Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.32749 del 12/12/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. MANZON Enrico – Consigliere –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. MUCCI Roberto – Consigliere –

Dott. MELE Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 10198/2015 R.G. proposto da:

Trendintex Srl, rappresentata e difesa dagli Avv.ti Marco Turci e Alessandro Fruscione, con domicilio eletto presso quest’ultimo in Roma via Giambattista Vico n. 22, giusta procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle dogane, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

– resistente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Toscana n. 419/30/14, depositata il 24 febbraio 2014;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 4 luglio 2019 dal Consigliere Fuochi Tinarelli Giuseppe.

RILEVATO

CHE:

A seguito di verifica fiscale nei confronti della F.V. Spa, titolare di un deposito Iva D.L. n. 331 del 1993 ex art. 50 bis, emergeva che la Trendintex Srl aveva omesso il versamento dell’Iva all’importazione – in relazione alla dichiarazione doganale IM4 n. ***** del 5/10/2006 – attesa l’immissione solo virtuale di merce extra UE nel detto deposito, così avvalendosi indebitamente del trattamento agevolativo della sospensione del pagamento dell’Iva ivi prevista, ragion per cui l’Agenzia delle dogane notificava avviso di rettifica per il recupero dell’imposta non versata e atto di contestazione e di irrogazione di sanzione.

L’impugnazione era, previa riunione dei ricorsi, respinta dalla CTP di Firenze, decisione poi confermata dal giudice d’appello.

Trendintex Srl propone ricorso per cassazione con sei motivi. L’Agenzia delle dogane ha depositato atto di costituzione ai fini della partecipazione all’udienza di discussione.

CONSIDERATO

CHE:

1. Il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione del D.L. n. 331 del 1993, art. 50 bis, comma 4, lett. b, per aver la CTR ritenuto le merci non transitate per i locali del deposito fiscale.

1.1. Il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2 e 10 direttiva 77/388/CEE, 2 direttiva 2006/112/CE, 2 Reg. n. 1553/1989/CEE, del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 1, 17, 19, 23, 60, 67, del D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 6, comma 9 bis, per l’illegittima duplicazione d’imposta, già assolta in reverse charge.

1.2. Il terzo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. per omessa pronuncia sulla pretesa sanzionatoria.

Nell’articolazione del motivo denuncia altresì l’eccessività della sanzione in relazione alla sentenza 17 luglio 2014 in C-272/13, Equoland, intervenuta dopo la pronuncia della decisione d’appello.

1.3. Il quarto motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 444 c.p.p. per l’errata valutazione della sentenza penale di patteggiamento da parte della CTR.

1.4. Il quinto motivo denuncia violazione del D.L. n. 331 del 1993, artt. 50 bis, comma 4, conv. nella L. n. 427 del 1993, del D.M. n. 319 del 1997, artt. 2,3 e 4, del D.L. n. 185 del 2008, art. 16, comma 5 bis, conv. Nella L. n. 2 del 2009, dell’art. 16 direttiva 1977/388/CEE e dell’art. 157 direttiva 2006/112/CE, deducendo l’inesistenza di un obbligo di introduzione fisica nel deposito.

1.5. Il sesto motivo denuncia nullità della sentenza per omessa motivazione in ordine al rigetto di motivi d’appello da parte della CTR.

2. Il primo motivo è inammissibile poichè, pur formulato come violazione di legge, è diretto, in realtà, a censurare l’accertamento in fatto e l’adeguatezza della motivazione della CTR in relazione al mancato inserimento fisico della merce nel deposito fiscale.

2.1. Parimenti inammissibile è il quarto motivo, anch’esso traducendosi in una censura sull’interpretazione della decisione emessa in sede penale, correttamente apprezzata dalla CTR come mero ulteriore elemento aggiuntivo rispetto alla ricostruzione dei fatti derivante dalla complessiva valutazione delle prove in giudizio.

3. Il secondo, il terzo e il quinto motivo sono fondati nei termini che seguono.

3.1. Va preliminarmente rilevato che in tema di depositi fiscali ai fini Iva, previsti dal D.L. n. 331 del 1993, art. 50 bis, convertito, con modificazioni, nella L. n. 427 del 1993, l’esenzione dall’Iva all’importazione per l’ammissione in libera pratica di beni non comunitari presuppone l’effettivo immagazzinamento della merce, essendo la materialità del deposito, anche se non esplicitamente prevista dalla norma, insita nella stessa nozione civilistica del termine e richiesta dalla corrispondente disciplina comunitaria (artt. 98-110 CDC, applicabile ratione temporis), con la conseguenza che, in mancanza di tale presupposto, l’Iva all’importazione è dovuta, in via solidale, da tutti i soggetti che abbiano concorso all’irregolare introduzione della merce.

Siffatta conclusione non è incisa dall’invocato D.L. n. 185 del 2008, art. 16, comma 5-bis, conv. dalla L. n. 2 del 2009, secondo cui “il D.L. 30 agosto 1993, n. 331, art. 50-bis, comma 4, lett. h), convertito, con modificazioni, dalla L. 29 ottobre 1993, n. 427, si interpreta nel senso che le prestazioni di servizi ivi indicate, relative a beni consegnati al depositario, costituiscono ad ogni effetto introduzione nel deposito i.v.a.”, in quanto tale norma si riferisce al solo art. 50-bis, comma 4, lett. h), ossia alle prestazioni di servizi, comprese le operazioni di perfezionamento e le manipolazioni usuali, relative a beni custoditi in un deposito Iva, e non già alle operazioni, rilevanti nel caso in esame, di immissione in libera pratica di beni non comunitari destinati ad essere introdotti in un deposito Iva, oggetto della lettera b) del medesimo comma.

