Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Sentenza n.32703 del 12/12/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente –

Dott. RAIMONDI Guido – Consigliere –

Dott. NEGRI DELLE TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. BOGHETICH Elena – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 11169-2018 proposto da:

IMPRESA TERMINALISTA DI CAGLIARI – ITERC S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliata in ROMA PIAZZA CAVOUR presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato EDULCIA PIRAS;

– ricorrente –

contro

T.D., domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato GIACOMO DOGLIO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 55/2018 della CORTE D’APPELLO di CAGLIARI, depositata il 13/02/2018 R.G.N. 380/2017;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 22/10/2019 dal Consigliere Dott. BOGHETICH ELENA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CELESTE ALBERTO che ha concluso per inammissibilità, in subordine rigetto;

udito l’Avvocato STEFANO MATTEI per delega verbale Avvocato EDULCIA PIRAS;

udito l’Avvocato CINZIA SARNACCHIOLI.

FATTI DI CAUSA

1. La Corte di appello di Cagliari, con sentenza n. 55 depositata il 13.2.2018, ha confermato la sentenza del Tribunale della medesima sede ed ha ritenuto illegittimo il licenziamento per giusta causa intimato da Impresa terminalista di Cagliari – ITERC s.r.l., con lettera dell’8.4.2016, a T.D. per abuso dei permessi della L. n. 104 del 1992, ex art. 33, comma 3.

2. La Corte di appello, ha, in sintesi, osservato, che non poteva ritenersi raggiunta la prova dell’abuso di tre permessi della L. n. 104 del 1992, ex art. 33, comma 3, risultando – dalla relazione dell’agenzia investigativa (incaricata dal datore di lavoro) nonchè dalle prove testimoniali – che il T. nelle giornate del 12 e 15 febbraio e 18 marzo 2016 aveva prestato assistenza al proprio zio, recandosi presso la sua abitazione o presso il suo medico curante ovvero effettuando acquisti a lui dedicati ovvero effettuando presenza notturna, anche mediante ospitalità presso casa propria.

3. Per la cassazione di tale sentenza la società ha proposto ricorso affidato a un motivo. Il sig. T. ha resistito con controricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo ed unico motivo di ricorso si deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, avendo, la Corte territoriale, omesso di considerare – con riguardo alla giornata del 12.2.2016 – che il lavoratore aveva dichiarato in udienza che “alla sera mi sono recato da mio zio a *****, sulle 22/23 della sera”, con ciò rendendo evidente che il T. si era recato a casa dello zio disabile al massimo per 2 ore della giornata; con riguardo alla giornata del 15.2.2016, la Corte ha omesso di considerare che il T. aveva dichiarato, nel ricorso introduttivo del giudizio, di essere rimasto a casa dello zio fino alle ore 9,00 e le indagini investigative avevano dimostrato che lo stesso era uscito da quella abitazione alle 9.40, risultando inoltre, che si era recato nuovamente dallo zio presumibilmente verso le 22,00; con riguardo alla giornata del 18 marzo 2016, la Corte territoriale ha omesso di valutare le dichiarazioni rese dal T. dalle quali emergeva che lo zio disabile non fu trasportato a casa della sorella P. il giorno precedente.

2. Il ricorso è inammissibile.

Non può sottacersi che le svolte censure si traducono in critiche ed obiezioni avverso la valutazione delle risultanze istruttorie quale operata dal giudice del merito nell’esercizio del potere di libero e prudente apprezzamento delle prove a lui demandato dall’art. 116 c.p.c. e si risolvono altresì nella prospettazione del risultato interpretativo degli elementi probatori acquisiti, ritenuto dallo stesso ricorrente corretto ed aderente alle suddette risultanze, con involgimento, così, di un sindacato nel merito della causa non consentito in sede di legittimità (cfr. in motivazione, ex plurimis, Cass. n. 22283 del 2014).

Secondo l’orientamento espresso dalle Sezioni Unite (sentenza n. 8053 del 2014) e dalle successive pronunce conformi (cfr. Cass., n. 27325 del 2017; Cass., n. 9749 del 2016), l’omesso esame deve riguardare un fatto, inteso nella sua accezione storico – fenomenica, principale (ossia costitutivo, impeditivo, estintivo o modificativo del diritto azionato) o secondario (cioè dedotto in funzione probatoria), la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali e che abbia carattere decisivo.

