LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente –
Dott. ACIERNO Maria – rel. Consigliere –
Dott. MARULLI Marco – Consigliere –
Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –
Dott. SCALIA Laura – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
su ricorso 7423/2018 proposto da:
F.M., elettivamente domiciliato in Roma, Viale Angelico n. 38, presso lo studio dell’avvocato Maiorana Roberto che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore, domiciliato in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende ope legis;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 5203/2017 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 31/07/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 19/09/2019 dal cons. Dott. ACIERNO MARIA;
FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE
La Corte d’Appello di Roma, confermando la pronuncia del Tribunale, ha rigettato la domanda di protezione internazionale ed umanitaria proposta dal cittadino del ***** F.M..
A sostegno della decisione ha rilevato l’inverosimiglianza delle dichiarazioni rese dal richiedente il quale ha affermato che, dopo essere stato dal 2008 al 2014 in Italia, è tornato in ***** e precisamente in *****, ovvero in un’area geografica diversa da quella da cui proveniva originariamente, per svolgere l’attività di ambulante e di aver fatto rientro dopo alcuni mesi in Italia. Il racconto del sequestro da parte dei ribelli e la successiva liberazione risulta infine poco verosimile e poco circostanziato.
Inoltre dalle dichiarazioni rese, peraltro non verosimili, non ricorrono le ipotesi normate di riconoscimento dello status di rifugiato o la sussistenza del diritto d’asilo costituzionale. Infine potendo il ricorrente rientrare nella sua area di origine e non in ***** viene meno qualsiasi pericolo di violenza generalizzata cui potrebbe essere esposto. Del tutto generica la formulazione della domanda relativa alla protezione umanitaria in relazione alla prospettazione di situazioni di vulnerabilità soggettive.
Avverso tale pronuncia ha proposto ricorso per cassazione il cittadino straniero. Ha resistito con controricorso il Ministero dell’Interno.
Nel primo motivo viene dedotta la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 7 e 14 in relazione al mancato riconoscimento del diritto alla protezione sussidiaria, nonostante la situazione di grave pericolosità di *****. La censura si articola in una lunga teoria di riferimenti normativi e giurisprudenziali nonchè della rappresentazione della situazione complessiva del ***** ed in particolare della regione di ***** senza tuttavia scalfire la ratio decidendi posta a base del rigetto di tale protezione consistente nel fatto che il ricorrente non è originario di ***** ma di un’area geografica del paese dove vivono i suoi familiari non caratterizzata da violenza.
Nel secondo motivo viene dedotta la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19 in relazione alla negata protezione umanitaria in violazione dei parametri normativi e del divieto di non refoulement.
Anche questa censura è caratterizzata da estrema astrattezza e genericità, ancorchè contenga ampie esegesi delle norme interne ed internazionali e riproduca numerosi precedenti della giurisprudenza di legittimità e di merito, sottolineando la necessità di esaminare il divieto di non refoulement anche in relazione alla tortura. Non si rinviene tuttavia una critica anche indiretta alla ratio decidendi posta a base del rigetto della domanda da parte della Corte d’Appello, consistente nell’omessa allegazione di situazioni di vulnerabilità.
In conclusione il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con applicazione del principio della soccombenza in ordine alle spese processuali.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali del presente giudizio da liquidarsi in E 2200 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Sussistono i presupposti processuali per l’applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater in relazione al versamento, ove dovuto, da parte del ricorrente principale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 19 settembre 2019.
Depositato in Cancelleria il 13 dicembre 2019