Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.32652 del 12/12/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DIDONE Antonio – Presidente –

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

Dott. MACRI’ Ubalda – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23399/2018 proposto da:

J.S., elettivamente domiciliato in Roma Circ.ne Trionfale, 34 presso lo studio dell’avvocato Pepe Albertina che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’interno, in persona del Ministro pro tempore;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di CATANZARO, depositata il 14/06/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 04/10/2019 da Dott. FALABELLA MASSIMO.

FATTI DI CAUSA

1. – E’ impugnato per cassazione il decreto del Tribunale di Catanzaro, pubblicato il 14 giugno 2018, con cui è stato respinto il ricorso proposto da J.S.. Con quest’ultima pronuncia è stato negato che al ricorrente potesse essere riconosciuto lo status di rifugiato; è stato altresì escluso che lo stesso richiedente potesse essere ammesso alla protezione sussidiaria e a quella umanitaria.

2. – Il ricorso per cassazione si fonda su due motivi. Il Ministero dell’interno, intimato, non ha svolto difese.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Col primo motivo è lamentata la violazione dell’art. 8 CEDU e la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5. Rileva il ricorrente che il giudice di prima istanza, nel denegare la protezione umanitaria, non aveva fatto alcun riferimento alla tutela della sicurezza nazionale o all’esigenza di prevenzione dei reati, come pure alle necessità di protezione dell’ordine pubblico; il medesimo avrebbe omesso, in definitiva, di valutare se la mancata permanenza dello straniero, divenuto padre, nel territorio nazionale potesse per lui comportare un vulnus. Rileva, inoltre, il ricorrente che, contrariamente a quanto ritenuto dal Tribunale, il richiamo, da lui operato, alla disciplina di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 31 era diretto a sollecitare un giudizio interpretativo circa il portato del D.Lgs. n. 25 del 2008, “nell’ottica sistematica delle norme volte a favorire la tutela del minore”; alto stesso modo, secondo l’istante, il D.Lgs. n. 286 cit., art. 29 afferente il ricongiungimento familiare, avrebbe dovuto considerarsi norma che, per quanto non applicabile al caso di specie, sancisce “principi generali di tutela del rapporto genitoriale” che non possono essere disattesi.

Il secondo mezzo lamenta l’omessa valutazione di fatti decisivi della controversia, “corroboranti la protezione umanitaria”, e la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8. Il ricorrente si duole del fatto che il giudice del merito abbia omesso di valutare, quali fatti decisivi, la presenza, in Italia, della propria figlia e della madre di quest’ultima, oltre che la relazione di convivenza esistente tra lui, la compagna e la loro bambina. Rileva che il Tribunale non avrebbe potuto valorizzare fatti non ammessi dalla parte (quali la non convivenza dei coniugi è l’assenza di titolo di soggiorno in capo la madre della bambina) senza verificarne l’attendibilità. Assume, inoltre, di aver allegato motivi di ricorso relativi alla situazione del paese di origine che non erano stati presi in considerazione per il riconoscimento della protezione umanitaria: osserva che la valutazione di credibilità non possa esaurirsi “in proposizioni apodittiche che non trovano riscontro in informazioni oggettive allegate all’impianto motivazionale del provvedimento” e che al giudice del merito si imponeva di apprezzare la sussistenza delle condizioni per il riconoscimento della protezione umanitaria a prescindere dalle condizioni di propria credibilità.

2. – Il ricorso è infondato.

Emerge dal decreto impugnato che il ricorrente, nel giudizio di merito, aveva dedotto l’esistenza di una situazione di particolare vulnerabilità correlata alle conseguenze della disgregazione del proprio nucleo familiare: e ciò tenendo conto del diritto al rispetto della vita privata e familiare tutelato dall’art. 8 CEDU. Sul punto, il giudice di prima istanza ha osservato come anzitutto non potesse ritenersi sufficientemente provata la sussistenza di una vita familiare, a norma del cit. art. 8, visto che il ricorrente non aveva neanche allegato una situazione di convivenza, e anzi, nel corso dell’audizione avanti alla Commissione territoriale, aveva riferito che la propria relazione con la madre della bambina era cessata una volta che il medesimo era stato spostato in un diverso centro di accoglienza. Il Tribunale ha poi evidenziato che il richiamo, formulato nel ricorso, al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 31 era improprio, giacchè il permesso temporaneo concesso ai genitori stranieri per gravi motivi connessi allo sviluppo psicofisico del minore è di competenza del tribunale per i minorenni. Ha infine sottolineato come in base alla giurisprudenza della Corte EDU e di questa Corte il diritto all’unità familiare incontrasse limitazioni.

