Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.32663 del 12/12/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. ARIOLLI Giovanni – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 21819-2018 proposto da:

O.P., domiciliato in ROMA, presso la Cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall’Avvocato GIULIO M. ARABINI giusta procura speciale estesa in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE DI BOLOGNA n. 1368/2018, depositato il 28.5.2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio dell’11.10.2019 dal Consigliere Dott.ssa DELL’ORFANO ANTONELLA.

RILEVATO IN FATTO

CHE:

O.P. propone ricorso, affidato a due motivi, per la cassazione del decreto indicato in epigrafe, con cui il Tribunale di Bologna aveva respinto il ricorso presentato contro il provvedimento della Commissione territoriale di diniego della richiesta di protezione internazionale, sub specie di riconoscimento dello status di rifugiato e di protezione sussidiaria, e, in subordine, di protezione umanitaria;

la domanda del ricorrente era stata motivata in ragione dei rischi di rientro nel suo Paese d’origine (Nigeria, regione del Delta State) dovuti al suo vissuto personale, narrando di essersi trasferito con la famiglia nel Borno State dopo aver perso la loro unica fonte di sostentamento (a causa dell’incendio del suo negozio) e di essere fuggito dopo un mese a causa degli attacchi di *****, a seguito dei quali avevano perso la vita il padre, la matrigna ed il fratellastro, motivo per il quale, temendo per la propria incolumità, aveva raggiunto dapprima la Libia e poi l’Italia;

il Ministero dell’Interno è rimasto intimato.

CONSIDERATO IN DIRITTO

CHE:

1.1. con il primo ed il secondo motivo di ricorso si denuncia “violazione e falsa applicazione degli art. 2, lett. e, artt. 4, 9, 15 e 20 Direttiva 2004/83/CE e del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, lett. g ed art. 14 e omesso esame degli elementi di fatto in relazione al mancato riconoscimento della protezione sussidiaria”, nonchè ” violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 5 e art. 19, ed omessa motivazione in relazione al mancato riconoscimento della protezione umanitaria” per avere il Tribunale ritenuto non credibile la vicenda narrata, senza attivare i poteri istruttori officiosi, al fine di accertare il rischio grave di minaccia in caso di rimpatrio in Nigeria;

1.2. le censure, da esaminare congiuntamente, risultano inammissibili;

1.3. in materia di protezione internazionale questa Corte di legittimità si è da tempo espressa nel senso che la valutazione in ordine alla credibilità soggettiva del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al Giudice del merito, il quale deve stimare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, in forza della griglia valutativa di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, lett. c);

1.4. l’apprezzamento, di fatto, risulta censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le partì, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (cfr. Cass. n. 3340/2019);

1.5. poste tali premesse, la valutazione sul punto svolta dai Giudici di merito si sottrae a sindacato di questa Corte di legittimità, avendo il Tribunale, con ampia e coerente motivazione (il che esclude la sussistenza del lamentato vizio di motivazione), ritenuto non credibile la narrativa del richiedente in quanto generica, inverosimile e contraddittoria;

1.6. il ricorrente, a fronte dell’indicata motivazione reitera, quindi, inammissibilmente dinanzi a questa Corte di legittimità l’contenuti di quel racconto sostenendone il carattere circostanziato, plausibile e lineare, nell’osservanza del dedotto ragionevole sforzo richiesto dalla norma, senza nulla aggiungere in termini di concludente critica;

1.7. la censura, svolta con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, denunciando violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2 ss., con riferimento alla credibilità della vicenda personale narrata dal richiedente protezione, è inoltre inammissibile anche considerando che il ricorrente ha dedotto in modo del tutto generico la violazione delle norme di legge sopra indicate, attraverso il richiamo delle disposizioni asseritamente disattese e tramite una ricostruzione della fattispecie concreta difforme da quella accertata dal Tribunale, sebbene questa Corte abbia più volte affermato il principio, secondo il quale “in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità” se non nei limiti del vizio di motivazione come indicato dall’art. 360 c.p.c., comma, n. 5, nel testo riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134 (Cass. 24155/2017; 195/2016; 26110/2015) ed “il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi – violazione di legge in senso proprio a causa dell’erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta – è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa” (cfr. Cass. n. 7394/2010);

