LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –
Dott. TRIA Lucia – Consigliere –
Dott. SAMBITO Maria G.C. – Consigliere –
Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –
Dott. PAZZI Alberto – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso n. 6669/2018 proposto da:
O.A., elettivamente domiciliata in Roma, piazza Cavour, presso la Cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentata e difesa dall’Avvocato Alessandro Praticò giusta procura speciale in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura Gen. dello Stato, che lo rappresenta e difende ope legis;
– controricorrente –
avverso il decreto del TRIBUNALE di BRESCIA depositato il 15/1/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 16/10/2019 dal cons. Alberto Pazzi.
RILEVATO IN FATTO
che:
1. con decreto depositato in data 15 gennaio 2018 il Tribunale di Brescia respingeva il ricorso proposto da O.A., cittadina nigeriana proveniente dall’Edo State, avverso il provvedimento di diniego di protezione internazionale emesso dalla competente Commissione territoriale al fine di domandare il riconoscimento dello status di rifugiato politico, del diritto alla protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex artt. 14 e ss. o alla protezione umanitaria previsto dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6;
in particolare il Tribunale, dopo aver sottolineato le incongruenze presenti nel racconto della migrante (la quale aveva dichiarato di essersi allontanata da casa all’età di dieci anni per non accondiscendere alle richieste del padre di sposare un uomo molto più anziano, vivendo poi per strada fino a quando era fuggita in Libia per sottrarsi alle insistenze del genitore), riteneva che la non credibilità delle dichiarazioni rese impedisse l’accoglimento della domanda di riconoscimento dello status di rifugiato o della protezione sussidiaria formulata ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b);
il collegio di merito rilevava poi l’assenza di alcuna allegazione rispetto alla richiesta di riconoscimento della protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c), evidenziando per completezza che l’attuale situazione della regione di origine non era caratterizzata da una generalizzata e indiscriminata violenza derivante da conflitto armato; infine, rispetto alla richiesta di protezione umanitaria, il Tribunale, pur dubitando che la ricorrente potesse essere stata oggetto di tratta, rilevava che la stessa aveva assolutamente negato di essere un soggetto avente diritto alla protezione in quanto vittima di un simile traffico, confutando di doversi prostituire per vivere, di modo che la domanda non poteva che essere respinta, in conseguenza dell’esclusione ad opera della stessa migrante di un reale fattore soggettivo di vulnerabilità;
il collegio di merito osservava infine che le criticità pur esistenti nel paese di provenienza non davano luogo a una emergenza umanitaria generalizzata;
2. ricorre per cassazione avverso questa pronuncia Angie Okokpuje al fine di far valere due motivi di impugnazione;
l’intimato Ministero dell’Interno non ha svolto alcuna difesa;
considerato che:
3.1 il primo motivo di ricorso deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3, 5,6,7 e 14 e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, oltre al vizio di motivazione, in quanto il Tribunale, rispetto alla domanda di riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria, avrebbe ritenuto non solo la ricorrente non credibile, ma anche che la persecuzione da parte del padre fosse assolutamente smentita dalle risultanze processuali, quando al più poteva risultare non provata;
inoltre il primo giudice, pur avendo riconosciuto la presenza di chiari indicatori di tratta, avrebbe escluso il diritto al rifugio e alla protezione umanitaria solo perchè la migrante avrebbe negato di prostituirsi, quando la valutazione nel merito della domanda di asilo non poteva essere posta in collegamento con la volontà della vittima di fornire testimonianza contro gli sfruttatori nè poteva essere condizionata al contributo dato per identificare e perseguire i trafficanti;
infine il Tribunale non avrebbe ravvisato l’esistenza dei presupposti per riconoscere la protezione sussidiaria ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), a dispetto delle gravissime e reiterate iniziative delittuose di ***** nella regione di provenienza della migrante e dell’esistenza di una situazione caratterizzata da forti criticità a livello politico e sociale, che comprometteva la tutela e la garanzia dei diritti fondamentali dell’essere umano, nè si sarebbe preoccupato di colmare i margini di dubbio o di incertezza sulla gravità della situazione esistente tramite l’esercizio del potere istruttorio officioso previsto dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8;
3.2 il motivo è, nel suo complesso, inammissibile;
3.2.1 in materia di protezione internazionale il richiedente è tenuto ad allegare i fatti costitutivi del diritto alla protezione richiesta e, ove non impossibilitato, a fornirne la prova, trovando deroga il principio dispositivo, soltanto a fronte di un’esaustiva allegazione, attraverso l’esercizio del dovere di cooperazione istruttoria e di quello di tenere per veri i fatti che lo stesso richiedente non è in grado di provare nel caso in cui questi, oltre ad essersi attivato tempestivamente alla proposizione della domanda e ad aver compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziarla, superi positivamente il vaglio di credibilità soggettiva condotto alla stregua dei criteri indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 (Cass. 15794/2019);
questa valutazione di affidabilità del dichiarante è il risultato di una procedimentalizzazione legale della decisione, che deve essere svolta alla luce dei criteri specifici indicati all’interno del citato art. 3, oltre che di criteri generali di ordine presuntivo idonei a illuminare il giudice circa la veridicità delle dichiarazioni rese (Cass. 20580/2019);
la norma in parola obbliga in particolare il giudice a sottoporre le dichiarazioni del richiedente, ove non suffragate da prove, non soltanto a un controllo di coerenza interna ed esterna, ma anche a una verifica di credibilità razionale della concreta vicenda narrata a fondamento della domanda (Cass. 21142/2019);