L’interpretazione di questa Corte (da ultimo, Cass. n. 27415 del 2018) ha chiarito come l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, abbia introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per Cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia).

Pertanto, l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. Sez. U, 07/04/2014, n. 8053). Costituisce, pertanto, un “fatto”, agli effetti dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, non una “questione” o un “punto”, ma un vero e proprio “fatto”, in senso storico e normativo, un preciso accadimento ovvero una precisa circostanza naturalistica, un dato materiale, un episodio fenomenico rilevante (Cass. Sez. 1, 04/04/2014, n. 7983; Cass. Sez. 1, 08/09/2016, n. 17761; Cass. Sez. 5, 13/12/2017, n. 29883; Cass. Sez. 5, 08/10/2014, n. 21152; Cass. Sez. U., 23/03/2015, n. 5745; Cass. Sez. 1, 5/03/2014, n. 5133).

Non costituiscono, viceversa, “fatti”, il cui omesso esame possa cagionare il vizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, le argomentazioni o deduzioni difensive (Cass. Sez. 2, 14/06/2017, n. 14802: Cass. Sez. 5, 08/10/2014, n. 21152); gli elementi istruttori; una moltitudine di fatti e circostanze, o il “vario insieme dei materiali di causa” (Cass. Sez. L, 21/10/2015, n. 21439).

E’ quindi inammissibile l’invocazione del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, per sostenere il mancato esame di deduzioni istruttorie, di documenti, di eccezioni di nullità della sentenza non definitiva e degli atti conseguenti, di critiche rivolte agli elaborati peritali (ovvero di semplici allegazioni difensive a contenuto tecnico), o della “non contestazione dell’avvenuta usucapione” (un fatto che non sia stato “oggetto di discussione tra le parti” è, d’altro canto, fuori dall’ambito dell’art. 360 c.p.c., n. 5, per sua stessa definizione), o per lamentarsi di una “motivazione non corretta”.

3. Ulteriore profilo di inammissibilità del ricorso è rappresentato dalla pronuncia “doppia conforme”.

L’art. 348 ter c.p.c., comma 5, prescrive che la disposizione di cui al comma 4 – ossia l’esclusione del n. 5, dal catalogo dei vizi deducibili di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1 – si applica, fuori dei casi di cui all’art. 348 bis, comma 2, lett. a), anche al ricorso per cassazione avverso la sentenza d’appello che conferma la decisione di primo grado, con la conseguenza che il vizio di motivazione non è deducibile in caso di impugnativa di pronuncia c.d. doppia conforme.

Nel caso di specie, per l’appunto, la Corte ha confermato, in sede di reclamo, la statuizione del Tribunale (emessa in sede di opposizione), che aveva rinvenuto l’illegittimità del licenziamento per aver accertato l’effettuazione, da parte del T., di prestazione legata all’assistenza dello zio disabile nelle giornate contestate.

Quando la ricostruzione delle emergenze probatorie effettuata dal Tribunale sia stata confermata dalla Corte d’appello, com’è nel caso, il ricorrente in cassazione, per evitare l’inammissibilità del motivo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, deve indicare le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass. n. 5528 del 10/03/2014), ciò che nel caso non è stato fatto.

4. In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Le spese di lite del presente giudizio seguono il criterio della soccombenza dettato dall’art. 91 c.p.c. e sono liquidate come da dispositivo.

5. Il ricorso è stato notificato in data successiva a quella (31/1/2013) di entrata in vigore della legge di stabilità del 2013 (L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17), che ha integrato il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, aggiungendovi il comma 1 quater, del seguente tenore: “Quando l’impugnazione, anche incidentale è respinta integralmente o è dichiarata inammissibile o improcedibile, la parte che l’ha proposta è tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, principale o incidentale, a norma art. 1 bis. Il giudice da atto nel provvedimento della sussistenza dei presupposti di cui al periodo precedente e l’obbligo di pagamento sorge al momento del deposito dello stesso”. Essendo il ricorso in questione (avente natura chiaramente impugnatoria) integralmente da respingersi, deve provvedersi in conformità.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in Euro 200,00 per esborsi nonchè in Euro 5.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del art. 13, comma 1 bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, il 22 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 12 dicembre 2019

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