Ciò detto, si palesa anzitutto non conferente il rilievo per cui il Tribunale non potesse attribuire rilievo alla mancata allegazione di fatti quali la convivenza tra di lui e la madre della bimba. Evidentemente l’istante sovrappone il tema dell’allegazione a quello della prova, rispetto al quale opera il principio della c.d. cooperazione istruttoria. La proposizione del ricorso al tribunale nella materia della protezione internazionale non esime invece il ricorrente dall’onere di indicare i fatti costitutivi del diritto azionato, pena l’impossibilità per il giudice di introdurli d’ufficio nel giudizio (Cass. 28 settembre 2015, n. 19197; Cass. 29 ottobre 2018, n. 27336).

In mancanza di una tale allegazione, dunque (e anzi in presenza di indicazioni di segno contrario desunte da quanto dichiarato dal richiedente alla Commissione), il Tribunale non avrebbe dunque potuto esimersi dal basare la propria decisione sulla ipotizzata dissoluzione del nucleo familiare.

Peraltro, la condizione di vulnerabilità è riconosciuta, in base al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 2, comma 1, lett. h-bis, come modificato dal D.Lgs. n. 142 del 2015, art. 25, comma 1, lett. b, n. 1, ai “genitori singoli con figli minori” (sul punto cfr. Cass. 10 luglio 2019, n. 18540): condizione di certo non riconducibile all’odierno ricorrente.

Quanto alla censura ex art. 360 c.p.c., n. 5, essa va disattesa. Anzitutto, rettamente il Tribunale ha mancato di basare il proprio giudizio sulla convivenza tra i genitori della bambina: questa non era stata infatti allegata. La presenza della bimba e della madre in Italia, poi, risulta sostanzialmente riconosciuta dal giudice di merito (pag. 8 del decreto impugnato). Secondo quanto osservato in precedenza, le indicate evenienze sono comunque prive di decisività.

L’istante mostra inoltre di raccordare la protezione umanitaria alla generica situazione del paese di origine: ma un’allegazione in tal senso non emerge dal decreto impugnato, nè l’istante spiega ove sia stata formulata in sede di merito; peraltro, la temuta violazione dei diritti umani deve necessariamente correlarsi alla vicenda personale del richiedente, perchè altrimenti si finirebbe per prendere in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo paese d’origine in termini del tutto generali ed astratti in contrasto col parametro normativo di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, (Cass. 23 febbraio 2018, n. 4455, in motivazione; Cass. 2 aprile 2019, n. 9304).

Nè coglie nel segno la deduzione svolta dall’istante con riguardo alla credibilità del narrato. Infatti, il giudizio sulla inattendibilità della vicenda raccontata dal ricorrente è stato formulato dal Tribunale con riferimento alle domande aventi ad oggetto lo status di rifugiato e la protezione sussidiaria. Rammentato che i criteri posti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, trovano applicazione anche in tema di protezione umanitaria (Cass. 24 settembre 2012, n. 16221) e che, in linea di principio, la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito (Cass. 5 febbraio 2019, n. 3340), risulta assorbente, ai fini che qui interessano, il fatto che le uniche ragioni di protezione umanitaria che il decreto impugnato assume essere state prospettate dall’istante sono quelle correlate alla sua recente paternità: poichè infatti il ricorrente non spiega in che modo, con riferimento alla domanda di protezione umanitaria, siano state fatte valere situazioni diverse – che, si è detto, il giudice non poteva del resto introdurre d’ufficio – la censura in questione appare per ciò solo inammissibile. Infatti, ove con il ricorso per cassazione siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella pronuncia impugnata, è onere della parte ricorrente, al fine di evitarne una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta loro deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso stesso, di indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Suprema Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito della suddetta questione (Cass. 9 agosto 2018, n. 20694; Cass. 13 giugno 2018, n. 15430).

3. – In conclusione, il ricorso è respinto.

4. – Nulla è da statuire in punto di spese.

P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso; ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione prima Civile, il 4 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 12 dicembre 2019

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