il giudice di merito si è ispirato a questi criteri laddove, all’esito dell’esame delle dichiarazioni rese dal migrante nelle varie sedi, ha rilevato – come previsto dall’art. 3, comma 5, lett. c, appena citato che il racconto offerto dalla richiedente asilo non era stato adeguatamente circostanziato nè risultava plausibile in diversi punti sotto il profilo della credibilità razionale della concreta vicenda narrata; una volta constatato come la valutazione di credibilità delle dichiarazioni della richiedente asilo sia il risultato di una decisione compiuta alla stregua dei criteri indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, è sufficiente aggiungere che la stessa costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito censurabile in questa sede solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile;
si deve invece escludere l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura e interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, nel senso proposto dal ricorrente, trattandosi di censura attinente al merito;
censure di questo tipo si riducono infatti all’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa, che però è estranea all’esatta interpretazione della norma e inerisce invece alla tipica valutazione del giudice di merito, la quale è sottratta al sindacato di legittimità (Cass. 3340/2019);
3.2.2 il Tribunale, pur dubitando che la migrante potesse essere stata oggetto di tratta, non ha affatto preteso una testimonianza della migrante contro i suoi presunti sfruttatori o un contributo per identificare gli stessi ai fini del giudizio di credibilità o della valutazione della fondatezza della domanda di protezione umanitaria;
ben diversamente il collegio di merito, laddove ha preso atto della totale negazione di una simile condizione e della conseguenziale esclusione operata dalla stessa migrante del correlato fattore di vulnerabilità soggettiva, ha inteso fare concreta applicazione del principio di allegazione dei fatti posti a sostegno della domanda, sicchè il ricorrente non solo ha l’onere di indicare i fatti costitutivi del diritto azionato, pena l’impossibilità per il giudice di introdurli d’ufficio nel giudizio (Cass. 17069/2018, Cass. 27336/2018, Cass. 3016/2019), ma non può certo pretendere che il giudice di merito valorizzi gli elementi di fatto, non addotti, di cui egli stesso abbia smentito l’esistenza;
la censura non coglie nè critica gli argomenti addotti in questo senso dal giudice di merito e risulta pertanto inammissibile, dato che il ricorso per cassazione deve giocoforza contestare in maniera specifica la ratio decidendi posta a fondamento della pronuncia impugnata (Cass. 19989/2017);
3.2.3 quanto poi al riconoscimento della protezione sussidiaria ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), la doglianza presentata non censura il principale argomento offerto dal collegio per rigettare la relativa domanda, costituito dalla mancata allegazione – in conformità al principio appena illustrato – dell’esistenza di condizioni di violenza generalizzata e indiscriminata derivante da conflitto armato, e si limita a criticare gli argomenti illustrati “per completezza”;
a fronte delle plurime ragioni offerte, distinte e autonome fra loro, la contestazione soltanto dell’ultima argomentazione offerta dalla decisione impugnata rende inammissibile l’intera impugnazione proposta (Cass. 11222/2017 e Cass. 18641/2017);
per di più l’unica censura sollevata in realtà cerca di sovvertire l’esito dell’esame dei rapporti informativi valutati dal Tribunale, malgrado l’accertamento del verificarsi di una situazione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale, rilevante a norma del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), costituisca un apprezzamento di fatto di esclusiva competenza del giudice di merito non censurabile in sede di legittimità (Cass. 32064/2018).
4.1 il secondo motivo denuncia l’intervenuta violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3,D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 e D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, oltre al vizio di motivazione, in quanto il Tribunale, nell’escludere la condizione vulnerabilità della ricorrente, non avrebbe considerato non solo la persecuzione vissuta dalla ricorrente nel corso della sua esperienza di tratta, ma anche quella a cui la stessa andrebbe incontro in caso di rimpatrio;
inoltre il giudice di merito non avrebbe considerato se la prospettazione di un quadro generale di violenza diffusa e indiscriminata fosse idoneo a integrare una situazione di vulnerabilità, dato che la ricorrente non doveva dedurre ragioni diverse o alternative rispetto a quelle prospettate per le protezioni maggiori;
4.2 il motivo è, nel suo complesso, inammissibile;
4.2.1 il primo profilo di censura attiene a una questione (possibile futura soggezione a tratta in caso di rimpatrio), comportante accertamenti in fatto, che non è stata affrontata nella decisione impugnata;
la ricorrente avrebbe pertanto preliminarmente dovuto chiarire, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso, se tale questione fosse stata effettivamente e tempestivamente devoluta alla cognizione del giudice di merito;
4.2.2 il Tribunale, all’esito del giudizio di non credibilità, lungi dal trascurare la situazione rappresentata ai fini di conseguire le forme di protezione maggiori, ha ritenuto che la richiedente asilo non fosse meritevole neppure della protezione umanitaria in quanto le criticità del paese di provenienza, pur esistenti, non davano luogo a una emergenza umanitaria generalizzata;
a fronte di tali accertamenti – che rientrano nel giudizio di fatto demandato al giudice di merito – la doglianza intende nella sostanza proporre una diversa lettura dei fatti di causa, traducendosi in un’inammissibile richiesta di rivisitazione del merito (Cass. 8758/2017);
5. in forza dei motivi sopra illustrati il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile;
le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 2.100, oltre a spese prenotate a debito.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.
Così deciso in Roma, il 16 ottobre 2019.
Depositato in Cancelleria il 12 dicembre 2019