1.8. in relazione, poi, alla censura di mancata valutazione dei generale contesto politico e ordinamentale del Paese di provenienza deve rilevarsi che il Tribunale ha correttamente esaminato anche la situazione della Nigeria, regioni del Delta State e dell’Edo State – individuati dal Tribunale come “stati di nascita e di provenienza del richiedente”, rilevando al contempo l’inattendibilità delle dichiarazioni del ricorrente “in ordine alla permanenza in Borno State”, ed evidenziando altresì che “il limitato periodo là trascorso non sarebbe comunque tale da radicarne la provenienza” -, come evincibile da report ufficiali aggiornati, puntualmente citati in motivazione (report UNHCR, Human Rights Watch, EASO), ed ha escluso l’esistenza di condizioni rilevanti ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), rilevando che la zona di provenienza del richiedente – regioni del Delta State e dell’Edo State- era immune da situazioni di violenza indiscriminata;

1.9. da ogni punto di vista quindi l’indagine che il caso richiedeva è stata fatta e la sottostante valutazione attiene al merito;

1.10. quanto all’asserzione secondo cui il Tribunale di Bologna si sarebbe limitato a generiche affermazioni circa l’assenza di rischi in caso di rientro coatto del richiedente nel suo paese, non tenendo conto delle diverse risultanze emerse dalla documentazione costituita da altre fonti internazionali (neppure specificamente indicate) è sufficiente osservare che la censura attiene al fatto, ed è come tale paradigmaticamente inammissibile, giacchè, come è noto, il ricorso per cassazione conferisce al Giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale, ma solo la facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico formale, delle argomentazioni svolte dal Giudice di merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze dei processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (cfr. Cass. nn. 24679/2013, 27197/2011, 7921/2011, 20455/2006, 7846/2006, 18134/2006, 2357/2004);

1.11. le censure sono inammissibili anche con riguardo alla protezione umanitaria, misura atipica e residuale nel senso che essa copre situazioni, da individuare caso per caso, in cui, pur non sussistendo i presupposti per il riconoscimento della tutela tipica (status di rifugiato o protezione sussidiaria), tuttavia non possa disporsi l’espulsione e debba provvedersi all’accoglienza del richiedente che si trovi in situazione di vulnerabilità (cfr. Cass. n. 23604/2017);

1.12. il ricorrente non ha, infatti, allegato ragioni personali di vulnerabilità diverse da quelle esaminate dal Tribunale anche per le altre forme di protezione, la cui statuizione è stata dianzi esaminata, e la riscontrata non individualizzazione dei motivi umanitari non può esser surrogata dalla situazione generale del Paese, su cui è interamente articolato il motivo, perchè altrimenti si finirebbe per prendere in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo Paese d’origine in termini del tutto generali ed astratti;

1.13. la sentenza impugnata, peraltro, ha accertato, come si è detto, l’insussistenza di condizioni di insicurezza nella zona di provenienza del richiedente, idonee ad integrare le fattispecie legali per il riconoscimento della protezione internazionale, con riguardo sia al pericolo di atti persecutori nei confronti del richiedente, sia alla violenza indiscriminata derivante da conflitto armato, sia implicitamente al rischio di subire la violazione dei diritti fondamentali;

1.14. si tratta, anche in tal caso, di un apprezzamento di fatto, con il quale è stata esclusa la sussistenza delle condizioni sostanziali per il riconoscimento della protezione richiesta, che inammissibilmente il ricorrente vorrebbe sovvertire;

1.15. va poi evidenziato che la mancata credibilità del racconto svolge un ruolo rilevante anche ai fini della protezione umanitaria, atteso che, ai fini di valutare se il richiedente abbia subito una effettiva e significativa compromissione dei diritti fondamentali inviolabili essa dev’essere correlata alla condizione personale che ha determinato le ragioni della partenza, secondo le allegazioni del richiedente, la cui attendibilità soltanto consente l’attivazione dei poteri officiosi (cfr. Cass. 4455/2018);

2. sulla scorta di quanto sin qui illustrato, il ricorso va dichiarato inammissibile;

3. nulla sulle spese stante la mancata difesa dell’Amministrazione;

4, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti per il pagamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13 comma 1 quater, statuizione che la Corte è tenuta ad emettere in base al solo elemento oggettivo, costituito dal tenore della pronuncia (di inammissibilità, improcedibilità o rigetto del ricorso, principale o incidentale), senza alcuna rilevanza delle condizioni soggettive della parte, come l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato (cfr. Cass. n. 9660/2019; SU n. 23535/2019 in motiv.)

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Corte di Cassazione, Prima Sezione Civile, il 11 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 12 dicembre 2019

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