E del resto la giurisprudenza unionale ha confermato la piena compatibilità della legislazione e della giurisprudenza interna in tema di obbligatorietà dell’inserimento effettivo della merce nel deposito Iva, riconoscendo ai singoli Stati la possibilità di determinare le modalità con le quali fare operare il sistema del deposito fiscale dal quale derivare il beneficio dell’esenzione del pagamento dell’Iva ai sensi dell’art. 16, paragrafo 1, della sesta direttiva CEE (vedi, Corte Giustizia, 17 luglio 2014, Equoland; Corte Giustizia, 18 dicembre 2008, Sopropè).

3.2. Diversa è, invece, la conclusione quanto alle modalità di assolvimento dell’Iva.

Secondo la ripetuta ed unanime giurisprudenza della Corte, sulla scorta della giurisprudenza unionale, infatti, in caso di deposito fiscale cd. “virtuale”, in assenza di frodi, qui non in discussione, l’Amministrazione non può pretendere l’Iva all’importazione relativa alla merce immessa in libera pratica, concretandosi il “fisico” deposito in un semplice adempimento “formale” che non può incidere sul fondamentale principio di neutralità del tributo ove il contribuente “abbia già provveduto all’adempimento, sebbene tardivo, dell’obbligazione tributaria nell’ambito del meccanismo dell’inversione contabile mediante un’auto fatturazione ed una registrazione nel registro degli acquisti e delle vendite” (a partire da Corte di Giustizia sentenza 17 luglio 2014 in C-272/13, Equoland, v., tra le tante, Cass. n. 15988 del 29/07/2015; Cass. n. 16109 del 29/07/2015; Cass. n. 17815 del 08/09/2015; Cass. n. 10911 del 26/05/2016; Cass. n. 12231 del 17/05/2017; Cass. n. 18931 del 17/07/2018; Cass. n. 3101 del 01/02/2019; Cass. 14977 del 31/05/2019).

3.3. In tale evenienza, peraltro, come pure sottolineato dalla Corte di Giustizia, residua solo una violazione, di natura formale, che, di per sè, può essere punita con una specifica sanzione in relazione allo scarto temporale tra dichiarazione e autofatturazione senza, tuttavia, rimettere in discussione il diritto di detrazione.

In buona sostanza la fattispecie concreta costituisce comunque una violazione della normativa d’imposta, ma va “derubricata” in violazione formale, essenzialmente consistente in un ritardo nel versamento del dovuto da parte dell’importatore, sicchè, attesa la natura di tributo interno dell’Iva all’importazione (e la sua identità, in tal senso, alla cd. Iva interna), legittimamente l’Amministrazione ha fatto riferimento, rispetto alla sanzione applicata, al D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 13.

E del resto tale disposizione, inserita all’interno della legge organica di settore concernente le sanzioni amministrative in materia tributaria, è applicabile, salvo diversa espressa previsione, ai procedimenti di irrogazione di tutte le sanzioni tributarie non penali, con l’ulteriore precisazione che il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 70, rinvia effettivamente alla disciplina sanzionatoria in tema di leggi doganali.

Orbene, non rinvenendosi all’interno del testo unico leggi doganali di cui al D.P.R. n. 43 del 1973 o del CDC una disposizione sanzionatoria speciale per le condotte di omesso o ritardato versamento dell’Iva all’importazione, è corretta la sussunzione della condotta contestata alla parte contribuente nello stigma del ricordato art. 13.

3.4. Va poi escluso che la violazione sia meramente formale, e, dunque non punibile D.Lgs. n. 472 del 1997 ex art. 6, comma 5 bis, trattandosi di evenienza, come già rilevato, esclusa dalla stessa Corte di Giustizia, che, sul punto, si è solo limitata a ribadire il necessario rispetto del principio di proporzionalità, affermando altresì che la previsione interna (30% dell’importo dell’imposta: D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 13, comma 1) può, almeno in astratto, considerarsi “sproporzionata” e che, quindi, deve essere il giudice nazionale a determinarla in concreto al fine di renderla “proporzionata” (punti 44 ss. sentenza Equoland).

3.5. Ne deriva che è fondata la pretesa della contribuente con riguardo all’atto di rettifica, mentre, con riguardo alle sanzioni, spetterà al giudice a quo accertare se l’avvenuto assolvimento dell’imposta mediante autofatturazione sia avvenuto o meno con ritardo, con applicazione, in tale evenienza, dei principi di cui in motivazione al fine della determinazione in concreto della sanzione.

4. Il sesto motivo è inammissibile per carenza di specificità, neppure essendo precisati, se non in termini del tutto generici, nè riprodotti, i motivi di cui si lamenta la carente motivazione da parte della CTR.

5. In conclusione, la sentenza impugnata va dunque cassata, con rinvio, anche per le spese, al giudice a quo per un nuovo esame che tenga conto dei principi di cui in motivazione al fine dell’applicazione in concreto della sanzione.

P.Q.M.

La Corte, in accoglimento del secondo, terzo e quinto motivo di ricorso nei termini di cui in motivazione, inammissibili gli altri, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla CTR della Toscana in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 4 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 12 dicembre 2019

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