commerciali di cui all’art. 2195 c.c., ma in forma non organizzata;

a mente dell’art. 55 Tuir, ” sono redditi d’impresa quelli che derivano dall’esercizio di imprese commerciali. Per esercizio di imprese commerciali si intende l’esercizio per professione abituale, ancorchè non esclusiva, delle attività indicate nell’art. 2195 c.c., e delle attività indicate all’art. 32, comma 2, lett. b) e c) che eccedono i limiti ivi stabiliti, anche se non organizzate in forma di impresa… sono inoltre considerati redditi di impresa:…c) i redditi dei terreni, per la parte derivante dall’esercizio delle attività agricole di cui all’art. 32…”;

la ratio del legislatore è quella di concedere il beneficio dell’esenzione da imposta delle plusvalenze indicate nel comma 1 dell’art. 86 (“Le plusvalenze dei beni relativi all’impresa…. concorrono a formare il reddito…: a) se sono realizzate mediante cessione a titolo oneroso…” e, quindi, nel caso in esame, derivanti dalla cessione delle partecipazioni), purchè la società partecipata svolga effettivamente ed in concreto attività commerciale, seppure nella nozione allargata di cui all’art. 55 Tuir;

l’esercizio dell’impresa commerciale deve essere verificato, non solo in base alle indicazioni dell’oggetto sociale, ma anche con riferimento all’attività effettivamente esercitata, o potenzialmente esercitabile, idonea a soddisfare la domanda di mercato in tempi tecnici ragionevolmente previsti in base allo specifico settore economico di appartenenza (vedi sul punto i criteri interpretativi indicati nella circolare n. 7/E del 29/3/2013);

l’art. 87 TUIR, comma 1, lett. d), esclude, per espressa presunzione legislativa, che l’attività commerciale possa sussistere “relativamente alle partecipazioni in società il cui valore del patrimonio è prevalentemente costituito da beni immobili diversi dagli immobili alla cui produzione o al cui scambio è effettivamente diretta l’attività di impresa, dagli impianti e dai fabbricati utilizzati direttamente nell’esercizio d’impresa”, cioè nel caso delle società immobiliari di gestione ovvero delle società che si limitano alla detenzione e al mero godimento degli immobili;

la società partecipata non deve, quindi, svolgere attività di mero godimento dei beni, essendo escluse per presunzione assoluta le società di gestione immobiliare;

come è stato detto (da ultimo Cass. n. 12138/2019), la norma tende a disincentivare la costituzione di società-contenitore, da utilizzare per trasferire singoli cespiti immobiliari plusvalenti, sfruttando l’esenzione prevista per le plusvalenze relative alle partecipazioni;

si vuole, insomma, impedire che la cessione della partecipazione nella società immobiliare si ponga su un piano di teorica equivalenza rispetto alla cessione degli immobili;

ciò nel pieno rispetto della finalità espressa dalla norma, mirata a favorire la circolazione di complessi patrimoniali aventi caratteristica di imprese, disincentivando ogni attività elusiva mirata a trasferire nel concreto singoli beni;

perchè si possa considerare sussistente il requisito della commercialità è necessario che l’impresa sia dotata di una struttura – frutto di una attività di organizzazione e predisposizione delle risorse necessarie idonea all’avvio del processo produttivo in tempi ragionevoli in relazione all’oggetto dell’attività d’impresa;

come precisato nella circolare n. 7/E del 29 marzo 2013 dalla stessa Amministrazione Finanziaria, occorre distinguere la fase di start up in senso proprio, quale insieme di attività meramente preparatorie all’esercizio dell’attività d’impresa, dall’attività commerciale;

secondo l’Amministrazione possono considerarsi atti tipici della fase di start up, a titolo esemplificativo, “tutte le attività dirette a costituire, definire e rendere operativa la struttura aziendale, comprese quelle relative agli studi preparatori, all’ottenimento di permessi, licenze e autorizzazioni, alle ricerche di mercato, all’addestramento iniziale del personale, all’acquisizione delle risorse finanziarie e tecniche necessarie ad avviare l’attività dell’impresa”;

tale fase, che assume una diversa durata, complessità ed onerosità in relazione al settore economico di appartenenza ed al tipo di attività svolta, costituisce un fattore essenziale dell’attività commerciale ed, ancorchè non idonea autonomamente a configurare l’esercizio di attività commerciale, è suscettibile di assumere una connotazione commerciale, ai fini pex, nell’ipotesi in cui venga seguita dallo svolgimento dell’attività d’impresa;

in altri termini, secondo l’interpretazione contenuta nella circolare, il requisito della commercialità può considerarsi sussistente già nella fase di start up semprechè la società partecipata, dopo aver ultimato le fasi preparatorie ed essersi così dotata di un apparato organizzativo autonomo, inizi successivamente a svolgere l’attività per la quale è stata costituita;

venendo al caso in esame, il giudice di appello ha ritenuto deficitario, negli anni di riferimento, il requisito della “continuità commerciale”, poichè la società ricorrente non aveva fornito la prova dell’effettivo e continuativo esercizio dell’attività commerciale da parte della società partecipata;

la C.T.R. ha ritenuto, con un accertamento in fatto, insindacabile in sede di legittimità, nè impugnato per vizio di motivazione, che la ricorrente non avesse provato l’inizio in concreto di alcuna attività costruttiva (essendo a tal fine irrilevante la convenzione edilizia), nè che il finanziamento ottenuto nel 2004 fosse stato effettivamente utilizzato per l’attività imprenditoriale di costruzione di immobili destinati alla vendita;

inoltre, il giudice di appello ha rilevato la genericità dell’oggetto sociale della società partecipata, che fino al 2004 aveva avuto un volume di affari pari a zero ed aveva compiuto un solo negozio giuridico, consistente nell’accensione del mutuo (che, per altro, secondo la C.T.R., non era riconducibile con certezza all’attività di edificazione finalizzata alla vendita degli immobili);

in conclusione, secondo la ricostruzione in fatto del giudice di merito, che non è stata impugnata sotto il profilo del vizio motivazionale, non risulta che la società partecipata abbia mai svolto un’attività commerciale, sia pure meramente preparatoria, nè che abbia fornito idonea prova che l’attività effettivamente svolta (acquisto dell’immobile ed accensione del mutuo) fosse propedeutica ad un’attività commerciale, e non di mero godimento immobiliare, consistente nel semplice acquisto e nella ristrutturazione dell’immmobile (attesa anche l’estrema genericità dell’oggetto sociale);

pertanto non si ravvisa la denunziata violazione di legge, dedotta come vizio di sussunzione, ed il ricorso va rigettato, con conseguente condanna della ricorrente al pagamento, in favore dell’Agenzia delle entrate, delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento in favore dell’Agenzia delle Entrate delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.100,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito; sussistono i requisiti per porre a carico della ricorrente il pagamento del doppio contributo, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.

Così deciso in Roma, il 9 ottobre 2019.

Depositato in cancelleria il 12 dicembre 2019

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